Dall’indagine retributiva 2019, una mappa degli stipendi elaborata dall’unione industriale di Torino, emerge che l’80% delle imprese adotta almeno uno strumento di Welfare aziendale al proprio interno, in un mix di benefit che arriva a pesare fino al 2,7% del budget aziendale.
Tra gli strumenti preferiti ci sono l’assistenza sanitaria, la previdenza complementare, ma anche le mense aziendali e i ticket restaurant che assorbono la maggior parte delle risorse. La ricerca è frutto di una collaborazione di alcune tra le principali associazioni territoriali di Confindustria ed è stata effettuata attraverso tre diverse rilevazioni, tra marzo e maggio 2019, a cui hanno risposto quasi 2mila imprese con quasi 275.000 dipendenti.
Gli strumenti di Welfare
Relativamente alla diffusione dei singoli strumenti di welfare, al primo posto si posiziona l’assistenza sanitaria integrativa, presente nel 61,8% delle imprese che hanno dichiarato l’utilizzo di almeno una forma di welfare. Seguono la previdenza complementare (47,5%), buoni pasto e mensa (36,9%), altri fringe benefit (33,8%), carrelli spesa (17,6%), area istruzione (14,3%), area cultura (13,2%), assistenza familiari (8,8%), servizi mobilità (5,4%).
Si ha anche una sostanziale conferma del ranking relativo all’incidenza percentuale del costo delle tipologie di welfare aziendale sul costo del lavoro, salvo due eccezioni. Confermano il primo posto buoni pasto e mensa con l’1,7%, segue la previdenza complementare con l’1,4%. Scalano il terzo posto i servizi di mobilità all’1%, in correlazione con l’introduzione della non imponibilità delle erogazioni o rimborsi a fronte delle spese per gli abbonamenti di trasporto pubblico per il dipendente e i familiari, di cui al nuovo comma d-bis dell’articolo 51 comma 2 del Tuir.
Al contrario perde posizioni il carrello della spesa, che si attesta allo 0,4%: l’ipotesi più probabile in questo caso è che il vincolo a cifra fissa di 258,23 euro per i voucher pluriuso inizi a essere ritenuto penalizzante. Guardando nel dettaglio gli oneri complessivi, le imprese di maggiori dimensioni dichiarano il valore di incidenza superiore, pari al 3,4%.
Al contrario, le imprese più piccole rimangono ferme all’1,8%. La distinzione per settore restituisce la fotografia non scontata: l’industria registra un’incidenza del 2,5% a fronte del 3,5% dei servizi. Dal punto di vista territoriale, si rileva una limitata variabilità tra le aree: l’incidenza media sul costo del lavoro, pari al 2,7%, oscilla tra il suo massimo in Lombardia al 3% e il suo minimo in Piemonte al 2,4%, mentre è confermata in Emilia-Romagna e in Veneto.