Un cambio di paradigma per superare la crisi occupazionale. In occasione dell’evento in diretta dal titolo: “A 20 anni dal Libro Bianco del lavoro. L’attualità del pensiero di Marco Biagi nell’odierna crisi del lavoro” in ricordo del giuslavorista e del suo impegno per la riforma del mercato del lavoro italiano, i Consulenti del Lavoro chiedono il riequilibrio delle percentuali di spesa in politiche attive e passive del lavoro e l’investimento in formazione e riqualificazione dell’offerta.
Le motivazioni sono argomentate nella ricerca elaborata dalla Fondazione Studi CdL “Ripensare le politiche attive per superare la crisi e far ripartire il Paese” che analizza le performance delle politiche del lavoro e la composizione attuale della spesa a sostegno dell’occupazione dal quale emerge uno sbilanciamento strutturale verso le “sovvenzioni” che ha dimostrato scarsa efficacia e valore aggiunto. Soprattutto sul medio e lungo periodo.
Ripristinare le politiche attive del lavoro
«Le politiche per il lavoro in Italia, per come sono organizzate, si presentano in larga parte inadeguate a fronteggiare l’emergenza occupazionale», si legge nell’indagine. I 26,9 miliardi di euro spesi nel 2018, secondo i dati recentemente resi disponibili dalla Commissione Europea, corrispondono all’1,53% del PIL. Di questa spesa, i tre quarti sono destinati al sostegno al reddito, con una penalizzazione profonda per i servizi per il lavoro che, nel 2018, assorbivano solo l’1,4% del totale delle risorse destinate alle politiche per il lavoro a fronte del 31,4% della Germania, l’8,9% della Francia e il 7% della Spagna.
Un deficit che rischia di condizionare fortemente tempi e qualità della ripresa occupazionale del nostro Paese nei prossimi mesi dove la capacità di intermediare domanda e offerta di lavoro e di fornire sostegno attivo alla ricerca saranno determinanti per la ripartenza dell’occupazione.
Oltre ad investire nella credibilità dei servizi di intermediazione – utilizzati nel 2019 solo dal 24,3% dei disoccupati per cercare lavoro – è fondamentale ripartire dalla formazione, soprattutto per gli adulti. In un Paese come l’Italia, caratterizzato da bassi livelli di istruzione e da una distanza strutturale tra domanda e offerta di competenze, le risorse destinate a questa voce di spesa sono state quasi dimezzate tra il 2008 e il 2018 con il rischio di compromettere le possibilità di reimpiego dei lavoratori più fragili sotto il profilo formativo, in un momento in cui cresce la domanda di competenze nuove, soprattutto in ambito tecnologico e digitale.
L’istruzione fa la differenza
La corrispondenza tra il grado d’istruzione e la necessità di ricorrere al sostegno al reddito è dimostrata anche dai risultati dell’analisi sulla platea dei potenziali beneficiari dell’AdR che viene analizzata nell’ultima parte della ricerca.
Tra disoccupati involontari con i requisiti per la NASpI, suddivisi in quattro sottogruppi sulla base del loro reinserimento lavorativo e della durata del sostegno al reddito, prevale un basso livello d’istruzione, che supera il 58% tra i beneficiari dell’assegno di ricollocazione. Oggi, più che mai, risulta allora determinante individuare i percorsi formativi più utili per aumentare l’occupabilità delle persone espulse dal mercato del lavoro.
«Il focus sulle politiche attive per il lavoro è fondamentale per poter pensare a una ripresa organica dell’occupazione e, di conseguenza, dell’economia. Ben venga allora l’apertura del Governo Draghi a investire sull’assegno di ricollocazione purché si tenga presente che la platea dei destinatari al momento comprende solo la metà dei disoccupati involontari – afferma Marina Calderone, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e del Comitato Unitario delle Professioni –. Necessario incidere sulla qualità dell’offerta più che sull’incentivazione della domanda attraverso formazione e riqualificazione, diminuendo il divario tra posizioni ricercate e competenze disponibili».