Il rapporto tra lo storytelling e la leadership è stato focalizzato in tempi relativamente recenti. I motivi sono vari, uno è certamente il fatto che per affrontare una crisi o un qualsiasi tipo di sfida manageriale, i leader ricorrono alle storie solo se hanno già avuto modo di apprezzare il loro potenziale, altrimenti tendono a scartare questo strumento.
È necessario, ovviamente, ribadire che si parte dal presupposto che la storia raccontata per raggiungere un risultato con un controvalore economico o economicistico, è nettamente diversa dalla storia narrata per puro intrattenimento.
La narrazione corre in aiuto
Recentemente, alcuni studi si sono soffermati su due dimensioni della leadership connessa all’utilizzo dello storytelling: lo sviluppo delle risorse umane e la gestione dei momenti di crisi. La tesi era che lo storytelling dovrebbe esser parte integrante sia delle politiche di gestione delle crisi che dello sviluppo delle risorse umane, perché è proprio in questi momenti che il capitale umano deve essere in grado d’interpretare e cogliere le opportunità ambientali.
Ma in che modo le storie operano a favore della leadership? In generale riducendo l’incertezza e lo stress, fornendo spiegazioni in merito ad eventi avvenuti dentro e fuori l’organizzazione, aiutando a immaginare il futuro. Le ricerche ci dicono che grazie alle storie possiamo influenzare i processi cognitivi e, al contempo, gli individui riescono a dare senso alla crisi.
Possiamo utilizzare la crisi come “inizio” di una storia che va risolta; le narrazioni in tempo di crisi tendono a soppiantare la narrazione dominante e, quindi, a prenderne il posto. Lo storytelling, in definitiva, può essere utilizzato efficacemente per fronteggiare la crisi, al fine di ridurre lo stress e l’ansia dei membri dell’organizzazione.
Lo storytelling organizzativo sfrutta i racconti degli “story holder”. Il magazziniere, lo staff, il brand, un episodio passato o le previsioni di scenari futuri; le storie sono il collante motivazionale che spinge al problem solving in totale autonomia e responsabilità. Non si tratta di uno strumento d’intrattenimento a carattere antropologico, ma di un metodo scientifico nelle mani dei leader per spiegare il cambiamento, la strategia e richiedere un impegno più personale e profondo da parte del mercato interno.
Storie da leader
Ma quali storie può usare un leader? Ci viene in aiuto la classificazione di Bryan O’Neill, secondo il quale le storie possono esser ricondotte a quattro tipologie.
1 | Storie descrittive
Si tratta della forma più basica, perché priva di ogni elemento attraente e di persuasione, oltre a non contemplare alcun tipo di bisogno del capitale umano. Non sono perciò inquadrabili come storie organizzative, ma come semplici narrazioni con longevità molto bassa, basso stress e impatto limitato sul processo strategico (come un report sulla manutenzione ordinaria degli impianti).
2 | Aneddoti
Sono storie con un certo grado di divertimento e d’intrattenimento, che diventano opportune in talune situazioni. Spesso il tono è quello della commedia, dell’ironia o, talvolta, della tragedia. Date queste sue caratteristiche, queste storie vengono ripetute più a lungo nel tempo, essendo più piacevoli da ascoltare e gradevoli per il pubblico.
Ovviamente, la loro carica positiva tende a esaurirsi presto nel tempo, perché non soddisfano alcun bisogno del mercato “interno”. Ad esempio, un leader potrebbe raccontare che, grazie alle maggiori entrate, ha l’opportunità di viaggiare per quattro settimane all’anno, ma a causa della sua responsabilità crescente non riesce mai a farlo.
3 | Copione/Replica
La loro durata nel tempo è prolungata. Non hanno la funzione d’intrattenere, ma sono volte a ridurre l’incertezza sul futuro e l’ansia. Gli elementi costituenti di queste storie sono modulari, perché dipendono dal bisogno che si propone di volta in volta; pertanto, se la situazione si ripropone ciclicamente, la storia in esame verrà ripescata sempre più spesso.
Ad esempio, possono essere storie che vengono ripetute a tutti i nuovi assunti, per plasmare le loro percezioni o modo di pensare. Oppure quando un progetto viene cancellato, per ridurre l’impopolarità del management. La durata nel tempo è moderata e anche l’impatto sulla strategia viene salvaguardato (scontento/motivazione).
4 | Storie epiche/mitologiche
Queste sono le storie veramente attrattive, sia per l’aspetto emotivo che per quello dei bisogni insoddisfatti delle risorse umane. Vengono ripetute costantemente nel tempo ed essendo mitologiche vengono arricchite da chi le racconta: nonostante ciò, la lezione alla base della narrazione rimane intatta.
Sono ricche di dettagli eroici, tragici e tipicamente impostate come una commedia. Sono le storie dei fondatori, sul come hanno investito in tempo di crisi o su come è nata la loro idea dirompente: sono il faro delle risorse umane e forniscono la visione da seguire nel lungo periodo. Sono l’antidoto contro ogni tipo di recessione, anche la peggiore.
DIVENTARE STORYTELLER SI PUÒ: ECCO COMEScritto nel 2011 da Bryan O’Neill, autore americano di libri di genere “fantasy”, “Original Plots: The Unified Field Theory of Storytelling” introduce alle tecniche più innovative per la progettazione di storie originali e senza tempo. Il libro tratta la costruzione del mondo, lo sviluppo del personaggio, gli scenari e le interazioni tra i personaggi, fornendo anche strumenti utili per superare il cosiddetto blocco dello scrittore. O’Neill parte dal presupposto che tutti hanno una storia da raccontare e in quest’ottica aiuta a far sì che la storia possa essere concepita, completata e anche ascoltata, aiutando lo scrittore a visualizzare e organizzare i propri pensieri e le proprie idee in una struttura coerente, ad allineare la premessa con l’obiettivo, fornendo al contempo informazioni su come evitare gli ostacoli che possono bloccare o interrompere il processo di scrittura. |
* Gabriel Del Sarto è consulente, formatore, specialista in storytelling e amministratore delegato della società Etruscaform.