di Giuseppe Zingale* |
Nell’attuale contesto di progressivo ritorno alla normalità, un aumento dell’occupazione e la conseguente crescita economica sono obiettivi raggiungibili esclusivamente attraverso investimenti mirati nelle politiche attive del lavoro. Il problema più ingente che affligge l’economia del nostro Paese è infatti il “mismatch” tra domanda e offerta di lavoro, e le Politiche Attive possono essere efficaci strumenti per colmare il divario tra le competenze richieste dalle imprese e quelle messe a disposizione dai lavoratori.
Il “mismatch” di competenze
Infatti, nonostante il mercato del lavoro del nostro Paese in questo momento sia caratterizzato da dinamicità e crescita, il numero dei disoccupati ha raggiunto i 2 milioni e mezzo, di cui 320mila licenziati e percettori di Naspi, più di un milione di cassintegrati con licenziamento congelato, 570mila attivi, 430mila occupati “persi” nel lavoro autonomo.
Questo è il numero di persone che andranno sostenute, attraverso le politiche attive del lavoro, nel percorso di ricerca di una nuova occupazione. Secondo un’indagine dell’osservatorio Excelsior di Unioncamere, nel trimestre giugno/agosto le aziende intendono assumere oltre 560mila dipendenti, ma segnalano che oltre il 30% di questi è di difficile reperimento. Le difficoltà maggiori vengono riscontrate soprattutto nella ricerca dei profili più qualificati, quali dirigenti, professioni con elevata specializzazione e tecnici; per queste figure l’indice di difficoltà di reperimento è infatti superiore al 43%. Sebbene con una minore incidenza, le imprese faticano anche nella ricerca di profili meno specializzati, per i quali l’indice sfiora il 30%. Le cause sono riconducibili proprio a un profondo “mismatch” di competenze: circa il 13% dei candidati ha una preparazione inadeguata rispetto alle richieste delle aziende e il 15% delle proposte non trova riscontro in profili adeguati.
Dalle politiche passive a quelle attive
Sono proprio le politiche attive la soluzione più efficace per sopperire a queste criticità. Esse, infatti, da un lato consentono di investire sulla formazione professionale – il vero punto di partenza per il rilancio dell’occupazione – e, dall’altro, permettono di istituire un sistema di informazione di vasta accessibilità per mettere in contatto domanda e offerta del lavoro.
Consapevole che gli ammortizzatori sociali siano strumenti utili, ma non sufficienti a traghettare il Paese fuori dalla crisi, il Governo ha deciso di investire in misure di politiche attive. Il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza prevede di destinare una serie di risorse economiche a beneficio del mercato del lavoro. In particolare, al suo interno sono stati individuati degli ambiti prioritari di intervento, quali la valorizzazione dei servizi pubblici per l’impiego, il sostegno all’occupazione giovanile e il potenziamento delle Pal. L’intento è proprio quello di integrare e, progressivamente, far prevalere, la componente attiva delle Politiche del Lavoro rispetto a quella passiva, come già hanno sperimentato con successo altri Paesi europei. Per una ripresa efficace e completa, è necessario strutturare un modello di gestione delle politiche del lavoro che preveda anche un intervento degli operatori privati, in costante dialogo e collaborazione con quelli pubblici. Tale modello dovrebbe, a mio avviso, valorizzare la sussidiarietà nella gestione dei servizi, coinvolgendo Agenzie per il lavoro, patronati, fondi interprofessionali, consulenti del lavoro, il sistema educativo e no profit, senza per questo far venire meno il ruolo di responsabilità dei servizi pubblici, rafforzando anzi le loro funzioni di governance. Sebbene il sistema di gestione delle politiche attive del lavoro sia migliorato negli ultimi anni, sono diverse le iniziative che possono essere implementate: la consulenza professionale individuale, l’assistenza intensiva nella ricerca attiva del lavoro, le misure volte a migliorare le competenze, l’occupabilità e la funzionalità della rete dei servizi al lavoro. È arrivato il momento di migliorare l’efficienza
delle azioni di intervento delle politiche attive, intesa non soltanto nel rapporto costi-benefici, ma anche nella capacità di incidere sui principali indicatori di performance dei mercati su cui insistono, individuando le migliori prassi per accrescere l’occupabilità dei lavoratori e incrementare i tassi di occupazione.
La partecipazione degli Enti locali
In questa prospettiva risulta indispensabile anche una partecipazione attiva degli Enti Locali, attraverso la definizione di nuove priorità nel delineare le azioni di politica del lavoro.
Il passaggio, per esempio, da un sistema di formazione per disoccupati a un sistema di formazione per l’occupazione diventa fondamentale per migliorare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Integrare le politiche del lavoro con le politiche industriali diventa un percorso quasi obbligato se si vuole concretizzare l’obiettivo di aumentare l’occupazione nel nostro Paese. Questa integrazione deve passare, ad esempio, attraverso la rimodulazione degli ammortizzatori sociali, dall’introduzione di forme contrattuali più coerenti con il nuovo sistema, dalla rivisitazione del cuneo fiscale, dalla formazione professionale, da un moderno sistema di politiche del lavoro. La valorizzazione, inoltre, di interventi che favoriscono l’autoimprenditorialità consentirebbe invece di incrementare la nascita di nuove imprese.
Inoltre, Regioni e Province autonome stanno attuando un’ampia gamma di misure per l’occupazione definendo, tra l’altro, standard di qualità dei servizi, incentivando la costruzione di sistemi regionali basati sull’integrazione tra pubblico e privato attraverso i regimi dell’accreditamento e di autorizzazione. L’impulso legislativo, tuttavia, non è sempre stato sufficiente a garantire che su ciascun territorio siano organizzati servizi al lavoro efficienti per imprese e per cittadini. L’uniformità sul territorio nazionale in termini di standard qualitativi minimi dei servizi è ancora oggi un’esigenza molto sentita. La Regione Lombardia è uno dei territori in cui è stata compiuta una regolamentazione dei servizi, al fine di realizzare una collaborazione efficace con gli enti pubblici per l’impiego sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale. Questo modello mostra come, attraverso alcuni principi cardine, sia possibile ottenere dei risultati importanti in termini di occupazione.
* Giuseppe Zingale è responsabile della divisione Welfare di IG Samsic HR