Per una formazione da applausi

Non solo imparare, ma fare esperienza: la formazione oggi deve saper coinvolgere e ha bisogno di form-attori, capaci di interpretare quel percorso di cambiamento che occorre ai discenti per crescere come individui e professionisti.

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di Mirco Spaggiari* |

Ci sono Paesi dove il coaching, il counseling, la formazione aziendale e tante altre pratiche complementari atte a migliorare il benessere all’interno delle aziende, stanno prosperando, favorendo la crescita personale dell’individuo e, di riflesso, quella delle organizzazioni. L’Italia, purtroppo, non è uno di questi.

Nel nostro Paese manca ancora una cultura della formazione e gli stessi formatori non sono sempre all’altezza dei loro compiti. Così, molte persone preferiscono passare ore su Youtube a seguire conferenze gratuite oppure frequentare corsi che comunque reputano troppo cari o non abbastanza qualificati, perché tenuti da formatori che si improvvisano esperti di lungo corso pur avendo svolto professioni completamente diverse sino al giorno prima.

La formazione come crescita personale

La formazione va intesa innanzitutto come un fattore di crescita personale, che viene poi trasferito come “empowerment” culturale alla propria azienda. Formarsi significa rivoluzionare la propria vita, incarnando in sé una consapevolezza sempre maggior per evolvere come individui: è qualcosa di diverso dall’assistere semplicemente a una lezione. Ecco perché non è più il tempo di lezioni da imparare a memoria e di formatori autoreferenziali, che si mettono sul piedistallo a impartire nozioni. Passare da uno stato d’animo negativo a un coinvolgimento sentito è un cambiamento netto: si tratta di mettersi davvero in gioco, mutare la propria interpretazione di se stessi e di ciò che ci circonda, voler fare esperienza.

Per vivere un cambiamento simile occorrono un confronto costante con il formatore e una didattica che abbia una sua logica e che includa intense sessioni di domande e risposte, nelle quali il discente può interfacciarsi direttamente anche con gli altri partecipanti al corso, parlare della propria esperienza, dare il proprio contributo e ricevere feedback. Come sosteneva Benjamin Franklin: “Dimmi e dimenticherò, insegnami e forse ricorderò, coinvolgimi e imparerò!”.

In Om.En Consulenze, con il progetto Ermolos (Entreprise Risk Management Olos a 360°), seguiamo una filosofia della formazione volta a stimolare il cambiamento nell’individuo, che può così far corrispondere quanto impara a quanto sente vero per sé, per poi portarlo nella propria realtà quotidiana e intraprendere un percorso di maturazione continua, che si trasferisce anche in ambito lavorativo.

Il cambiamento è sempre possibile

L’individuo moderno conduce la propria vita eseguendo azioni meccaniche, dettate da regole e standard comuni, che creano comportamenti automatici. Questo lo mantiene all’interno di una sorta di “schiavitù senza catene”, una condizione inconsapevolmente autoimposta, ma largamente condivisa da tutti coloro i quali incolpano altri per la propria condizione, dimenticandosi di esserne gli unici responsabili. L’unica vera forma di ribellione è quella interiore, verso l’inerzia dei propri condizionamenti e la meccanicità dei propri comportamenti: per vivere una realtà diversa, bisogna essere persone diverse, ma per tanti questo concetto sembra aver preso una piega insolita.

Infatti, nel mondo della formazione, sembra essersi fatta strada l’idea che agire nella vita di tutti i giorni sia fuori moda: si aspetta che l’universo si accordi a ciò che succede dentro di noi, ma questo atteggiamento non porta a nulla.

Per poter modificare la realtà, bisogna agire quotidianamente ed essere consapevoli che la nostra identità è fluida, perché segue i nostri comportamenti. Come? Sono due i concetti fondamentali: l’auto-valutazione e la precognizione.

Come persone valutiamo e giudichiamo noi stesse nello stesso modo in cui giudichiamo gli altri. Quindi, quando ci osserviamo a fare qualcosa, ci identifichiamo con quel comportamento. Quando il nostro comportamento cambia, anche la nostra identità percepita cambia.

