Come si mettono a fuoco le competenze richieste per coprire una determinata posizione? Quali criteri guidano la selezione dei candidati e perché l’azienda deve essere sempre più efficace nel raccontarsi ai suoi potenziali collaboratori?
Il digitale da solo non basta
Annamaria Sciré (nella foto) è Talent Acquisition Manager in Docebo, società di software per eLearning basati su Intelligenza Artificiale. Proprio quest’ultimo è un ambito per il quale l’azienda è sempre alla ricerca di competenze nuove e profili specifici. Tuttavia, quando si parla di recruiting, non è solo l’Intelligenza artificiale a fare la differenza.
“Abbiamo testato vari strumenti di AI per il processo di recruiting, ma ci rendiamo anche conto che è fondamentale rendere umano il processo di selezione per creare un punto di contatto con il candidato”, spiega Sciré. Per Docebo le persone sono l’asset principale e la funzione di Risorse umane svolge un ruolo chiave nell’attuare la strategia aziendale.
“Pianificare significa attuare processi coerenti di sviluppo che comprendono selezione, analisi del potenziale e prestazione e mappatura delle competenze. Mettere la persona ‘giusta’ nel ruolo ‘giusto’ è il principale obiettivo del processo di recruiting, ma accanto alla coerenza tra persona e ruolo occorre anche coerenza tra persona e organizzazione. Noi valutiamo soprattutto il potenziale nel lungo periodo, tenendo conto del livello di curiosità e passione nell’evolversi e formarsi”.
Le soft skill hanno quindi un ruolo determinante: “Direi che sono fondamentali per crescere. Il nostro è un business che si evolve ed è importante avere a bordo persone alla ricerca di sfide continue, con la voglia di mettersi in gioco rispondendo personalmente del proprio operato e proponendo nuove idee. Uno dei nostri valori è proprio l’accountability”. Nell’ambito tecnologico in cui si muove Docebo i talenti specializzati non sono molti, per questo diventano importanti anche la Candidate experience e l’Employer Branding: “Non è solo fondamentale costruire un job posting che possa permettere al candidato di capire meglio il ruolo, ma sempre più bisogna lavorare a monte per la costruzione di strategie di Employer Branding, come strategie di attraction”.
Anche le sponsorship, come quella del Pride e di SheTech, sono importanti per Docebo per trasmettere il tipo di percorso che si può intraprendere in azienda e l’ambiente di lavoro, perché “non è solo l’azienda a scegliere il miglior candidato da inserire, ma è anche il candidato che sceglie l’azienda migliore in linea con le proprie aspettative di carriera”.
Che cosa fa scattare la scintilla?
A ribadire il concetto secondo il quale le aziende devono impegnarsi per essere attrattive è Marco Ceresa, AD di Randstad Italia (nella foto).
“Le persone lavorano sempre più per una ‘cultura aziendale’ e non soltanto per un’azienda, pertanto anche le imprese, come i candidati, devono ormai essere in grado di risultare attrattive se vogliono assumere personale di qualità, comunicando con trasparenza ed efficacia quali sono i propri valori e cosa significa lavorare nella propria realtà”.
Lo scorso luglio Randstad ha consegnato gli Employer Brand 2020 sulla base della ricerca globale dedicata all’employer branding condotta dall’Istituto di ricerca Kantar TNS. In Italia l’indagine ha misurato il livello di attrattività percepita delle aziende italiane da parte dei potenziali dipendenti intervistando circa 6.300 persone di età compresa tra 18 e 65 anni e ha evidenziato che il fattore più importante per gli italiani al momento di scegliere un datore di lavoro è l’equilibrio fra vita professionale e privata.
Saper comunicare la cultura aziendale è un concetto ribadito anche da Dario D’Odorico, Senior Sales Director Italy di Indeed, una realtà da 9.800 dipendenti focalizzata su processi di selezione del personale basati su storie e dati reali: “Il processo di talent acquisition e attraction è equiparabile, per l’azienda, a un processo di marketing, nel quale è entrata come leva fondamentale anche la comunicazione: per attrarre i talenti, l’azienda deve sapersi raccontare, fare storytelling, ovviamente senza bluffare”.
Tornando all’indagine Kantar TNS, nella percezione dei potenziali dipendenti, però, ciò che offrono le aziende italiane non corrisponde alle loro aspettative: il work-life balance, in cima alle priorità dei dipendenti, si trova solo al sesto posto nell’offerta dell’attuale datore di lavoro e al nono in quella della media delle imprese italiane. Un disallineamento, quello fra aspirazioni dei lavoratori e l’offerta delle aziende, che deve far riflettere.
