Nel cuore delle aziende

Anche per una Pmi è importante raccontare se stessa, i propri valori e la propria storia, a chi vi lavora. Lo storytelling permette infatti di creare un clima di coesione, fatto di valori, informazioni e obiettivi condivisi.

0
102
pagine di un libro che formano un cuore

di Gabriel Del Sarto*

“Il narratore è colui che accoglie in sé l’esperienza e la trasforma in esperienza per il lettore” affermava Walter Benjamin, che di storie e narratori se ne intendeva parecchio.

In che senso questa affermazione ha un valore per il nostro discorso? In altre parole, se può essere intuitivo capire che raccontare un brand serva per la comunicazione verso il cliente esterno (come abbiamo tentato di descrivere negli articoli pubblicati sui numeri precedenti della rivista), la stessa operazione ha un senso se rivolta al cliente interno, ovvero ai dipendenti, ai collaboratori e ai dirigenti?

Oggi un settore che si occupa di gestire le Risorse Umane deve affrontare una complessità inedita, una sfida che richiede strumenti culturali e competenze operative per niente banali.

L’efficacia dello storytelling aziendale

Anche nelle Pmi ce ne stiamo rendendo conto: un’azienda ha un bisogno vitale di coinvolgere le persone che vi lavorano, ha bisogno di creare (o ricreare) un clima di coesione, fatto di valori, informazioni e obiettivi condivisi. Esiste poi, a dirla tutta, anche un altro bisogno cui prestare attenzione, un bisogno muto, quasi non lo si volesse confessare: le nostre aziende vivono in un territorio, chi lavora per noi si relaziona col mondo che circonda l’azienda, con le persone e con le istituzioni. In questo senso (non solo in questo a dire il vero) aveva ragione Olivetti: le aziende dovrebbero essere pensate per l’uomo e non il contrario.

È qui, in questo incrocio di bisogni e destini, che lo storytelling può risultare decisivo, perché fa emergere il capitale narrativo che è custodito dentro un’organizzazione, lo fa comprendere a chi vi lavora, rafforzando la scoperta continua del significato e dei fini del proprio lavoro.

Perché raccontarsi ai propri dipendenti

Possiamo cercare di sintetizzare i principali motivi per cui è importante, anche per una Pmi, raccontare se stessa, i propri valori e la propria storia, a chi vi lavora.

Partiamo dal primo e forse più importante: costruire un senso di fiducia e di appartenenza. La fiducia e l’appartenenza sono strettamente connesse. Il modo migliore per farlo è utilizzare una voce narrante “diretta”, senza maschere. La voce di questo racconto deve essere quindi il fondatore o il responsabile dell’azienda. Qualcuno che ne incarna, nella percezione di tutti, il volto e l’anima. Solo partendo da questa voce possiamo raggiungere una sorta di identità collettiva. Se raggiungiamo l’identità collettiva abbiamo gettato basi solide per creare senso di appartenenza, talvolta anche orgoglio nel riconoscersi parte attiva di un progetto comune.

Molto più di un fine settimana in outdoor (con buona pace dei miei colleghi formatori che spingono su queste formule di team building) è la scoperta di essere co-narratori (anzi co-autori) di una storia comune che dura nel tempo, a dare longevità alla coesione di un gruppo di lavoro.

Altro aspetto importante e correlato al precedente: la scoperta delle radici e dei valori. Se è vero che le persone non vogliono connettersi con un’azienda o un marchio, ma vogliono connettersi con altre persone, è solo comunicando le radici e rendendo condivisi i valori aziendali (spesso invece nemmeno chiari a chi l’azienda la dirige) che si getteranno le basi per una reale connessione.

