di Gabriele Bonati* |
Un programma di welfare si inserisce a pieno titolo nella politica retributiva aziendale (oltre naturalmente alla politica legata all’immagine aziendale e al benessere dei lavoratori) finalizzata: a dare una maggior soddisfazione ai lavoratori, sia in termini di gestione del rapporto (flessibilità) sia in termini prettamente economici (attraverso un maggior potere di acquisto del “netto a pagare” della busta paga); a ottimizzare i costi aziendali (applicando in modo attento le agevolazioni/flessibilità offerte dalla vigente normativa); a premiare, collettivamente (applicando le relative agevolazioni) o individualmente, la produttività.
Le agevolazioni fiscali (e contributive per effetto della parziale ammonizzazione delle basi imponibili disposta dal D.Lgs. 314/1997), applicabili ai “flexible benefit” del piano welfare (vedi il riquadro), contenuti nell’art. 51 del Tuir (determinazione del reddito di lavoro dipendente, applicabile, per espresso rinvio dell’art. 52 del Tuir, anche ai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui all’art. 50 del medesimo Tuir), scattano principalmente quando i destinatari sono la generalità o categorie omogenee di “dipendenti” (alcuni benefit possono essere assegnati anche individualmente e beneficiare delle corrispondenti agevolazioni, per esempio contribuire discrezionalmente alla previdenza complementare del lavoratore interessato o concedere un contributo in conto interessi per un mutuo personale).
Le agevolazioni fiscali per il lavoratore (e contributive per il lavoratore e per l’azienda) connesse ai citati “flexible benefit”, sono principalmente indirizzate alla generalità o categorie di dipendenti e sono contenute nella disposizione che regola la determinazione del reddito di lavoro dipendente, disposizione richiamata, come già precisato, anche nell’art. 52 del Tuir riguardante la determinazione dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, tra cui rientrano anche le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore (lettera c-bis dell’art. 50 del Tuir), sempre che non vi sia attrazione nell’attività professionale esercitata. A questo punto occorre verificare se detto rinvio è sufficiente per far rientrare nelle citate agevolazioni anche gli amministratori.
Gli interventi dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate, con l’interpello n. 10 del 25 gennaio 2019, ha affrontato alcune questioni riguardanti i destinatari dei piani di welfare aziendali ai quali risulti possibile riconoscere “flexible benefit”, di cui all’art. 51 del Tuir (in particolare le lettere f), applicando la prevista esclusione dalla concorrenza del reddito e la possibilità di fruire della piena deducibilità del relativo costo dal reddito d’impresa (art. 95 del Tuir), anche qualora il piano welfare risulti istituito con regolamento aziendale.
Dalle risposte dell’Agenzia delle Entrate ai quesiti posti dall’Istante riguardanti il proprio regolamento istitutivo del piano welfare aziendale (categorie di dipendenti destinatari: categoria dei manager composta dall’amministratore unico e dal direttore di sala; categoria degli addetti alla sala, che comprende anche uno stagista e un somministrato a tempo determinato), si rileva che:
• lo stagista (percettore di reddito assimilato a quello di lavoro dipendente) che svolge il percorso formativo nel settore i cui dipendenti sono coinvolti nel piano welfare (nel caso di specie addetti alla sala) può essere destinatario dei flexible benefit regolamentati dal piano welfare, applicando i previsti regimi esentativi;
• il lavoratore occupato in azienda con contratto di somministrazione (anche a tempo determinato) che svolge la propria attività unitamente alla generalità/categoria di dipendenti dell’impresa destinatari del piano welfare, può essere destinatario dei flexible benefit regolamentati dal piano welfare, applicando i previsti regimi esentativi (ovviamente attraverso l’agenzia di somministrazione, previa comunicazione dell’azienda utilizzatrice);
• l’amministratore unico, destinatario del piano welfare (categoria manager, unitamente al direttore di sala), anche se titolare di reddito assimilato a quello di lavoro dipendente non può vedersi applicare (affermazione condivisibile) i previsti regimi esentativi (a tale proposito l’Agenzia delle Entrate elabora anche, in modo sintetico, il concetto di compatibilità/incompatibilità del ruolo di amministratore con la contemporanea condizione di lavoratore subordinato che presuppone la compresenza di almeno due soggetti e l’esistenza di un rapporto ineguale, in cui uno dei soggetti si trovi in una situazione di subordinazione per ragioni di organizzazione e divisione del lavoro; l’Agenzia delle Entrate tralascia invece la condizione del possibile rapporto di collaborazione coordinata e continuativa “tipica”).
Vale a dire che i “flexible benefit” possono essere riconosciuti anche all’amministratore unico ma concorreranno a formare reddito imponibile per il loro valore (definito secondo il comma 3 dell’art. 51 del Tuir), in quanto tale situazione non può essere ricondotta a “categoria di dipendenti”. Ciò per il fatto che c’è immedesimazione tra la persona fisica e la società. In pratica, il ruolo di “dipendente” (si ritiene da intendersi situazione di subordinazione in senso lato) si confonde con quello di amministratore, mancando il necessario rapporto di alterità tra le parti (il soggetto percettore è lo stesso soggetto che ha istituito il piano welfare) che ne definisce i compiti e le responsabilità.
A sostegno di quanto sopra si riporta anche quanto segue:
• Per la determinazione del reddito imponibile dei compensi agli amministratori (art. 52 del Tuir), come sopra precisato, si applicano le disposizioni dell’articolo 51 del medesimo Tuir, conseguentemente, anche le modalità di trattamento dei fringe benefit (quindi sono comprese anche le parti che richiamano la generalità o categoria di dipendenti).
