di Virna Bottarelli |
Lasciare le piste di atletica e intraprendere poi, a qualche anno di distanza, la strada della formazione. Lo ha fatto Alberto Cova, l’ex mezzofondista che ricordiamo con le braccia levate al cielo nell’agosto del 1984, sul traguardo dei 10.000 metri al Memorial Coliseum di Los Angeles.
Erano le Olimpiadi e quel traguardo tagliato in 27’47”54 gli valse la medaglia d’oro, il massimo degli obiettivi per un atleta. Dopo aver chiuso la carriera a soli 33 anni, Alberto Cova di obiettivi se ne è dati di nuovi e uno di questi lo ha portato a diventare, negli anni Duemila, un formatore. “Mi occupo di formazione da circa quindici anni”, dice il campione originario di Inverigo (CO). “La convinzione di fare il formatore è nata da una chiacchierata con la persona che poi mi ha introdotto in questo mondo e che mi ha dato lo spunto per partire: potevo fare leva sulla mia capacità di dialogare e, soprattutto, avevo la mia storia di atleta da raccontare. Ho così creato il format ‘Momenti di gloria’, sul quale sono costruite le mie giornate formative, ho trovato una società di consulenza che lo ha inserito nel proprio catalogo e ho iniziato. Momenti di gloria è un modello di formazione basato sulla metafora sportiva, che consiste di lezioni in aula e momenti pratici nei quali, neanche a dirlo, si corre!”.
Come si diventa formatori per professione?
Mi è sempre piaciuto sperimentare modi per migliorarmi e crescere come persona. Quando ho smesso di correre, nella parentesi tra l’attività agonistica e l’avvio dell’attività di formatore, ho frequentato diversi corsi comportamentali per affinare le mie competenze. All’epoca non immaginavo che mi sarei trovato, qualche anno dopo, dall’altro lato della cattedra, ma mi sono appassionato da subito all’ambito della formazione. Sono un ragioniere che non ha mai praticato la professione, ma ho fatto tesoro di un’attitudine mentale piuttosto matematica e commerciale, applicandola in un altro campo. Ricordo bene la mia prima volta in aula con un gruppo di quindici persone: ero molto teso, non esagero a dire che l’emozione era simile a quella provata alla partenza di una gara di alto livello. Però, come ai tempi della corsa, mi ero allenato molto su come sviluppare il percorso formativo e la giornata è trascorsa senza intoppi. Me la sono cavata bene. Oggi sono felice del mio lavoro di formatore e gratificato dal fatto che le aziende che scelgono i miei corsi sono a loro volta soddisfatte.
Ha scelto un nome molto evocativo per il suo format. Come funziona concretamente “Momenti di gloria”?
È un format esperienziale, nel quale l’esperienza è la corsa. Una giornata base prevede momenti in aula e momenti outdoor. In aula i partecipanti mettono in campo la loro vita professionale e approfondiscono i temi della leadership: costruirsi un obiettivo, usare i propri punti di forza, uscire dai momenti di difficoltà e affrontare la performance per raggiungere l’obiettivo. I momenti outdoor ruotano attorno alla corsa che, oltre a essere un gesto atletico a mio avviso bello, introspettivo e piacevole, è uno sport difficile, traumatico, nel quale l’individuo si mette in gioco e deve imparare a gestire il tempo. Nel mio format la corsa è uno strumento che consente di mettere in pratica quanto si apprende in modo teorico. È importante sottolineare che si tratta di un’attività formativa rivolta a tutti: anche persone con disabilità che non consentono di correre partecipano ai miei corsi trovando altre modalità di mettersi in gioco. La corsa è anche il filo conduttore emozionale di queste giornate, l’elemento che conduce i partecipanti a provare l’emozione unica di diventare, a conclusione del percorso, “Campioni del mondo”.
Certo non è stato semplice fare formazione esperienziale nell’anno della pandemia: abbiamo lavorato in video-conferenza ma è chiaro che non si ha, con questa modalità, un’interazione efficace come quella dal vivo. Fortunatamente, con le riaperture degli ultimi mesi, ho potuto riprendere le sessioni in presenza e avviare anche nuove collaborazioni che mi hanno consentito di tornare a lavorare a tempo pieno.
Che cosa si aspettano le aziende dai suoi corsi di formazione?
Le aziende chiedono di lavorare sugli obiettivi e sull’aspetto della crescita delle persone. Negli ultimi tempi sono entrato in sintonia con una società di consulenza che valorizza molto gli aspetti sociali e non solo quelli, pur essenziali, finalizzati al profitto economico. Prestare attenzione all’elemento umano, alla crescita delle persone, è del resto una chiave vincente anche per ottenere risultati economici positivi: può essere banale da dire, ma persone che lavorano volentieri, in un ambiente che consente loro di trovare e dare il meglio di sé stessi, portano un beneficio all’azienda e sono più produttive. Se ciascuno affronta nel modo giusto il proprio percorso di crescita personale, nell’insieme si lavora meglio, si raggiungono gli obiettivi e si porta a termine la missione dell’azienda. Lavorare invece puntando solo sull’aspetto economi- co è spesso stressante e controproducente.
