di Roberto Bettinelli |
Formazione e lavoro costituiscono un binomio indissolubile. In un contesto come quello italiano, caratterizzato dalla prevalenza delle piccole e medie imprese, l’adozione delle nuove tecnologie all’interno delle realtà produttive può essere realizzata solo in presenza di un diffuso allineamento delle competenze. Un’operazione che la scuola ha già dimostrato di non essere in grado di organizzare. Spetta dunque alle aziende e alle istituzioni presenti sui territori collaborare per costruire gli ecosistemi formativi che, secondo il professore ed ex Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, rappresentano la risposta concreta per educare o rieducare gli addetti, rinnovando i processi produttivi secondo gli standard dell’Impresa 4.0. Il rilancio dell’occupazione, secondo Sacconi, può avverarsi attraverso un “moderno Statuto di tutti i lavori” che possa accogliere misure protettive e opportunità di riqualificazione per le persone. Una missione che deve coinvolgere agenti pubblici e privati ai fini della costruzione dei percorsi che hanno il compito di costruire le competenze individuali e che, in presenza di un mercato del lavoro instabile dove le interruzioni prevalgono rispetto alle continuità, assegna un ruolo strategico alla formazione continua e ai fondi interprofessionali. Ecco cosa ci ha detto nell’intervista.
Innovazione tecnologica e occupazione. È un binomio conflittuale o virtuoso?
È un binomio potenzialmente virtuoso, se governato. Se il salto tecnologico viene analizzato con riferimento non solo all’industria ma all’intera società, è ragionevole immaginare accanto alla sostituzione di molti tradizionali lavori con le nuove macchine anche lo sviluppo di nuovi lavori. Ovviamente dovremo considerare non solo le statistiche, ma soprattutto le persone, garantendo a tutti continue opportunità di occupabilità.
Impresa 4.0. L’Italia è partita in ritardo. Sta recuperando terreno?
L’Italia ha un diffuso tessuto di piccole imprese, più lente nell’accedere all’innovazione, ma dalle dimensioni coerenti con le caratteristiche delle nuove tecnologie. L’accelerazione del cambiamento dipenderà anche dalla disponibilità di lavoratori dotati delle necessarie competenze.
La disoccupazione giovanile rimane a livelli allarmanti. Che cosa ci manca rispetto ai Paesi partner più competitivi?
Un sistema scolastico e universitario più qualificato, meno autoreferenziale, più aperto al dialogo con il mercato del lavoro. La particolare dimensione della disoccupazione giovanile in Italia è figlia del nostro disastro educativo. Ora dobbiamo garantire percorsi educativi in cui si integrino teoria e pratica, in modo che tutti accedano alle competenze tecnologiche e acquisiscano quelle abilità trasversali che solo l’esperienza pratica garantisce. Ma dovremo nondimeno recuperare i molti meno giovani, penso alla fascia 25-34 anni, che non a caso sono intrappolati ai margini del mercato del lavoro.
Nel mondo del lavoro la discontinuità delle carriere e dei percorsi professionali è in aumento. Qual è il ruolo dei fondi interprofessionali e della formazione continua?
Non dobbiamo più pensare a politiche attive intese come attività di soccorso straordinario in favore di persone eccezionalmente transitate alla disoccupazione involontaria. Abbiamo ora bisogno di ecosistemi formativi che garantiscano a tutti opportunità perpetue di apprendimento, così da essere sempre occupabili prevenendo fasi lunghe di disoccupazione. In questi ecosistemi formativi territoriali i fondi interprofessionali dovrebbero svolgere il ruolo centrale di avvocati della domanda di buona formazione, integrando scuole, università, centri di apprendimento e imprese.
Cuneo fiscale: in che modo si può individuare una soluzione più conveniente per il lavoratore e per l’impresa?
Riducendo il costo indiretto del lavoro in termini graduali ma strutturali, permanenti. Si tratta di avvicinare le contribuzioni alle prestazioni oggi, spesso, sovradimensionate.
Come è possibile combattere la precarietà e rilanciare l’occupazione stabile?
Non sono le tipologie contrattuali a garantire in sé la stabilità del lavoro. Questa è la conseguenza di un effettivo diritto del lavoratore ad accedere continuamente a conoscenze, competenze, abilità. E di una economia in crescita, ovviamente.
Lavoro autonomo: pensa sia auspicabile una riforma e quale indirizzo dovrebbe prendere?
Biagi intuì che a tutti i lavori, autonomi e subordinati, sarebbe sempre più stato richiesto di produrre risultati a cui collegare la remunerazione. E che tutti i lavori avrebbero potuto conoscere fragilità meritevoli di tutela. Ciò comporta l’individuazione per tutti di livelli essenziali di remunerazione e la possibilità di contrattare forme di protezione sociale.
Politiche del lavoro: quali dovrebbero essere le priorità del nuovo governo?
Un moderno Statuto dei lavori, di tutti i lavori. E l’assegno di ricollocamento per tutti i disoccupati e inoccupati, in modo che la domanda di servizi di accompagnamento al lavoro ne determini una vera riqualificazione attraverso la competizione tra servizi pubblici, privati e privato-sociali.