Tutte le sfide del Consulente del Lavoro

Lungi dall’essere “venditori di pacchetti”, i Consulenti del Lavoro devono essere per le aziende persone di fiducia e possedere quindi molte soft skills, tra cui la capacità di ascolto e di problem solving

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Fatta salva una solida preparazione, quali attitudini e abilità sono necessarie oggi per intraprendere la carriera di Consulente del Lavoro? Secondo Romano Benini, docente di sociologia del welfare alla Link Campus University e consulente in materia di politiche del lavoro ed esperto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro: “Serve una combinazione equilibrata tra competenze tecniche specialistiche, peraltro sempre più specifiche vista la complessità dei  temi e della nostra normativa, e la capacità di affiancare i datori di lavoro in scelte molto delicate e su temi come i piani formativi, previdenziali o di welfare, forse in passato trascurati e oggi invece determinanti”.

Insomma, lungi dall’essere “venditori di pacchetti”, i Consulenti del Lavoro devono essere per le aziende persone di fiducia e possedere quindi molte soft skills, tra cui la capacità di ascolto e di problem solving. “Al Consulente del Lavoro, soprattutto quando il datore di lavoro è un piccolo imprenditore, è richiesta conoscenza, ma anche cultura, saper fare e saper essere, in particolare se l’imprenditore è proiettato nel cambiamento e non è solo custode di un’attività a rapido rischio di obsolescenza”.

Non è più dunque il tempo di fare una distinzione netta tra formazione tecnica e umanistica: come dice Benini, questa separazione è “figlia di un modello che non funziona più da anni. Le crisi degli ultimi anni hanno qualificato la domanda e al tempo stesso reso più complessi i bisogni a cui rispondere. Alle professioni è richiesto un salto di qualità, anche nell’analisi della domanda delle imprese e nella conoscenza degli strumenti a disposizione per affrontare i problemi”. La sfida, anche per il consulente del lavoro, è quindi ardua. Come affrontarla? “Occorre rimettere al centro di ogni scelta il fattore umano e la capacità dei lavoratori e degli imprenditori di creare valore. Si tratta di restituire l’economia all’uomo, dando ai rapporti di lavoro quella centralità che è necessaria per fare qualità e migliorare prodotti e servizi. Avere un buon consulente del lavoro è in questo senso un ottimo investimento per l’impresa, che si salva anche scegliendo i professionisti migliori”. Sul punto è d’accordo anche Francesco Duraccio, vicepresidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro: “Oggi le attività del Consulente del Lavoro ruotano soprattutto intorno ad una profonda conoscenza delle esigenze delle imprese e del loro capitale umano, una risorsa da valorizzare anche attraverso il cosiddetto welfare aziendale, materia nella quale è fondamentale avere accanto un consulente esperto”.

L’ESPERIENZA DI F2A

Ci sono realtà strutturate che attivano al loro interno diverse iniziative formative per migliorare le competenze specifiche del proprio staff. È il caso, ad esempio, del Gruppo F2A, che coinvolge annualmente il proprio team in un percorso formativo finalizzato all’approfondimento specialistico su temi di maggiore rilevanza in materia di diritto del lavoro e amministrazione del personale.

Come spiega Raul Mattaboni, Ceo e Vicepresidente del Gruppo: “I consulenti del lavoro di F2A accedono – tramite piattaforma di digital learning – a corsi di formazione non solo specifici e verticali, ma anche più generali, dedicati al middle management e alle soft skill, che recentemente si sono rivelate fondamentali per affrontare la crisi Covid-19 e gestire il lavoro in Smart Working. Altri tool a disposizione sono i software di cooperation, che consentono una gestione e una condivisione agile e veloce di informazioni e documentazione e gli webinar sulle disposizioni e soluzioni utili per fronteggiare la situazione attuale”.

La formazione, secondo Raul Mattaboni, deve puntare molto sul digitale: “Al consulente del lavoro viene sempre più richiesto di possedere una propensione al digitale, accanto alla quale saranno abbinate la capacità di lavorare in mobilità e da remoto”. Ma a spingere verso la digital innovation sono anche la contrazione dei ricavi e l’aumento  della complessità normativa: “Le tecnologie oggi disponibili permettono di migliorare le performance degli studi in termini di efficienza e produttività e ampliare i servizi offerti alla clientela con collaborazioni tra professionisti che operano anche in ambiti diversi. Credo che gli studi professionali abbiano, in questo senso, notevoli margini di miglioramento: gran parte del tempo è ancora impiegato nella predisposizione dei cedolini paga e nello svolgimento degli adempimenti fiscali, previdenziali e assicurativi, attività con una remunerazione in costante flessione. Anche il ricorso alla dematerializzazione dei documenti, che consente di liberare spazio fisico e velocizzarne l’archiviazione e la ricerca, è ancora marginale”.

Il suggerimento è quindi indirizzare gli Studi verso attività più gratificanti e remunerative per professionisti e collaboratori e affidare quelle labour intensive ai software di gestione, che fanno risparmiare tempo e riducono i margini di errore. Attenzione, però, a quelle competenze e abilità che vanno al di là della tecnologia e che devono continuamente essere formate: “In uno scenario economico complesso come l’attuale, le aziende sono chiamate a gestire con maggiore frequenza la relazione con il personale dipendente, direttamente o per il tramite delle rappresentanze sindacali. La figura del consulente del lavoro deve quindi potenziare anche le proprie capacità di mediazione, per garantire, oltre alle soluzioni tecniche, una buona relazione nell’ambito delle dinamiche tra le parti”.

Raul Mattaboni


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