Il recente rapporto “Adult Learning in Italy: what role for training funds?” realizzato dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), riporta una serie di raccomandazioni per il miglioramento delle politiche dei Fondi Interprofessionali. Il tutto è basato su una analisi approfondita dello scenario dei primi anni di attività e su un confronto con le buone prassi di altri Paesi relative al finanziamento della formazione continua. Quella che segue è una disamina, commentata, delle principali raccomandazioni contenute nel documento.
Interventi urgenti per la formazione degli adulti
Si inizia con il sottolineare come in Italia sia urgente un intervento sulla formazione degli adulti, individuando alcune criticità: il rischio a breve di perdita del 47,7% dei posti di lavoro a causa dell’automazione; l’invecchiamento della popolazione, con il tasso di over 65 sugli adulti in età lavorativa (3,5 su 10) più alto tra i Paesi Ocse dopo il Giappone; il 38% degli adulti italiani con bassi livelli di alfabetizzazione e di capacità di conto, ben al di sopra della media Ocse del 26,3%; solo due adulti su dieci partecipano a corsi di formazione sul lavoro, circa la metà della media Ocse; solo il 60,2% delle imprese fornisce formazione ai propri lavoratori, inferiore alla media europea Ocse del 76%.
Nonostante la partecipazione degli adulti alla formazione sia aumentata considerevolmente in Italia (+133% nel periodo 2007-2016), il nostro Paese continua a rimanere dietro alla maggior parte dei Paesi Ocse.
Le proposte dell’Ocse
I Fondi Interprofessionali rappresentano uno strumento importante attraverso cui l’Italia potrebbe affrontare questi problemi; coprono infatti quasi 1 milione di aziende e oltre 10 milioni di lavoratori, e gestiscono più di 600 milioni di euro l’anno.
Tra i problemi che i Fondi devono affrontare c’è il difficile accesso delle Pmi e delle fasce deboli dei lavoratori, la scarsa qualità degli interventi (troppo incentrati su salute e sicurezza), e in tempi più recenti i tagli ai contributi da parte del Governo.
L’Ocse raccomanda di aumentare la partecipazione di Pmi e lavoratori delle fasce deboli, promuovendo una cultura dell’apprendimento tra le Pmi, riducendo la burocrazia e, cosa interessante, formando anche gli imprenditori. Per ottenere le competenze necessarie sul mercato del lavoro, secondo l’Ocse, va rafforzato il coinvolgimento delle parti sociali, migliorandone le capacità di valutazione e di bilancio delle competenze. Le imprese vanno inoltre aiutate nell’analisi dei fabbisogni e va vietato l’utilizzo dei Fondi per la formazione obbligatoria.
Per migliorare la qualità degli interventi, vanno snellite le procedure di monitoraggio, rafforzata la certificazione delle competenze, promossa una sana competizione tra Fondi, migliorato il sistema informativo e valutato l’impatto della formazione in modo più sistematico. L’Ocse raccomanda anche che i Fondi ricevano un finanziamento adeguato e propone di aumentare la percentuale del prelievo a livello nazionale.
Le risorse a disposizione
Il prelievo per la formazione pagato dai datori di lavoro italiani è basso rispetto agli standard internazionali. In Italia è pari allo 0,3% della busta paga rispetto allo 0,8% dell’Irlanda, all’1% della Francia, all’1,5% dell’Ungheria, al 2% dei Paesi Bassi e addirittura al 2,5% del Regno Unito. Tale livello di contributo mette in dubbio la capacità dei Fondi di far fronte alle crescenti richieste. Inoltre, negli ultimi anni, il Governo italiano ha deviato le risorse dei Fondi verso usi diversi dalla formazione (nel 2017, dei 735 milioni di euro raccolti, solo il 58,9% sono stati trasferiti ai Fondi), facendo scendere il valore del prelievo utile per la formazione allo 0,19% circa.
Mentre le risorse sono state inizialmente dirottate per finanziare misure di welfare, dal 2015 in poi i prelievi del Governo sono diventati strutturali. Una riduzione delle risorse disponibili per investire in apprendimento continuo è qualcosa che l’Italia non può certo permettersi.
Le difficoltà per le Pmi
Mentre un crescente numero di imprese è coperto dai Fondi, alcune imprese (tipicamente le Pmi e le microimprese) affrontano ancora barriere importanti per accedere ai contributi. Come in altri Paesi Ocse, le piccole imprese in Italia hanno meno probabilità di formare i propri lavoratori rispetto alle imprese più grandi. Nel 2016, solo il 57,1% delle piccole imprese ha fatto formazione, rispetto al 93,3% delle imprese di maggiori dimensioni. Inoltre, anche quelle Pmi che forniscono formazione ai dipendenti utilizzano i Fondi in modo inferiore rispetto alle imprese più grandi.
Le proposte dell’Ocse per facilitare l’accesso delle Pmi ai finanziamenti, prevedono la concessione di contributi proporzionalmente più elevati, la velocizzazione dei tempi di rimborso, l’esenzione o la riduzione dei costi a carico delle Pmi, anche rimborsando le imprese per il costo dei lavoratori in formazione o introducendo la sostituzione temporanea del lavoratore in formazione.
