di Tiziano Menduto* |
Una delle conseguenze dell’emergenza Covid-19, anche in relazione all’attenzione necessaria per le misure di gestione e contenimento del virus nei luoghi di lavoro, è quello di mettere in ombra i tanti fattori ed elementi di rischio non biologici che continuano, tuttavia, a provocare infortuni e malattie professionali, anche con esiti gravi o mortali.
Per questo motivo non ci soffermiamo sul virus Sars-CoV-2 o su altri agenti di natura biologica, ma sugli agenti di rischio di natura fisica, come definiti dal Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (decreto legislativo 81/2008). Tra gli agenti fisici possiamo includere, ad esempio, il rumore (responsabile ancora di molte malattie professionali), le vibrazioni meccaniche (trasmesse al sistema mano-braccio e al corpo intero), i campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, le radiazioni ionizzanti (di cui abbiamo parlato nel numero 10 di questa rivista), le radiazioni ottiche e il microclima.
I problemi climatici
Parliamo in particolare di uno degli agenti fisici meno conosciuti e spesso sottovalutato: il microclima, cioè quel complesso di parametri ambientali che caratterizzano l’ambiente in cui un individuo lavora e che insieme ad altri parametri individuali – ad esempio la tipologia di lavoro o gli indumenti indossati – condizionano gli scambi termici tra soggetto e ambiente. Scambi termici che possono portare anche a serie conseguenze per la salute dei lavoratori.
Non bisogna pensare solo ai problemi microclimatici che possono riscontrarsi, specialmente nei periodi particolarmente caldi o freddi, negli uffici o in altri classici ambienti lavorativi, ma anche ai tanti ambienti freddi (ad esempio le celle frigorifere) e ambienti caldi (ad esempio le fonderie) e ai tanti lavoratori che operano in ambienti esterni. E sono sempre di più, anche in relazione alle conseguenze dei cambiamenti climatici, i lavoratori che possono essere soggetti ai gravissimi rischi causati dalle temperature elevate e dalle ondate di calore.
Ambienti moderati e severi
Il Portale Agenti Fisici, un portale realizzato da alcune aziende sanitarie in collaborazione con l’Inail proprio per conoscere i rischi correlati agli agenti fisici e facilitarne la valutazione e la prevenzione, ricorda che gli ambienti termici vengono distinti generalmente in ambienti moderati e severi (caldi o freddi).
Se negli ambienti moderati l’obiettivo da perseguire, non essendo presenti impedimenti a interventi che possano rendere l’ambiente termico confortevole, è il raggiungimento di una condizione di comfort, negli ambienti severi esiste generalmente un vincolo legato alle necessità produttive o alle condizioni ambientali. E in questo caso non è possibile conseguire condizioni di comfort. Negli ambienti severi, così come anche in alcuni ambienti moderati in condizioni esterne agli intervalli di applicabilità di alcuni indici microclimatici, sarà necessario analizzare e tener conto dei rischi legati all’esposizione di soggetti caratterizzati da una alterata capacità di termoregolazione fisiologica (ad esempio donne in gravidanza o lavoratori che hanno patologie che possono alterare la percezione termica o utilizzano farmaci che influiscono sul sistema di termoregolazione).
Riguardo alle alte temperature una patologia correlata agli ambienti caldi è la sincope da calore che è dovuta a un’eccessiva vasodilatazione e si manifesta con una perdita di coscienza preceduta da pallore, stordimento e vertigini. Una condizione più grave è poi rappresentata dall’esaurimento della termoregolazione che può manifestarsi con uno stato di iperpiressia o con un “colpo di calore” che può anche essere letale se non trattato rapidamente.
Il progetto Worklimate
Ricordiamo che attraverso il progetto “Worklimate”, condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche e da Inail, con un ventaglio ampio di enti di ricerca coinvolti, si è cercato di approfondire le conoscenze sull’effetto delle condizioni microclimatiche (in particolare dello stress da caldo) sui lavoratori, con un’attenzione specifica alla stima dei costi sociali degli infortuni sul lavoro. E sono state organizzate due indagini nazionali per indagare:
- la percezione e la conoscenza degli effetti del caldo negli ambienti di lavoro;
- l’impatto dello stress da caldo sui lavoratori impegnati in ambito sanitario associato all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale durante la pandemia Covid-19.
Esiste poi un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che, insieme all’Organizzazione meteorologica mondiale, stima che circa il 30% della popolazione mondiale è esposta al rischio delle ondate di calore. Un rischio che sta aumentando anche nel mondo del lavoro con riferimento particolare ai lavoratori in agricoltura, ai lavoratori in edilizia e comunque a tutti i lavoratori “outdoor”.
RISCHIO MICROCLIMATICO E NORMATIVECi soffermiamo di seguito su alcuni aspetti normativi del rischio microclimatico. Segnaliamo che il Testo Unico (D.Lgs. 81/2008), suddiviso in Titoli a loro volta suddivisi in Capi, cita il microclima nel Titolo VIII (“Agenti Fisici”). Tuttavia il decreto non dedica a questo rischio un intero Capo, come è successo, ad esempio, per il rumore (Capo II), le vibrazioni (Capo III) o i campi elettromagnetici (Capo IV). L’avere un Capo specifico nel decreto può essere importante per evitare la sottovalutazione delle conseguenze dell’esposizione ai rischi microclimatici; gli articoli contenuti nei vari Capi sono una sorta di guida per le aziende e per gli operatori: indicano quali misure di prevenzione è possibile mettere in atto, quali sono le norme tecniche e i valori di riferimento da seguire. Ed è auspicabile, dunque, una futura maggiore attenzione del legislatore a questo rischio sempre più diffuso nel mondo del lavoro. |
* Articolo realizzato in collaborazione con PuntoSicuro, dal 1999 il primo quotidiano on-line sulla sicurezza (www.puntosicuro.it).