La precognizione riguarda, invece, il principio secondo il quale i pensieri non portano necessariamente a comportamenti, ma i comportamenti possono portare a pensieri. In altre parole, è il nostro mondo interiore a creare il nostro mondo esterno. È vero che “la creazione interiore precede la creazione fisica”, ma anche i comportamenti e gli ambienti possono creare stati interiori: possiamo predire il nostro stato interiore comportandoci in determinati modi e posizionandoci in determinati ambienti. Ciò implica che il cambiamento non avviene solo dall’interno, ma anche dall’esterno.

Un esempio a questo proposito riguarda la ricerca sulla fiducia in se stessi, che dimostra come non sia la fiducia a produrre alte performance ma siano le performance a produrre la fiducia. Ciò dimostra che ognuno di noi ha il potere di cambiare radicalmente la propria identità: per farlo occorre rimodellare, in modo coerente e coraggioso, il proprio comportamento quotidiano.

Come imparare a evolvere

Seguendo l’approccio del cambiamento quotidiano possiamo dare forma consapevolmente alla nostra identità, sapere dove stiamo andando, che cosa vogliamo e ciò di cui abbiamo veramente bisogno. Come può la formazione aiutarci a raggiungere l’obiettivo? Con quale tipo di apprendimento?

A cavallo del 1970 furono condotti diversi studi scientifici per rispondere a questa domanda. Tra questi, il più importante è quello condotto nel 1969 dal pedagogista americano Edgar Dale e noto come il “Cono dell’apprendimento”. Lo studio dimostra in quale misura il coinvolgimento dei sensi e l’esperienza influenzano la memoria umana. Dale constata che quanto più l’individuo è coinvolto attivamente nell’apprendimento, utilizzando sinergicamente tutte le facoltà percettive e cognitive, tanto maggiore è l’efficacia dell’apprendimento stesso. Sono la sperimentazione sul campo e l’esperienza diretta di ciò che si vuole apprendere le migliori modalità per assimilarlo in modo profondo e duraturo.

I vantaggi dell’“imparare facendo” possono essere riassunti in quattro punti: partecipanti più coinvolti, perché si impara attraverso esperienze dinamiche; riduzione del gap derivante da un approccio esclusivamente teorico; le nozioni, i principi e gli strumenti appresi sono contestualizzati in situazioni reali; le competenze oggetto della formazione possono essere testate da subito. A conclusioni analoghe perviene anche David Kolb con il suo ciclo sull’apprendimento esperienziale efficace.

Il metodo più efficace con il quale l’essere umano evolve fonda quindi le sue radici in un’assimilazione meno passiva e più esperienziale possibile, quindi guardando, in video o dal vivo, il formatore che dimostra l’effettiva possibilità di un cambiamento vissuto e sentito prima su sé stesso; allo stesso tempo, questo cambiamento deve essere discusso, dibattuto in un lavoro di gruppo, meglio se tra poche persone affiatate e decise a evolvere senza pregiudizi.

In seguito, il tutto dovrà necessariamente essere trasferito nella realtà quotidiana attraverso delle azioni pratiche e dei comportamenti nuovi, che  dovranno poi essere condivisi con il gruppo di lavoro, per estrapolare nuove nozioni e consapevolezze.

Un approccio funzionale all’apprendimento in età adulta

L’apprendimento è la modificazione del comportamento che si basa sull’esperienza e che dura nel tempo. È un processo esperienziale e attivo di acquisizione di comportamenti stabili in funzione dell’adattamento delle connessioni neuronali, dovuto a stimoli interni o esterni.

L’apprendimento si divide in tre tipologie: formale, se deriva da attività formative, intenzionali e strutturate, realizzate da enti riconosciuti da una autorità competente, con rilascio di diplomi aventi valore legale; non formale, se deriva sempre da attività strutturate ma realizzate in ambiti diversi da quello formale e dà luogo al rilascio di attestati; informale, quando deriva da esperienze lavorative e di vita e non è intenzionale. L’individuo non finisce mai d’imparare nell’arco della sua vita e lo fa in modo diverso nelle varie età: il bimbo, l’adolescente e l’adulto non apprendono allo stesso modo. Per il nostro settore, è quindi importante porsi la domanda: come possiamo, come formatori, incidere nell’apprendimento dell’adulto di una qualsiasi organizzazione? Ci viene in aiuto l’andragogia, vale a dire l’arte e la scienza per aiutare gli adulti ad apprendere, sviluppata da Malcom Knowles nel 1970 attraverso una pratica informale di educazione degli adulti.