Ogni grande imprenditore, e non ci si riferisce alle dimensioni che un’impresa potrà assumere, ha coltivato la volontà di comunicare, a chi lavorava con lui, la passione, le fatiche, le paure e i fallimenti che inevitabilmente hanno caratterizzato il suo percorso. Raccontare da dove sono partito e dove sono ora: quando un fondatore comunica tutto questo, di fatto rende evidente la visione che ha sorretto tutto il cammino. E immaginare il futuro non sarà solo un esercizio astratto o freddo di pianificazione aziendale, ma un progetto caldo ed emotivamente potente.

Le caratteristiche del racconto

Certo il racconto deve essere onesto, senza toni “agiografici”. È più importante parlare delle difficoltà affrontate, persino delle sfide perse, anziché sottolineare ad ogni riga quanto siamo stati bravi. Non devo infatti dimenticare chi è il destinatario di questa narrazione, il lettore finale: le persone che lavorano dentro l’organizzazione. Non serve quindi edulcorare. Non c’è infatti niente che cementi di più un gruppo dell’affrontare assieme avversità e difficoltà, raccontandosi che cosa si è provato, quanta fatica si è fatta, quanto sudore si è versato. Storie di questo genere comunicano una verità: le aziende sono fatte di persone che, quando si coalizzano unendo le loro energie, possono fare grandi cose.

Il racconto deve, inoltre, essere veicolato dai media più adatti al contesto: dalle biografie aziendali cartacee ai pannelli colorati che caratterizzano intere parti di una sede o di un’unità produttiva, dai libri digitali da scorrere con un dito su un grande schermo alle videonarrazioni su un canale web, dagli eventi culturali a dei veri e propri spettacoli messi in scena, fino a concorsi artistici per il personale.

Moltissimi sono gli strumenti alla portata delle tasche di una Pmi; si tratta solo di imparare quale forza nascosta ci sia dentro le storie aziendali e poi trovare il coraggio per farle emergere.

STORIE CHE GUIDANO

Un imprenditore che ha segnato i decenni a cavallo tra il XX e il XXI secolo, Steve Jobs, lo aveva capito benissimo. Uomo che aveva attraversato varie stagioni, dalla caduta fino alla rinascita, dalla malattia a una guarigione miracolosa; la sua era una storia perfetta per il pubblico americano.

Lo sapeva così bene da costruirvi il racconto di uno dei suoi più potenti momenti pubblici, il famoso discorso all’Università di Standford nel 2005, pochi mesi dopo la vittoria (che poi sapremo essere momentanea) su un terribile tumore al pancreas. In quella occasione Jobs scrive (e pare sia davvero opera sua) un discorso straordinario, per capacità di presa non solo sui giovani neolaureati che lo ascoltavano sul prato dell’ateneo. In quel momento Jobs, parlando di sé, parla in realtà delle sue due grandi aziende: la Pixar e, in particolare, la Apple. Non si può distinguere: ogni frase vale per la sua parabola umana, come per i due brand. Alle tre brevi storie che narra quel giorno dà dei titoli eloquenti: Unire i puntini, Amore e perdita, Sulla morte.

Alla fine di queste tre storie, mentre svela la morale, offre a quei giovani un programma per il loro futuro: “stay hungry, stay foolish” (che tradotto in italiano significa: “restate affamati, restate folli”). Quello che può sembrare uno slogan da guru della comunicazione, era stato in realtà il programma sostanziale che unì per diversi mesi il gruppo di ingegneri e programmatori Apple che lui guidò alla realizzazione del primo Mac. Un gruppo che fu costituito in concorrenza e contrasto col resto dell’azienda.

Non è necessario però andare oltreoceano: per chi volesse, da tempo sono stati pubblicati i vari discorsi di Adriano Olivetti. Alcuni di questi furono, per anni, la guida per migliaia di operai, ingegneri e creativi di una delle più splendide realtà imprenditoriali del mondo occidentale. Un tesoro da riscoprire, da cui attingere per modellare le nostre storie.

 


* Gabriel Del Sarto è consulente, formatore, specialista in storytelling e amministratore delegato della società Etruscaform.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here