di Melania Mecenate* |
Da tempo si studia, si ricerca e si dibatte sulla capacità di cambiare del nostro cervello (neuroplasticità) e sulle nuove strade che le neuroscienze ci aprono per una maggiore comprensione della leadership, su come aumentare la sua efficacia per massimizzare la crescita propria e altrui. Ciò che sembra essere meno studiato e poco disponibile a leader e manager sono però degli approcci pratici, che li aiutino a essere maggiormente consapevoli ed efficaci nella propria e altrui capacità di cambiare. È per questo che voglio condividere tre “dritte” sul neuro-coaching acquisite nel tempo attraverso lo studio e l’esperienza.
1 | Aumentare la consapevolezza
Come anche in parte evidenziato dagli autori Nikolaos Dimitriatis e Alexandros Psychogios nel loro libro “Neuroscience for Leaders: A brain adaptive leadership approach”, è importante fare domande mirate sui seguenti elementi in quanto permette di fare chiarezza e di scegliere meglio cosa si vuole cambiare per essere più efficaci:
- Schemi di pensiero.
- Modalità di analizzare contesti, situazioni, persone e problemi.
- Strategie di comunicazione maggiormente utilizzate.
- Cosa normalmente spinge ad agire.
Tutto questo aiuta ad essere consapevoli dei meccanismi che il cervello mette in atto. Se riusciamo a osservare come il nostro e altrui cervello “percepisce, valuta e agisce”, abbiamo l’opportunità di usare al meglio queste preferenze e sviluppare quelle che ci mancano per il raggiungimento degli obiettivi.
2 | Facilitare la flessibilità
Per dirla con le parole di Jenny Brockis, autrice del libro “Future Brain”, “In un mondo in continuo cambiamento, stare al passo è già un’occupazione a tempo pieno”. Facilitare sé stessi e gli altri a guardare oltre la potenziale minaccia e verso la potenziale opportunità è dove risiede la capacità di adattamento. Conoscere e comprendere come il cervello percepisce tutto ciò che è nuovo e come preferisce cercare e adottare schemi familiari è fondamentale nel neuro-coaching. Il cervello deve decidere molto velocemente se si trova di fronte a una minaccia o a un premio; la nostra evoluzione è dipesa dalla nostra abilità di sopravvivere e quindi di default il nostro cervello prima presume ci sia un pericolo e dopo si fa domande.
Quindi, per facilitare la flessibilità è importante, attraverso domande e feedback, aiutare a trovare modi che minimizzino la risposta alla minaccia (rischio) e promuovano il guardare verso il potenziale premio (opportunità). Guardare alle opportunità infatti genera uno stato d’animo più positivo, ci aiuta a pensare meglio, apprendere più efficacemente e ad andare più d’accordo con gli altri. Questo accade perché si ha un migliore accesso alla corteccia prefrontale – che rappresenta il Ceo, ossia le funzioni esecutive, del nostro cervello e che svolge un ruolo fondamentale nei processi cognitivi e nella regolazione del comportamento: pianificazione, attuazione e conclusione di comportamenti diretti ad uno scopo. Quali sono alcuni modi per guardare verso l’opportunità?
- Curiosità | Fare domande su come le cose potrebbero essere fatte diversamente, migliorate e corrette. Accettare ed aiutare ad accettare che non abbiamo tutte le risposte (ed è normale non averle!); è quindi fondamentale chiedere, ascoltare e domandare aiuto. Vedere le cose con le lenti di qualcun altro aiuta a evolvere e a innovare. Essere curiosi aumenta il pensiero critico e la capacità decisionale.
- Growth Mindset | Aiuta te stesso e gli altri a guardare oltre i confini della propria esperienza e conoscenza per cercare nuove sfide e possibilità. Promuovi una cultura dove le persone possano essere a proprio agio nel fare errori, perché ci permette semplicemente di capire cosa non ha funzionato e ci dà l’opportunità di migliorarci per le prossime volte.
- Gestione delle emozioni | Il primo passo per una efficace gestione delle emozioni richiede l’essere consapevoli delle emozioni che si provano, e comprendere i messaggi che le emozioni veicolano, cosa le innesca e la reazione automatica che generano. Facilitare le persone a identificare le tecniche più adatte per navigare le emozioni per poter poi scegliere intenzionalmente un comportamento e a tener conto delle conseguenze che esso genera su sé stessi e sugli altri, promuove un clima positivo, che stimola collaborazione e creatività.