Gli adulti hanno bisogno di imparare in maniera esperienziale, pertanto l’istruzione va condotta non nel senso della memorizzazione di contenuti teorici, ma basandola sulla presentazione di compiti e situazioni sfidanti, ispirate a situazioni della vita reale.

Gli adulti si avvicinano alle sfide attraverso il problem solving, perciò le strategie da utilizzare sono case study, giochi di ruolo, simulazioni, autovalutazioni, confronto con il gruppo, visite in organizzazioni modello. Sei sono i presupposti in base ai quali il modello andragogico si differenzia da quello tradizionale pedagogico:

1   | Il bisogno di conoscere
Gli adulti sentono l’esigenza di sapere, perché occorre apprendere qualcosa prima di apprendere l’apprendimento stesso, pena la mancanza motivazionale.

2     | Il concetto di sé
Nell’adulto la dimensione di autonomia è diversa rispetto alla dipendenza da altri nel bambino o nell’adolescente.

3     | Il ruolo dell’esperienza
L’apprendimento deve integrarsi con l’esperienza precedente per far sentire utile il percorso che si sta facendo.

4      | La disponibilità ad apprendere
Gli adulti hanno la necessità ad apprendere ciò che hanno necessità di sapere e di saper fare, ma anche di saper essere.

5      | L’orientamento verso l’apprendimento
L’apprendimento dell’adulto coincide con i propri bisogni evolutivi e situazioni reali che

6      | La motivazione
Autostima, pressioni che nascono dall’interno, bisogni di autorealizzarsi e di essere riconosciuti e sentirsi utili.

Il bravo “form-attore” avrà cura di creare e assicurare il mantenimento di un clima favorevole all’apprendimento, di un sistema di comunicazione e ascolto tale da favorire la progettazione di un percorso comune e condiviso, di diagnosticare i bisogni di apprendimento, mettere in atto un piano di azione e valutare il buon stato di avanzamento del programma.

Conoscenza, abilità e competenza sono quindi requisiti fondamentali per esperire una didattica interattiva, partecipativa ed esperienziale, coinvolgendo in maniera diretta i discenti attraverso obbiettivi mirati e motivando con la propria esperienza, ricca di significati anche emotivi, le aziende clienti, che saranno così richiamati a un senso di responsabilità e consapevolezza necessario per una crescita personale.

I REQUISITI MINIMI DI UN FORM-ATTORE

1. Saper comunicare, ascoltare e relazionarsi

2. Essere consapevole, saper gestire le emozioni, avere autostima ed equilibrio

3. Padroneggiare metodologie e tecniche della professione

4. Sviluppare pratiche professionali

5. Essere curioso verso discipline ausiliarie (pedagogia, andragogia, psicologia, sociologia, filosofia, salute e benessere, diritto)

6. Rispettare le linee guida etiche e gli standard professionali deontologici

7. Rispettare il patto d’aula

8. Avere un rapporto di fiducia e vicinanza con il cliente

9. Sapersi porre con giusto atteggiamento e stile

10. Avere capacità di ascolto attivo

11. Saper porre domande

12. Comunicare in modo diretto

13. Saper creare consapevolezza nel cliente.

14. Progettare azioni

15. Pianificare e stabilire obiettivi

16. Gestire i progressi e le responsabilità

17. Essere Centrato, Allineato, Connesso, Aperto, Ospitale

18. Saper gestire allievi difficili: troppo o troppo poco attivi

19. Saper gestire le trappole tese dal cliente

Cono di Dale


* Mirco Spaggiari è fondatore di Om.En Consulenze, società di consulenza e formazione aziendale.

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