• L’A.E, con la circolare n. 28/2016, ha escluso la categoria degli amministratori solo dalla normativa della detassazione dei premi di risultato (e non anche ai piani welfare agevolabili, precisando: “il tenore letterale della norma esclude che l’agevolazione sia applicabile ad altre categorie di soggetti, quali, ad esempio, i soggetti titolari di redditi assimilati al lavoro dipendente di cui all’articolo 50, comma 1, lettera c-bis, del Tuir”).
• Con la risposta all’interpello 954-1417/2016, l’Agenzia delle Entrate sembrerebbe precisare, visto che la questione faceva parte anche dei quesiti posti dall’interpellante, che i piani welfare possono essere indirizzati anche agli amministratori che percepiscono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. L’Agenzia delle Entrate nello spiegare il concetto di generalità o categoria di dipendenti precisa: “… il credito welfare è riconosciuto sia ai lavoratori dipendenti che agli amministratori, ancorché sulla base di presupposti diversi… Tale diverso criterio si ritiene non faccia venir meno la circostanza che l’offerta sia rivolta alla generalità dei dipendenti e che, peraltro, possa trovare applicazione la previsione di esclusione dal reddito… In conclusione, nella fattispecie rappresentata, il piano welfare… non genera, ai sensi dell’art. 51, comma 2, lett. f, del Tuir, materia imponibile per i destinatari dei servizi offerti…”
• Anche l’interpello 954-1535/2017, seppur indirettamente, sembrerebbe confermare la tesi che anche gli amministratori possono essere destinatari di un piano di welfare aziendale, in quanto stabilisce, in conclusione della risposta, che non può essere applicata la normativa agevolativa welfare quando il destinatario è il solo “amministratore unico” in quanto risulterebbe un welfare “ad personam” e non collettivo (generalità o categoria di lavoratori, nel caso di specie amministratori).
Alcune considerazioni
Stante quanto sopra precisato, nel concetto di categorie di dipendenti vi possono rientrare anche i soggetti titolari di reddito assimilato (nell’interpello stagisti) ma non coloro (pur fiscalmente percettori di reddito assimilato al lavoro dipendente) che immedesimano la società (vedi amministratore unico). Di conseguenza, si ritiene:
• di far rientrare nell’applicazione del regime di favore, anche i lavoratori titolari di contratto di collaborazione coordinata e continuativa (sempre che si tratti di redditi non attratti dall’attività di lavoro autonomo e professionale);
• di far rientrare nell’applicazione del regime di favore gli amministratori di società che compongono il consiglio di amministrazione, con incarichi e deleghe operative percettori di compenso assimilato al lavoro dipendente (contratti di collaborazione tipica) non attratto da un’eventuale attività professionale (il compenso può essere composto da denaro e da benefit regolamentati dal piano welfare, applicando il regime fiscale dell’art. 51 del Tuir, previo rinvio dell’art. 52). In quanto, si ritiene, vi sia, in questo caso, un rapporto di alterità tra il soggetto che delibera l’istituzione del piano welfare (per esempio consiglio di amministrazione) e soggetti (persone fisiche) destinatari del piano stesso (amministratori con incarichi operativi regolati da un contratto di collaborazione “tipica”). Inoltre, si ritiene che nella citata situazione vi sia “un’attenuata” immedesimazione tra la persona fisica e la società.
L’interpello 10/2019, in commento, precisa (sanando il buco lasciato dalla circolare 5/2018), che anche il regolamento aziendale può rientrare tra le “obbligazioni negoziali” che permettono di accedere alla deducibilità integrale dal reddito d’impresa (art. 95 del Tuir) dell’intero ammontare dei costi sostenuti per il piano welfare, purché il regolamento sia non revocabile né modificabile autonomamente da parte del datore di lavoro (facendo sorgere, in capo ai lavoratori interessati, il diritto di ricevere i relativi flexible benefit).
Alcuni suggerimenti
Si suggerisce di regolamentare un piano welfare non solo per gli amministratori, ma anche per la generalità dei dipendenti o per alcune categorie di dipendenti. Ciò permette di dimostrare che l’azienda non ha alcuna intenzione di utilizzare il welfare per “eludere” le obbligazioni fiscali sui compensi agli amministratori. Come precisato anche dall’Agenzia delle Entrate è possibile differenziare il conto welfare da assegnare ai destinatari.
I “flexible benefit” del piano welfare
Beni, servizi e prestazioni (che non concorrono a formare reddito a norma del comma 2 dell’art. 51 del Tuir) con finalità di:
• educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, per i dipendenti e i loro familiari (lettera f);
• educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio, per i familiari (lettera f-bis);
• assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti (lettera f-ter);
• rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana o rischio di gravi patologie, per i dipendenti.
Il piano welfare può contenere anche (a titolo di esempio):
• contributi alla previdenza complementare e all’assistenza sanitaria integrativa;
• contributo in conto interessi per mutui;
• voucher spesa (non superiori a € 258,23);
• abbonamenti per trasporto pubblico locale e interregionale.
* Gabriele Bonati è un consulente aziendale esperto in diritto del lavoro, direzione del personale, previdenza e welfare.
È Presidente di MGconsulting srl, Ente di formazione accreditato presso l’Ordine Nazionale
dei Consulenti del Lavoro, proprietaria dal 2001 della testata giornalistica Lavorofacile.it.
Buongiorno, articolo molto completo ed interessante. Mi chiedevo però nel caso una piccola realtà aziendale composta da tre fratelli che lavorano in modo operativo in una azienda di consegne, possano istituire come flexible benefit una polizza sanitaria per tutti e tre e deducibile dal reddito societario ed esente dal loro reddito personale. Grazie. Cordiali saluti. Claudia M.