Vittime involontarie della quarantena

Chi ci ha perso davvero sono le donne, su cui è ricaduto tutto il peso. Una crisi, quella dovuta al Coronavirus, che rischia di trasformare le madri lavoratrici in casalinghe.

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donne in quarantena

di Francesca Praga |

Questo nuovo virus, arrivato veloce e silenzioso nelle nostre vite, non lo è stato altrettanto una volta scoperta la sua aggressività: tant’è che, storicamente, un periodo come questo, con chiusure protratte e continuative di buona parte delle attività lavorative e delle scuole, lo si era visto solo in tempo di guerra.

Alcune province lombarde hanno visto divampare il tasso di mortalità locale in modo drammatico per diverse settimane e, ancora oggi, mentre scrivo, il numero di morti quotidiano continua a essere alto, nonostante tutte le misure precauzionali messe in atto da fine febbraio. Se, da una parte, è stato stilato un identikit del “paziente tipo” più fragile, quello che ha poche probabilità di sopravvivere al virus se ne viene a contatto e che queste misure di quarantena forzata stanno tentando di proteggere, dall’altra ci sono altrettante vittime celate, silenziose e forse involontarie di questa pandemia: le donne.

Con la chiusura a tempo indeterminato delle scuole (si parla, senza certezza alcuna, di una possibile riapertura a settembre), con l’attivazione della didattica a distanza, con l’incentivazione dello Smart Working e l’emanazione di linee guida che sconsigliano il contatto tra gli anziani (ovvero i nonni) e i bambini, chi ci aspettiamo che resti a casa, con i più piccoli?

Secondo l’Eurostat le donne con un impiego sono il 45,3% della popolazione femminile totale; gli uomini il 66,5%. Aggiungiamo poi che i dati Istat ci dicono che le donne, a parità di mansione, hanno uno stipendio medio inferiore del 16% e che i giovani in Italia (quindi la popolazione tra gli 0 e i 14 anni, ovvero quella fetta di popolazione che non può stare a casa da sola) sono circa 8 milioni, cosa possiamo dedurre?

Donne in prima linea

D’altra parte ci sono altri aspetti che, in queste settimane, si sono fatti più evidenti: la partecipazione femminile alla gestione della pandemia è stata marginale, nel comitato tecnico-scientifico del governo non è presente nemmeno una donna, e nel team di esperti per la ripresa queste sono solo 4 contro i 13 colleghi maschi. L’assenza si è fatta a un certo punto così insostenibile che il ministro per le Pari Opportunità ha deciso di istituire una task-force esclusivamente composta da donne che si occuperà di mitigare l’impatto sociale ed economico della pandemia, un compito sostanzialmente equivalente a quello affidato al Comitato di esperti formato dal governo, responsabile della Fase 2.

Ma questa nuova task force in rosa – si legge nel documento con cui viene istituita – risponde alla necessità più specifica di allargare la partecipazione femminile nella ricostruzione di una normalità post-emergenza. Abbiamo bisogno di duplicare uno strumento per riparare a un errore ed equilibrare così – almeno apparentemente – la presenza delle donne nelle stanze dei bottoni? Non siamo ancora in grado di pensare a un gruppo di lavoro unico, con pari distribuzione delle forze, eterogeneo e bilanciato sia per competenze che per genere.

Soprattutto perché il dato – questo 0% di donne – stride con un altro dato importante relativo alla risposta operativa alla pandemia: in Europa più del 60% degli operatori sanitari sono donne, più dell’80% del personale di front desk nel commercio è donna, il 90% circa dell’assistenza domestica è fatta da donne. In pratica, durante questi mesi di pandemia, le donne non sono state nelle retrovie, anzi. Sono state in prima linea, senza venire minimamente rappresentate nello stato maggiore.

Funambole del tempo

Alla riapertura delle scuole a settembre, comunque ancora in dubbio, mancano ancora dei mesi: anche sommando congedi parentali, ferie, permessi straordinari, bonus baby-sitter, e non considerando i disagi economici, il gap di tempo che resta senza la possibilità di mandare i bambini a scuola o ai campus è molto ampio. E, come già sottolineato, i bambini non possono nemmeno essere affidati ai nonni.

Cosa succederà, allora? Più o meno quello che sta già accadendo da quando, a inizio  marzo, le scuole sono state chiuse: le mamme che hanno la possibilità di lavorare in Smart Working si trasformeranno in funambole del tempo, sincronizzando la call non postponibile con il cliente importante con il pisolino dei più piccoli, i meeting virtuali con la didattica a distanza, cucinando, sistemando casa e facendo la spesa on-line mentre i bambini guardano i cartoni animati o youtube, scrivendo il report da condividere con scadenza improrogabile con una mano e giocando con i Lego o la Barbie con l’altra.

E recuperando quello che non sono riuscite a fare nelle lunghe ore diurne, in quelle notturne, aumentando e comprimendo così il carico dello stress e della stanchezza. La casa, dunque, da luogo di calore e senso di famigliarità può trasformarsi rapidamente in un campo minato per chi cerca di mantenere gli equilibri tra i ruoli richiesti dalla società e se stessi.

Un aggravio del carico di lavoro

In una lettera spedita dalla Società degli Economisti e indirizzata a Paola Pisano, ministro per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione, il presidente Alberto Zazzaro ricorda che “dati i ruoli diseguali nella distribuzione del lavoro di cura e domestico (dati Ocse mostrano che le donne italiane lavorano un’ora e mezzo al giorno in più degli uomini, se si somma lavoro pagato e lavoro non pagato), è molto probabile che le misure di contenimento del Covid-19 comportino un ulteriore aggravio del carico di lavoro delle donne, con potenziali conseguenze negative di lungo periodo sull’occupazione femminile e sui divari salariali di genere”.

E già, perché se da una parte le donne lavoratrici che possono comunque svolgere la loro mansione in Smart Working risulteranno sovraccaricate, dall’altra restano tutte quelle donne per le quali l’esserci, fisicamente, sul posto di lavoro è necessario. E come potranno, queste, conciliare la necessità di accudimento e cura della prole con la loro situazione lavorativa?

Se da un lato, quindi, potrebbe essere utile chiedersi quanto si fosse realisticamente lontani dalla parità di genere prima della pandemia, dall’altro è fondamentale strutturare il dopo per far sì che questa parità si attui una volta per tutte. E per farlo si può partire proprio dal ruolo chiave che, soprattutto nei periodi di crisi, ricoprono le donne nella sussistenza familiare.

Come si legge sempre nella lettera indirizzata al ministro Pisano “le crisi economiche hanno conseguenze diverse per diversi gruppi della popolazione e, in particolare, possono avere effetti eterogenei per uomini e donne […]. La struttura del mercato del lavoro italiano vede donne e uomini concentrati in settori diversi (le donne occupate sono più concentrate nel settore dei servizi rispetto agli uomini occupati) e quindi, a seconda dei settori più colpiti dalla crisi, le conseguenze su tassi di occupazione e disoccupazione saranno differenziati per genere”.

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