3 | Considerare e nutrire la motivazione
Secondo moltissimi studi sulla motivazione e come racchiuso nel libro di Kristen Hansen, neuro-leadership speaker, “Traction: The Neuroscience of Leadership and Performance”, il livello di motivazione è l’altro fattore fondamentale da considerare nel fare coaching oltre al livello di skill. Molti leader spesso non si occupano di chi è altamente motivato per due motivi principali:
- perché generalmente chi è molto motivato produce ottimi risultati;
- perché si dà per scontato che la persona molto motivata sia capace di continuare ad auto-motivarsi e di generare auto-riconoscimento.
Questo può diventare un pericoloso boomerang. È invece importante capire, attraverso domande e ascolto, cosa può rappresentare per queste persone una sfida, come possiamo aiutarle a crescere e spingerle a trovare progetti e opportunità che permettano loro di raggiungere il loro pieno potenziale.
Questo permetterà al contempo di evitare che il loro lavoro diventi troppo facile e demotivante, portandole così ad esplorare opzioni esterne. Bisogna anche valutare e identificare insieme quali nuove skill apprendere, identificare posizioni che permettano di muoversi lateralmente (non necessariamente verticalmente) nell’organizzazione per mantenere alto il livello di interesse. La vera e più comune difficoltà è fare coaching a persone con una bassa motivazione. La prima cosa, secondo Hansen, è determinare se la persona demotivata abbia skill alte o basse. Per persone capaci, ma demotivate, tra le principali strategie vi è il confronto, che può avere luogo durante una conversazione di coaching autentica. A volte è semplicemente necessario condividere ciò che stiamo osservando, il poco impegno, il mancato interesse ecc. Nel parlare e soprattutto ascoltare queste persone si può identificare cosa li può riportare “a bordo”, cosa li può stimolare. Non possiamo indovinare cosa manca e cosa possiamo fare, ma possiamo ascoltare ed essere genuinamente interessati e curiosi per poter porre domande sui loro valori, cosa li motiva, cosa è importante per loro e cosa farebbe la differenza nelle loro vite. In questo modo si facilita la persona a entrare in connessione con sé stessa e a essere intrinsecamente motivata. In generale, la motivazione intrinseca si basa sul valore che la persona attribuisce a ciò che sta facendo e agli obiettivi che persegue. Chi ha una forte motivazione intrinseca solitamente ha sviluppato consapevolezza e chiarezza di ciò che è importante per sé ed è capace di allineare tutto ciò a task e obiettivi aziendali.
Ma perché quello che è importante per noi ci motiva? Quali sono i meccanismi biologici che si traducono in benzina per la nostra motivazione?
La dopamina, neurotrasmettitore prodotto dal nostro cervello, è legata alla sfera del piacere e al meccanismo della ricompensa. Tutto ciò che suscita una sensazione di appagamento e gratificazione aumenta i livelli di dopamina e tra le funzioni che la dopa- mina regola, essa è anche responsabile della motivazione personale. Ad esempio, identificare obiettivi anche piccoli ma molto significativi e importanti per la persona è una strategia fondamentale, in quanto una volta raggiunti accrescono la gratificazione per- sonale e i livelli di dopamina.
Ulteriormente, sappiamo che altri due elementi agiscono come potenti forze per aumentare la motivazione: l’autodisciplina e la determinazione. Quindi, durante la conversazione di coaching sarà di aiuto far emergere quali strategie individuali possono garantire maggior auto-disciplina e determinazione senza tralasciare la consapevolezza individuale del perché sono importanti.
Con l’augurio e la speranza che ogni leader possa sviluppare e allenare consapevolezza, flessibilità e motivazione in se stesso e nel proprio team per affrontare e vincere le sfide di un mondo in continuo cambiamento.
* Melania Mecenate è co-founder e Head of Research and Development di Disclose srl, una start-up che si occupa di formazione e che ha sviluppato un nuovo concept sul talento, che aiuta le organizzazioni ad agire sui talenti delle persone utilizzando l’intelligenza emotiva, il coaching e le conoscenze in ambito neuroscientifico.