Occupazione e digitalizzazione: quali le professioni a rischio?

Difficile quantificare l’impatto della rivoluzione tecnologica sull’occupazione. È certo però che molti dei lavori oggi esistenti subiranno profonde trasformazioni, e che lo sviluppo tecnologico porterà da una parte alla creazione di nuovi posti di lavoro e dall’altra alla scomparsa di alcune professioni.

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Uomo e robot

di Laura Reggiani |

L’invecchiamento della popolazione, la globalizzazione e soprattutto il progresso tecnologico e la rapida diffusione delle tecnologie digitali nel mercato del lavoro, hanno profondamente impattato il panorama occupazionale. Da una parte si sta verificando un forte processo di distruzione di posti di lavoro e una contemporanea creazione di nuovi lavori, dall’altra parte la quantità e la qualità della domanda di competenze e delle skill richieste dal nuovo mercato del lavoro stanno cambiando in modo rilevante.

Quali competenze saranno dunque maggiormente richieste dal mercato del lavoro di domani? Quali lavori saranno in maggiore crescita e quali sono invece le professioni più a rischio?

Sono queste alcune delle domande al centro del dibattito, che il Sistema Informativo Excelsior ha provato ad affrontare in un’indagine sulla previsione dei fabbisogni occupazionali e professionali nel quinquennio 2018-2022.

I diversi effetti della tecnologia

Realizzato da Unioncamere e Anpal, il Sistema Informativo Excelsior ha provato a quantificare l’impatto della rivoluzione tecnologica sull’occupazione, identificando tre macro-livelli intorno ai quali si sviluppano gli effetti della tecnologia.

Un primo livello è quello della trasformazione dei lavori esistenti. È difficile pensare a lavori che non subiranno una trasformazione rilevante; molte mansioni cambieranno diventando più complesse e prevedendo competenze più sofisticate. Un esempio significativo in questo senso evidenziato dall’indagine Excelsior, è quello dell’addetto all’inserimento dei dati, per cui le imprese richiedono nel 12% dei casi personale laureato, mentre cinque anni fa tale quota non superava il 5%. Pur mantenendo la stessa denominazione, per questa professione è cambiato nel tempo il suo “contenuto”, in termini di competenze e conoscenze richieste.

Il secondo livello è costituito invece dalla creazione di nuovi posti di lavoro, come ad esempio le nuove professioni associate all’utilizzo dei big data, alla cybersecurity o ai social media. Un recente studio del World Economic Forum ha stimato che il 65% dei bambini che frequentano la scuola primaria svolgeranno da grandi un lavoro che attualmente non esiste ancora. Purtroppo, ad oggi è molto difficile quantificare la dimensione di questo fenomeno.

Il terzo livello è invece quello legato alla potenziale distruzione di posti di lavoro. Questo tema è al centro del dibattito politico e non, ed è fonte di preoccupazioni alimentate da stime talvolta piuttosto allarmistiche.

In un noto studio Frey e Osborne hanno infatti stimato l’impatto della probabilità di automazione per un grande numero di occupazioni negli Stati Uniti, arrivando a identificare il grado di automazione per 702 professioni. I risultati indicano che il 47% delle occupazioni negli Usa è a rischio di automazione nei prossimi anni. Lo studio di Frey e Osborne ha suscitato un ampio dibattito a causa delle stime piuttosto pessimistiche.

Recentemente altri studi, come quelli di McKinsey e di Arntz-Gregory-Zierahn, hanno invece ridimensionato l’impatto avverso dell’automazione nel mercato del lavoro. Più recentemente uno studio dell’Ocse ha replicato l’analisi di Frey e Osborne arrivando a stime più conservative che indicano che nei paesi Ocse meno del 14% dei lavori sono caratterizzati da un rischio elevato di automazione. Tuttavia ciò non significa che l’automazione non possa avere un impatto rilevante su alcune professioni.

Professioni a rischio di automazione

Per stimare l’impatto dell’automazione sulla domanda di lavoro italiana si è preso come riferimento le stime che lo studio Ocse effettua per le singole professioni per l’Italia ed è stato ipotizzato per il periodo 2018-2022 circa il 25% dell’impatto previsto. Complessivamente circa il 12% del fabbisogno previsto nel quinquennio (ovvero circa 308.000 unità su un fabbisogno totale di 2.566.000) è a rischio di automazione. Tuttavia, le singole professioni sono caratterizzate da un grado di rischio di automazione molto diverso. In particolare, risultano professioni ad alto rischio quelle medium skill (ad esempio gli impiegati addetti alle funzioni di segreteria e di ufficio e alla raccolta e conservazione documentale) nonché le professioni non qualificate nel commercio e nei servizi. Per quanto riguarda i settori finali, la quota di occupazione a rischio di automazione è valutata “alta” in diversi settori, da quelli tipici del “Made in Italy” come alimentari, moda e mobili, all’elettronica e agli apparecchi ottici e medicali, fino ai trasporti.