L’Ocse torna più volte anche sul tema della promozione di una cultura dell’apprendimento tra le Pmi, ad esempio aggiornando anche le competenze degli imprenditori. Per aumentare la consapevolezza tra le Pmi sui Fondi, si potrebbero fare anche campagne di informazione e sensibilizzazione, mentre le parti sociali potrebbero diffondere informazioni sui Fondi tra le loro Reti.
I lavoratori delle fasce deboli
In Italia, come in altri Paesi, gli adulti delle fasce deboli – come i lavoratori a scarsa qualifica o i più anziani – hanno meno probabilità di partecipare alla formazione. Visto che la formazione è finanziata attraverso un prelievo pagato dai datori di lavoro, le imprese in genere godono di autonomia nel decidere chi coinvolgere nella formazione e spesso finiscono per indirizzare le azioni formative verso gruppi da cui sono attesi alti rendimenti: i più abili, quelli già qualificati o i giovani con prospettive di carriera più lunghe
Che i Fondi debbano avere come obiettivo esplicito le fasce deboli che altrimenti riceverebbero poca formazione resta un tema di dibattito aperto. Per il momento, anche se alcuni Fondi hanno preso misure per garantire che la formazione raggiunga i lavoratori delle fasce deboli, gli sforzi sono stati tutt’altro che sistematici. Le proposte Ocse per i lavoratori svantaggiati prevedono di dedicare una parte dei fondi ai lavoratori delle fasce deboli, sviluppare piani individuali di formazione in senso più ampio e attivare misure di sostegno.
L’allineamento delle competenze
Perché i Fondi possano adempiere il loro mandato devono essere in grado di fornire una formazione utile e allineata alle esigenze del mercato del lavoro; una quota ampia della formazione spesso non supporta ancora lo sviluppo di competenze richieste. Se la formazione obbligatoria su Salute e Sicurezza rappresenta oltre il 30% delle attività sostenute dai Fondi, i corsi di formazione sull’Ict rappresentano invece poco più del 3%.
A tal proposito l’Ocse sviluppa alcune proposte per dotare i lavoratori delle competenze necessarie per affrontare la trasformazione digitale. Tutti i Fondi potrebbero sviluppare una linea di bilancio dedicata per l’innovazione tecnologica o dare un punteggio più alto di piani di formazione che includono questa tematica.
L’analisi dei fabbisogniLa formazione dei Fondi è ancora spesso supply-oriented e ciò è in parte dovuto al fatto che i Fondi, le imprese e i lavoratori sono a loro volta poco consapevoli delle reali esigenze formative. È dunque importante che i Fondi facciano ampio uso della valutazione delle competenze necessarie oggi e in un prossimo futuro, aiutando imprese e lavoratori identificare i loro bisogni.
L’Ocse raccomanda un migliore utilizzo delle valutazioni dei fabbisogni di competenze per stabilire le priorità di formazione, incoraggiando i Fondi a premiare i piani formativi in base alla qualità di queste analisi e sviluppando un’applicazione informatica per aiutare le imprese e i lavoratori a valutare i fabbisogni.
Standard di qualità rigorosi
I Fondi dispongono di una vasta gamma di strumenti per garantire la qualità, ma non sono abbastanza omogenei. Ogni Fondo ha infatti la sua strategia di accreditamento per garantire che i finanziamenti vadano a Enti di formazione di qualità. Alcuni Fondi si basano sui sistemi di accreditamento regionali, mentre altri hanno i propri criteri. Diverse sono anche le procedure di assegnazione dei contributi; alcuni affidano la valutazione a commissioni esterne mentre altri valutano le richieste internamente.
Questa varietà di pratiche dà ai Fondi una grande quantità di autonomia e flessibilità, ma rischia anche di generare profonde differenze nella qualità della formazione fornita.
L’Ocse propone che i sistemi di accreditamento vengano armonizzati, sulla base di una serie di standard di qualità simili e le procedure di attribuzione dei contributi si snelliscano, ad esempio rendendo obbligatorio un comitato esterno e indipendente per valutare piani di formazione.
La certificazione delle competenze
L’Italia ha dedicato notevoli sforzi per migliorare il suo sistema di certificazione delle competenze e la quota di partecipanti alla formazione finanziata dai Fondi che ricevono una certificazione è passata dal 48,8% nel 2014 per 61,8% nel 2016. Nonostante i progressi, una grande quota di formazione finanziata rimane ancora non certificata. L’Ocse raccomanda di stabilire una durata minima dei percorsi di formazione, in modo da garantire che la breve durata dei corsi non comprometta la certificazione e che ogni piano di formazione sia progettato facendo riferimento a un sistema di certificazione delle competenze.