Il suo focus è sul Team Building: come riesce un’atleta che ha primeggiato in uno sport individuale a trasmettere l’importanza dello spirito di gruppo?
La corsa è solo in apparenza uno sport individuale: attorno all’atleta che il pubblico vede scendere da solo in pista c’è un team di lavoro. Sono la società sportiva, l’allenatore, il medico, il fisioterapista, i compagni di squadra, questi ultimi fondamentali per avere un confronto e misurare le proprie capacità, a dare all’atleta le informazioni e il sostegno necessari per affrontare la competizione. Ho iniziato a fare formazione entrando in contatto con il mondo del Team Building e mi sono sintonizzato su questo canale formativo, costruendo anche percorsi ad hoc per clienti che chiedono attività particolari, anche diverse dal mio format, che resta comunque la base per affrontare i temi della leadership, della crescita personale e del raggiungimento degli obiettivi.
Quali sono i valori dello sport che si rivelano determinanti anche in ambito professionale?
Un valore imprescindibile è proprio la capacità di crearsi un obiettivo: ognuno di noi deve avere chiaro chi è e dove vuole andare. Se so cosa voglio da me stesso, mi posso costruire il percorso per raggiungere la meta che mi sono prefissato. Bisogna saper anche sognare, rincorrere le emozioni, ma sempre seguendo una strada fatta di tanti obiettivi minori che portano al traguardo finale. A questo presupposto vanno poi aggiunte la perseveranza, la costanza nel superare gli ostacoli, la capacità di darsi una propria organizza- zione anche nell’ambito di un’organizzazione aziendale, ricordandoci che senza fatica e impegno non si raggiunge nessun risultato.
Nella vita lavorativa di una persona, però, non sempre gli obiettivi sono chiari e non sempre si è stimolati a dare il meglio di sé…
Gli obiettivi bisogna saperseli dare. I miei corsi puntano molto sulla gestione della leadership e sono rivolti spesso alle prime linee manageriali; tuttavia, non lavoro solo con chi ricopre ruoli dirigenziali e in aula trovo anche persone che in azienda hanno posizioni diverse da quelle di comando. Il concetto di leadership al quale mi ispiro non è vincolato al ruolo aziendale ma al comportamento: un leader è una persona che dice e fa quello che dice, che mette la propria personalità a disposizione per lavorare con gli altri e insieme raggiungere gli obiettivi condivisi. Ma è ognuno di noi che deve darsi l’obiettivo, sia esso professionale o di crescita personale, e avere così un atteggiamento propositivo e produttivo. Se ci accorgiamo di essere in un contesto poco stimolante, poco proattivo, poniamoci la domanda originale: dove vogliamo andare? Stiamo facendo qualcosa che ci piace e che abbiamo scelto? A volte non si ha il coraggio di uscire dalla famosa zona di comfort nella quale ci si trova, anche se non è quella in cui vorremmo stare.
Negli anni Novanta ha avuto anche un’esperienza da deputato: la mentalità sportiva si sposa con la politica?
Sono stato in parlamento come deputato solo due anni, un tempo troppo limitato per comprendere a pieno che cosa significhi fare politica, ma sulla base di questa breve esperienza direi che mentalità sportiva e politica non sono molto in sintonia. La razionalità tipica di chi fa sport, la capacità di crearsi un obiettivo per ottenere un risultato, l’allenarsi quotidianamente e costantemente sono caratteristiche che poco si conciliano con i tempi dell’attività parlamentare. Ho anche constatato che, in politica, difficilmente si riesce a mettere in pratica quello che si auspica: i tempi sono dilatati e gli alibi sono sempre troppi. C’è un aspetto poi controverso: la politica che si fregia di essere a sostegno delle persone spesso ha difficoltà proprio a operare per le persone. Così assistiamo a cambiamenti annunciati che non vengono mai realizzati o alla mancata attuazione di scelte sulle quali, magari, si è già espressa in modo favorevole la maggioranza dei cittadini.
Chi è Alberto CovaNato a Inverigo, in provincia di Como, il 1° dicembre 1958, Alberto Cova è stato l’unico mezzofondista italiano, e il primo nella storia, ad aver vinto i 10.000 metri ai Campionati Europei, ai Mondiali e alle Olimpiadi. Nella sua carriera da atleta, negli anni Ottanta, è stato anche quattro volte campione nazionale dei 5mila, due volte dei 10mila, tre volte dei 3mila indoor e cinque volte di corsa campestre. Dal 2008 ha iniziato la sua attività di formatore. Ha lasciato l’attività agonistica a poco più di trent’anni, ma oggi continua a correre, più lentamente, “per il piacere di farlo e per stare bene”, come racconta nel suo libro “Con la testa e con il cuore”, uscito nel 2020 per Sperling & Kupfer.
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