Professioni emergenti

Per quanto riguarda invece le nuove professioni, alcuni dati interessanti emergono dal progetto Wollybi, sviluppato dal centro di ricerca Crisp dell’Università di Milano Bicocca, che analizza le “web vacancies” postate in Italia. I dati di Wollybi consentono di identificare alcune nuove professioni emergenti e le loro relative competenze richieste dal mercato.

Tra queste alcune professioni sono tipicamente legate allo sviluppo tecnologico quali il Data Scientist, l’analista del Cloud Computing, il Cyber Security Expert, il Business Intelligence Analyst, il Big Data Analyst e il Social Media Marketing.

Complessivamente tra il 2014 e il 2017 sono stati rilevati più di 7.000 annunci di lavoro per queste figure professionali con un incremento del 280%. Si tratta di numeri ancora piccoli che tuttavia fanno intravedere il potenziale beneficio della tecnologia nella creazione di nuovi posti di lavoro.

Tabella Excelsior
Professioni emergenti e skill più richieste dalle imprese (fonte Excelsior)

Nuove competenze per nuovi lavori

Nel 2008 la Commissione Europea ha emesso la Comunicazione “New Skills for New Jobs”, dove si poneva l’accento sulla necessità di rafforzare le capacità dell’UE di anticipare i fabbisogni futuri di skill, di identificare l’esistenza di carenze rilevanti e di valutare la consistenza di eventuali mismatch tra domanda e offerta.

Questo tema è stato indicato come una delle priorità della Commissione Europea, che nel 2016 ha lanciato una New Skills Agenda for Europe, finalizzata al supporto delle principali priorità politiche della Commissione, che sono la crescita e gli investimenti.

L’obiettivo della nuova Skills Agenda è quello di affrontare tre problematiche fondamentali che affliggono le economie europee: la carenza di alcune competenze fondamentali che acuiscono il fenomeno del mismatch nel mercato del lavoro, la scarsa trasparenza nel sistema delle competenze e delle qualifiche e la difficoltà di anticipare e prevedere le competenze richieste dal mercato.

Su quest’ultimo tema da tempo la Commissione ha promosso la realizzazione di un sistema di previsione dei fabbisogni di skills a livello europeo, che integrasse analoghe iniziative eventualmente presenti a livello nazionale. L’agenzia europea Cedefop (European Centre for the Development of Vocational Training) ha di fatto assunto il ruolo di leader nelle iniziative comunitarie. A partire dal 2007 ha sviluppato un modello previsionale della domanda e dell’offerta di skill a lungo termine, per settore, sia a livello europeo che per singolo Paese.


Lo studio di Frey e Osborne

In un noto studio Frey e Osborne hanno stimato l’impatto della probabilità di automazione per un grande numero di occupazioni negli Stati Uniti. I due autori hanno identificato i principali vincoli all’automazione e hanno stimato la rilevanza di tali vincoli nelle varie occupazioni. Le occupazioni in cui questi vincoli sono più forti risultano difficilmente automatizzabili, viceversa quelle dove i vincoli risultano più leggeri risultano più facilmente automatizzabili.

I vincoli identificati da Frey e Osborne si riferiscono a tre ambiti principali: la necessità di manipolare gli oggetti (destrezza manuale e necessità di lavorare in spazi ristretti e limitati), l’uso dell’intelligenza creativa (originalità, arte, etc.) e l’utilizzo dell’intelligenza sociale (capacità di persuasione, negoziazione, interazione e cura degli altri).

In tutti questi ambiti le macchine e il software trovano forti vincoli che ne impediscono l’utilizzo. Utilizzando la validazione di alcuni esperti e le descrizioni dettagliate delle caratteristiche delle occupazioni contenute nel sistema O*Net, Frey e Osborne hanno stimato il grado di automazione per 702 professioni. I loro risultati indicano che il 47% delle occupazioni negli Usa è a rischio di automazione nei prossimi anni.

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