La concorrenza tra i Fondi
Se, in teoria, una certa concorrenza tra Fondi può essere auspicabile (in quanto può spingerli a migliorare la qualità dei servizi), in pratica questo non accade. I Fondi spesso cercano di attirare le imprese facilitando le procedure amministrative o dando alle imprese più indipendenza su come utilizzare i contributi, invece che concentrandosi sulla qualità della formazione. Inoltre, fino a poco tempo fa, hanno operato in un quadro giuridico incerto, che ha anche contribuito a creare un ambiente competitivo.
Perché questa competizione resti sana, per l’Ocse sono disponibili diverse opzioni: la riduzione del numero di Fondi (ad esempio con la fusione di quelli più piccoli o meno efficienti), il collegamento di ogni Fondo a uno specifico settore economico e l’imposizione di standard operativi minimi.
Un sistema di monitoraggio
Il sistema informatico gestito da Anpal che raccoglie i dati sulle attività dei Fondi ha diversi limiti. Ad esempio, nessuna informazione viene raccolta a livello di impresa e lavoratore, il che genera doppioni e limita l’analisi dei dati. Alcuni aspetti delle attività dei Fondi sono assenti (la qualità della formazione), o non approfonditi (la certificazione delle competenze). Inoltre il sistema non è collegato ad altri database sulla formazione degli adulti (quelli regionali), il che rende difficile controllare se gli sforzi per la formazione degli adulti si duplicano o si completano a vicenda. Ma ciò che ancora manca è uno sforzo sistematico per misurare i benefici della formazione.
Il coordinamento tra Fondi
I Fondi lavorano in modo compartimentato e le loro interazioni rimangono informali. Anche il coordinamento con le istituzioni di Governo è poco sistematico. Un coordinamento tra Fondi, anche con la partecipazione degli altri attori della formazione, porterebbe occasioni di cooperazione e di condivisione di buone pratiche. Le proposte di Ocse in merito sono la creazione di un Osservatorio nazionale per facilitare, tramite riunioni periodiche, il coordinamento tra i Fondi, il Governo, e gli altri attori coinvolti.
La formazione dei disoccupati
I Fondi potrebbero svolgere un ruolo importante anche nell’aiutare i disoccupati a riqualificarsi e reintegrarsi nel mercato del lavoro. Questo significa l’inserimento dei disoccupati nel novero dei destinatari finali dei contributi, nell’ambito di un quadro giuridico che non è stato concepito per questo scopo. Infatti, la maggior parte delle attività di formazione dei Fondi rimane focalizzata sui lavoratori occupati (oltre l’87% di tutti i contributi).
Dunque, se i Fondi saranno chiamati a svolgere un ruolo più importante nella riqualificazione dei disoccupati, il quadro giuridico avrà bisogno di un aggiornamento e dovranno essere allocate risorse finanziarie aggiuntive per garantire che i Fondi siano in grado di affrontare le nuove responsabilità.
Il nostro punto di vista sulle raccomandazioni Ocse
Rispetto a quanto indicato dall’Ocse, peraltro basato su una interessante e aggiornata analisi della situazione che raccomandiamo ai nostri lettori, ci sono alcune cose che riteniamo condivisibili e altre meno. Certamente sono apprezzabili le proposte relative alla semplificazione, al coordinamento delle politiche dei Fondi e degli altri attori e soprattutto alla revisione normativa.
Sono meno condivisibili le parti fortemente “prescrittive”, ad esempio quando si usano le parole “vietare” riguardo la SSL. Per quanto riguarda le Pmi riteniamo che l’Ocse abbia un approccio troppo teorico, mentre è interessante l’attenzione alla formazione dei titolari di questo tipo di imprese.
Apprezziamo totalmente quando detto sull’importanza della certificazione delle competenze; troviamo invece un po’ velleitario il modello di certificazione legato alla quantità di ore minime per corso, cosa incompatibile con la formazione degli occupati. Altro elemento interessante è l’attenzione ai lavoratori delle fasce deboli che deve però passare per la riqualificazione profonda degli operatori delle Parti Sociali affinchè promuovano i Fondi.
Ocse sottolinea questo fabbisogno e ci uniamo a tale auspicio. Condividiamo invece la proposta per un aumento delle risorse a disposizione dei Fondi, che intanto potrebbe ripartire dall’abolizione del prelievo governativo annuale di 120 milioni di euro. Vediamo inoltre sempre con molta perplessità il coinvolgimento dei Fondi nelle politiche passive per i lavoratori disoccupati, per le quali non hanno risorse e, soprattutto, strumenti e regolamenti adeguati.
Non apprezziamo molto le proposte di accorpamento dei Fondi, che non tengono in conto la rappresentanza, mentre sarebbe più giusto che Anpal sorvegliasse con maggiore attenzione la competitività.
In definitiva il documento Ocse è sicuramente un contributo validissimo al dibattito, contenente proposte condivisibili, anche se resta in linea con una preoccupante tendenza al “dirigismo” già in corso da tempo e sulla quale sarebbe bene interrogarsi riguardo a quanti ostacoli finora abbia provocato al funzionamento dei Fondi.