Welfare Provider: puri, ibridi o reseller?

I provider di servizi di Welfare Aziendale possono essere classificati sulla base della proprietà della piattaforma e del grado di specializzazione in tre principali tipologie.

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Welfare provider

di Giovanni Scansani* |

L’intero settore dei servizi gestionali di supporto al Welfare Aziendale deve la sua origine a due operatori “profetici”: la vercellese Eudaimon e la milanese Easy Welfare che, rispettivamente nel 2002 e nel 2006 – ben prima che il Welfare tornasse “di moda” – hanno avviato le loro attività in questo campo coprendo progressivamente le diverse aree tematiche che ne caratterizzano i contenuti.

Dalla costituzione di queste due società, con una potente accelerazione negli ultimi anni, sono nati numerosi follower, in parte del tutto nuovi e in parte espressione dell’ingresso in questa nuova arena di mercato di realtà già attive e molto consolidate in settori diversi, ma tuttavia sinergici con quello dei servizi gestionali per il Welfare Aziendale.

L’impetuoso flusso in ingresso di nuovi competitori, entrati a decine negli ultimi anni in questo nascente settore, cui è seguito, poi, il fenomeno delle numerose partnership tra Provider e sedi territoriali delle organizzazioni di rappresentanza di parte datoriale (che ha replicato e ampliato la presenza dei diversi player sul territorio nazionale), ha giustificato una ricerca, la prima in assoluto, che ha cercato di dare una fisionomia più precisa al nuovo mercato la cui ormai solida strutturazione è testimoniata anche dall’esistenza di ben due associazioni di “categoria” nel frattempo sorte per rappresentarne gli interessi.

Si è così giunti a una classificazione emersa nel quadro di una ricerca curata dal professor Luca Pesenti dell’Università Cattolica di Milano e realizzata in collaborazione con chi scrive. Questa prima analisi quantitativa del mercato dei Provider ha, in primo luogo, identificato i due fondamentali parametri con cui distinguere questi operatori:

1 | la proprietà della piattaforma informatica utilizzata;

2 | il grado di specializzazione con la quale i servizi di supporto al Welfare Aziendale sono gestiti per il tramite della piattaforma stessa;

Tre tipologie di Welfare Provider

Sulla scorta di tali parametri è stato possibile definire tre tipologie di Provider:

il “Provider puro”: proprietario di una piattaforma e unicamente attivo (dunque specializzato nella misura massima) nella progettazione, nella vendita e nell’esecuzione di servizi di supporto al Welfare Aziendale;

il “Provider ibrido”: proprietario di una piattaforma, ma concentrato su un diverso core-business rispetto al quale la gestione dei servizi di supporto al Welfare Aziendale rappresenta un utile e sinergico completamento della sua offerta caratteristica;

il “Provider reseller”: non proprietario della piattaforma, concentrato su un diverso core-business (pur sempre sinergico con i servizi di supporto al Welfare Aziendale) e che per poter competere nel settore ha stretto una partnership (con un Provider “puro” o un Provider “ibrido”) in forza della quale agisce “come se” disponesse di un proprio “portale” (che in alcuni casi è anche “griffato” con il proprio brand). Appartengono a questa terza tipologia anche alcune società che agiscono in apparenza come Provider “puri”, ma che, in realtà, sono dei “reseller specializzati” in quanto unicamente attivi nella rivendita (sia pure con un loro marchio) del “portale” di un Provider (“puro” o “ibrido” che sia).

Welfare Provider: “Reseller” vs “Puri”

A prima vista potrebbe sembrare che la tipologia del “Provider reseller” esprima una sostanziale posizione di debolezza rispetto alle alte due e ciò è senz’altro vero pensando a realtà di modeste dimensioni (per struttura e strategia complessiva) che sembrano voler presidiare il settore più che esprimervi un ruolo da protagonista.

Non è così, invece, per quelle aziende di rilevanti dimensioni (soprattutto banche e compagnie assicuratrici) che hanno scelto di rivendere un “portale” di terzi per completare la propria offerta senza dover effettuare alcun particolare investimento in termini gestionali, tecnologici e soprattutto organizzativi.

Ciò almeno per il momento: non si può escludere, infatti, che a medio termine, dopo una fase di consolidamento delle esperienze e di progressiva acquisizione di know-how, il “reseller” si doti di un’infrastruttura propria trasformandosi in un “Provider ibrido” (se concentrato su un core-business comunque diverso) o in un “Provider puro” (laddove il “salto” sia effettuato da un “reseller specializzato” che, come tale, aveva ab origine nella gestione dei servizi di supporto al Welfare Aziendale la sua attività esclusiva).

Quali che possano essere le mosse all’interno del cluster dei “reseller” un fatto resta al momento incontrovertibile: la maggior parte dei player del settore non dispone della proprietà della piattaforma con la quale opera. Il che è quanto dire che gli operatori proprietari della piattaforma (“puri” o “ibridi” che siano) sono sì in minoranza, ancorché in alcuni casi molto qualificata (per expertise, per dimensione del portfolio clienti, per i volumi gestiti, per la dimensione del network dei fornitori dei servizi finali cui possono accedere i lavoratori e per il numero complessivo di questi ultimi registrati sui loro “portali”), ma che tale minoranza, grazie agli accordi di “reselling”, ha avuto la capacità di presidiare il mercato anche indirettamente, espandendo la sua presenza ben al di là della sua dimensione complessiva. L’esistenza di un più cospicuo numero di “Provider reseller” ci sembra possa avere due spiegazioni principali:

la “timidezza” di approccio da parte dell’operatore che, spesso di non rilevanti dimensioni o non sufficientemente skillato e privo dell’intenzione di formare professionalità e strutture dedicate rispetto al nuovo campo d’azione, non se la sente di investire in un business comunque diverso dal suo. Il rischio di questa posizione, ove poi si decida di entrare con maggiore decisione nel settore, potrà essere quello di dover colmare verso i competitori un gap fattosi nel frattempo ancora più ampio finendo, quindi, per dover investire risorse superiori a quelle che potevano essere stanziate, con più lungimiranza, in una fase antecedente;

l’approccio solo “commerciale”, inteso come l’utile sinergia che occuparsi di Welfare Aziendale può consentire di sfruttare sul piano dell’immagine complessiva e del sostegno commerciale alla vendita di servizi la cui natura è complementare a quella del Welfare Aziendale, ma dotata di una sua forte autonoma connotazione sulla quale s’intende continuare a puntare in quanto rappresenta il business principale (è questo, ad esempio, l’approccio delle compagnie assicurative, delle banche, come anche delle Agenzie per il Lavoro). Per queste realtà “vendere” WA offre un’evidente opportunità di retention della clientela esistente e di ulteriore sviluppo del portfolio complessivo perché occuparsi di Welfare Aziendale è del tutto “logico” rispetto alla loro tradizionale offerta (oltretutto già rivolta a interlocutori aziendali ad essi ben noti: la direzione HR, il top management o la proprietà delle imprese).

Welfare Provider: il ruolo dei big “Reseller”

Quale che sia la strategia e l’approccio sottostante all’ingresso nel settore occorre notare che la caratteristica saliente dei Provider “ibridi” e dei “reseller” è che questi sono spesso espressione di realtà aziendali di enorme dimensione ed è agevole comprendere quale spinta propulsiva alla diffusione delle prassi potrà derivare dall’azione commerciale (e in qualche caso culturale) posta in essere da queste realtà.

Per rendersene conto basterà pensare al livello di organizzazione e di distribuzione territoriale di cui dispongono alcuni “reseller” (banche e assicurazioni, ossia i “reseller” più dimensionati, possono contare su migliaia di filiali e agenzie ossia su migliaia di “punti di contatto” con le imprese potenzialmente interessate): è il caso di realtà come BancaIntesa, che si avvale di un portale di terzi ribrandizzato WelfareHub, Ubi Banca, che agisce con il brand UbiWelfare, e Generali, che ha fatto le cose in grande e opera tramite una sua società specializzata, Welion.

Due di queste, poi, sono ormai anche fonti di studio e analisi del Welfare Aziendale molto seguite da chi si occupa della materia: Ubi Banca, in collaborazione con Adapt, ha pubblicato la seconda edizione del “Rapporto sul Welfare occupazionale e aziendale in Italia” (di cui si è parlato nel precedente numero di questa rivista), mentre Generali è giunta alla quarta edizione della ricerca “Welfare Index Pmi” (che coinvolge oltre 15.000 piccole e medie imprese). Come si comprende si tratta di presenze con le quali i Provider “puri”, attuali partner di colossi di questo tipo, dovranno forse un giorno confrontarsi sul piano commerciale in funzione delle scelte che il “reseller” deciderà di adottare in futuro.

In buona sostanza, il Provider “puro” sa che la partnership con il big player può senz’altro ampliare il suo giro d’affari (i PWA dei clienti dei “reseller” sono comunque fatti “girare” sulla piattaforma della quale è pur sempre proprietario il Provider che con quei clienti entra dunque in relazione diretta), ma non potrà mai escludere che possa arrivare il giorno in cui la partnership si concluda e si trasformi ipso facto in un boomerang, ossia nella nascita di un concorrente diretto e per di più di proporzioni non comparabili con le sue.

Welfare Provider: il ruolo delle datoriali

L’unico caso di partnership che non comporta rischi del tipo appena descritto è quella che il Provider abbia stretto con un’associazione datoriale: in tal caso è molto improbabile immaginare che una sede territoriale di Confindustria, Confapi o Confcommercio, si metta “in proprio” per offrire ai loro associati i servizi erogabili tramite un “portale” proprietario. È improbabile, ma non impossibile, come ha dimostrato la sede vicentina di Confindustria, che si è invece dotata di una sua infrastruttura web (il cui brand è WelfareMeet) presidiando in tal modo direttamente l’intero rapporto con le aziende ad essa iscritte (che altrimenti sarebbe stato il Provider-partner a gestire e a controllare).

Il ruolo del provider ibrido

Ovviamente nessuna delle criticità descritte si presenta nel caso del Provider “ibrido”: qui non ci sono terzietà retrostanti al “portale” perché questo è di sua proprietà e rappresenta lo strumento con il quale questo tipo di operatore è entrato direttamente nel mercato dei servizi gestionali per il Welfare Aziendale e sinergicamente rispetto al suo core-business.

Anche in questo gruppo si registra la presenza di big player che tali sono nel settore di provenienza, ma che aspirano a dire la loro anche in quello nel quale si sono da ultimo inseriti potendo contare, sin dall’inizio, sul consolidato portfolio di clienti del quale dispongono (è il caso, ad esempio, di alcune grandi aziende che si occupano di payroll, delle Agenzie per il Lavoro, delle società emettitrici di buoni pasto e anche di alcuni grandi Studi professionali di Consulenti del Lavoro con più sedi sul territorio nazionale).            


* Giovanni Scansani è co-founder e amministratore unico di Valore Welfare srl, società di consulenza per la definizione e l’implementazione di modelli di Welfare Aziendale.
L’analisi proseguirà sul prossimo numero con un ulteriore sguardo alla funzione sociale del Welfare e con alcuni “consigli per gli acquisti”.

 

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