di Marina Fabiano |
Sappiamo usare un buon metodo di feedback per indurre i nostri collaboratori (e le altre tipologie relazionali con cui conviviamo) a cambiare atteggiamento, a far più attenzione in qualche pratica, a dimostrarsi più collaborativi con clienti o colleghi?
Quello a sandwich, ad esempio: ricordo qualcosa di positivo sull’argomento che sto per affrontare, ti chiedo di agire diversamente sulla parte che secondo me non funziona benissimo, rinforzo la mia fiducia nella tua capacità di provare a cambiare. Sembra facile, no? Beh, non lo è, ma si impara esercitandosi e dandosi (o chiedendo) un feedback sul risultato del tentativo appena concluso. Cercando di parlare chiaro, senza troppi giri di parole, senza proclami nebulosi che parano nel nulla (gli ho fatto capire… non sempre funziona: meglio dire), senza linguaggi da politicanti.
La tecnica del feedforwarding
Dunque, la tecnica del feedforwarding è qualcosa di simile, nel senso che la si può usare per indurre un cambiamento comportamentale, o un atteggiamento più incline a ciò che ci aspettiamo dalla persona con cui stiamo comunicando. Però la si applica diversamente. Spiego meglio. Al contrario del feedback, positivo o negativo che sia, il feedforward mostra un potenziale risultato o soluzione posizionati nel divenire. In questo momento di predisposizione al futuro, di ripresa dell’attenzione strategica e della pianificazione (in teoria), potrebbe essere di grande aiuto a manager e leader che non guardano superficialmente a brevi successi momentanei, ma tendono a voler porre basi rocciose per una solidità del domani. Proporre un commento rivolto al futuro offre indicazioni chiare su come risolvere un problema: “Il fatto che tendi a essere spesso in ritardo irrita i tuoi colleghi e non fa bene alla tua reputazione; che ne dici di mettere un alert al tuo smartphone 15 minuti prima dell’orario stabilito e di strabiliare tutti presentandoti in anticipo? Pensi di poterlo fare?”.
Dal feedforwarding allo shadowing
Facciamo un altro esempio. Il nostro manager continua a decidere tutto per conto suo, senza chiedere pareri a nessuno. Un buon feedforward potrebbe essere: “Ho notato che il tuo team non sta reagendo positivamente al recente cambiamento gestionale che hai introdotto. Questa decisione forse non è stata discussa in maniera approfondita, raccogliendone commenti e suggerimenti un po’ da tutti. Se continui a decidere tutto da solo – e capisco che l’incalzare del tempo rende tutto ciò più rapido del coinvolgimento – porterà la tua leadership a diventare forzata (le persone obbediranno per necessità e non per convinzione) e magari perderai idee che non conoscevi, oltre a mancare l’opportunità di far crescere i collaboratori, che si adageranno nel “tanto poi il capo fa quello che vuole lui”. Lo vedi lo scenario? Ti ci riconosci? Pensi di poter apportare qualche cambiamento nel tuo comportamento? In che modo? Come sapremo che effettivamente stai condividendo le tue decisioni?” Ecco, abbiamo un problema, orientiamo il feedback verso una soluzione dello stesso, chiediamo al manager di prendere visione delle conseguenze del continuare ad agire come ha sempre fatto e di trovare un modo per agire diversamente. L’azione di feedforwarding non va a rivangare il passato, non è giudicante, spinge all’auto-riflessione e all’auto-miglioramento, è rispettosa e partecipativa. In più, permette di spianare la strada verso situazioni di shadowing, con il coach presente a fianco del manager durante i suoi incontri con il team, con fornitori o clienti, durante riunioni con colleghi, potendo contare sulla sua accettazione di feedback anche importanti, rivolti a smussare comportamenti o pregiudizi radicati.
La provenienza culturale conta
Un punto da considerare è la cultura di provenienza del manager. Ad esempio, nella cultura mediterranea spesso usiamo il feedback negativo per comunicare un comportamento di cui non siamo soddisfatti (non dovevi dire così; i tuoi risultati non sono molto buoni negli ultimi mesi; non mi piace quando reagisci in questo modo). Talvolta la reazione al feedback negativo è una positiva presa di coscienza, spesso sfocia in un conflitto. In altre culture meno emotive e portate al dialogo, un feedback negativo è decisamente inaccettabile, viene considerato maleducato, oggetto di sicura rottura relazionale. L’ideale è saper bilanciare la comunicazione interpersonale tra feedback positivo (troppo, tende alla compiacenza) e feedback negativo (troppo, è demotivante), intercalando con la tecnica del feedforward, e interrogando l’interlocutore su cosa ha imparato e come agirà diversamente in futuro. Perché effettivamente il feedforward agisce, cambiando prospettiva, sull’immagine proiettata, mentre il feedback potrebbe non essere riconosciuto ed accettato. Il cambio di prospettiva permette di concentrarsi sulla soluzione e sull’azione immediata. Ammesso che il comportamento di cui non siamo soddisfatti non sia talmente radicato da non poter essere estirpato. Ad esempio, un procrastinatore cronico sarà improbabile che possa diventare puntuale, se non in rare occasioni; a meno che questa diventi una sua scelta personale. Usare la tecnica del feedforwarding significa anche, per chi la vuole applicare, un cambiamento nel proprio modo di comunicare, per cui le tecniche del coaching diventano solide indispensabili basi su cui appoggiare nuove parole.
Feedback, feedforward e shadowing
L’etimologia della parola feedback deriva dal verbo inglese to feed, che significa ‘immettere, caricare’ e back ‘indietro’. Rappresenta l’effetto retroattivo di un messaggio o di un’azione su chi li ha promossi, sia in modo positivo che in modo negativo.
Il feedforward è invece orientato al futuro, implica processi predittivi relativi al modi di ottenere i risultati desiderati, alle azioni che dovranno essere messe in campo per orientarsi verso il futuro.
Il termine shadowing significa “seguire come un’ombra” una determinata persona nel suo ambiente, osservandone (senza intervenire) le interazioni, l’attività e la routine.