Punti fermi di un mercato in evoluzione
“Il nostro obiettivo è trovare il miglior abbinamento tra azienda e candidato ed essere un punto di riferimento per la vita professionale di quest’ultimo, dal momento della ricerca del primo impiego alle fasi di sviluppo della carriera. Vogliamo essere un partner che lo aiuti a capire la strada da percorrere in un mercato del lavoro che cambia molto rapidamente”, spiega Elisa Fagotto (nella foto), Candidate Manager in Openjobmetis, agenzia per il lavoro attiva nella somministrazione, ricerca, ricollocazione e formazione del personale.
“Al momento di entrare nel mondo del lavoro, aiutiamo il candidato a capire gli strumenti sui quali può fare leva, mentre durante lo sviluppo della carriera lo supportiamo nella valutazione delle proprie competenze e nei percorsi di formazione possibili. Organizziamo attività mirate con iniziative che hanno come target il candidato e, per le fasi di orientamento, lavoriamo sempre più per potenziare il rapporto con il mondo della scuola, collaborando alla definizione dei percorsi di orientamento. Affianchiamo anche coloro i quali escono, non per scelta, dal mercato del lavoro, e hanno la necessità di rientrarci, supportandoli in percorsi di up-skilling”.
Fagotto, che in Openjobmetis coordina anche le attività collegate al target cliente, ci parla di come sia cambiato il paradigma dominante nella selezione del personale e come le aziende ne debbano tenere conto: “Mentre in passato il candidato si lasciava scegliere e l’azienda sceglieva il candidato, oggi è lui, il candidato stesso, a scegliere dove andare a lavorare. Ecco perché il concetto di Employer Branding è sempre più strategico: l’azienda deve saper trasmettere la propria cultura, perché è questa uno dei fattori per i quali un candidato sceglie una realtà lavorativa piuttosto che un’altra. È un trend diffuso soprattutto nelle generazioni più giovani, dai millennial alla generazione Z. Stipendio, benefit e possibilità di avanzamento restano asset importanti, ma sono in cima alla lista soprattutto per chi è più avanti negli anni”.
La figura del candidato diventa quindi centrale nel processo di selezione, così come centrale diventa il suo tempo, al quale occorre dare il valore che merita: rectruiter e dipartimenti HR devono dare risposte certe al candidato nel suo iter di ricerca di lavoro, migliorando la Candidate Experience. E se l’azienda deve essere capace di comunicare la propria reputazione, usare i giusti canali e dare riscontri tempestivi, un’agenzia per il lavoro come Openjobmetis deve comunicare il proprio valore trasmettendo la propria capacità di porsi come partner.
Per farlo, occorre innanzitutto individuare il canale di comunicazione più appropriato per il target al quale ci si rivolge: “Usiamo gli strumenti più adatti per far dialogare i candidati con i vari attori del mondo del lavoro. Non possiamo ignorare il fatto che anche la persona meno abituata all’uso della tecnologia è comunque iscritta a un social media e lo usa come canale di comunicazione”.
L’interconnessione con il mondo tecnologico è quindi un dato di fatto nel processo di recruitment, se, però, sarà la tecnologia a dominare la scena, che cosa ne sarà dell’aspetto umano? Dello scambio emotivo? Fagotto non ha dubbi: “La tecnologia sta reinventando il business, ma il rapporto umano resta la chia ve del successo: l’azienda è comunque da intendersi come una comunità di persone, che condivide valori e senso di appartenenza. Una realtà che condivide con il proprio capitale umano i propri valori ne beneficerà in termini di business. In un ambito simile, il talento viene allenato costantemente, valorizzato. Certo, per alcune realtà meno strutturate si tratta di affrontare anche un necessario cambiamento culturale e investire di più nell’allenamento del talento, facendolo in modo sistematico, ma non è un’impresa impossibile: con il lockdown, ad esempio, molte aziende hanno dovuto accelerare il passaggio verso la digitalizzazione dotandosi di nuovi strumenti, investendo su nuovi asset e facendolo rapidamente, non più nell’ottica di medio-lungo termine”.
Il modo di interpretare e vivere il recruitment sta cambiando, è vero, la tecnologia sarà l’elemento abilitante, ma il valore aggiunto arriverà ancora dal capitale umano.
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