di Cesare Damiano |
La crisi economica scaturita dalla pandemia e l’incertezza attorno alle prospettive di ripresa e di crescita del mondo produttivo hanno spinto il legislatore a rinviare, ancora una volta, l’entrata in vigore del nuovo “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, varato con il D.Lgs. n. 14/2019. Una scelta comprensibile, posta la difficoltà delle (molte) imprese in sofferenza – specialmente di medie e piccole dimensioni – di attivare procedure concorsuali nuove e meccanismi di predittività della crisi che presuppongono un serio adeguamento organizzativo.
Come stabilito dal D.L. n. 118/2021, dunque, il Codice entrerà in vigore in data 16 maggio 2022, dopo un primo differimento fissato al 1 settembre 2021 (D.L. 23/2020 conv. con mod. in l. 40/2020). L’ultimo provvedimento ha altresì previsto tempi ancor più lunghi per l’applicazione delle nuove procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, rimandata al 31 dicembre 2023.
Crisi d’impresa: uno strumento negoziale e stragiudiziale
Il decreto, tuttavia, non ha solo operato i suddetti rinvii. Tra le novità introdotte, spicca soprattutto l’istituzione della “Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa”. Uno strumento per il risanamento aziendale che pare essere poco oneroso, probabilmente con l’intento di intercettare anche le imprese di più piccole dimensioni. Si tratta infatti di uno strumento negoziale e stragiudiziale attivato dallo stesso imprenditore, che verrebbe supportato da un esperto nelle fasi di negoziazione con le parti interessate a ripristinare l’equilibrio economico e finanziario dell’impresa.
Lo strumento, pertanto, si pone in continuità con la ratio sottesa al nuovo Codice, orientato alla salvaguardia della continuità aziendale attraverso l’introduzione di meccanismi di emersione e gestione anticipata della crisi. Insieme alla valorizzazione delle procedure concorsuali dirette a scansare l’ipotesi liquidatoria. Risulta evidente che, nello sforzo legislativo di salvaguardare la continuità aziendale, è possibile leggere, finalmente, il tentativo più ampio di conciliare la tutela degli interessi economici e sociali nelle situazioni di crisi.
Tradotto nelle dinamiche concorsuali, l’intento è quello di “trovare la quadra” tra la (prioritaria) soddisfazione dei creditori e l’interesse dei lavoratori al posto di lavoro e ai crediti da lavoro. Come accennato, questo scopo è perseguito anche mediante l’obbligo, in capo all’imprenditore, di istituire un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi (nuovo co. 2, art. 2086 c.c. ex art. 375 del Codice). Si tratta di un obbligo trasversale, che incombe sulle imprese di ogni dimensione e tipo societario. Questo per sollecitare una forma mentis imprenditoriale attenta ai processi organizzativi e alle dinamiche di controllo interno. Scansando – o per lo meno, minimizzando – i rischi di crisi e di insolvenza e, di riflesso, le conseguenze in termini di soddisfazione creditoria e tutela dell’occupazione.
Lacune, criticità e perplessità
Il Codice, invero, ha tentato di risolvere i conflitti disciplinari tra la materia lavoristica e quella concorsuale su diversi aspetti: in merito all’effetto dell’apertura della liquidazione giudiziale sul contratto di lavoro pendente (art. 189); riguardo gli esiti sui rapporti di lavoro scaturiti dal trasferimento d’azienda in ambito concorsuale (artt. 84, 191 e 368); e in relazione al rapporto contributivo tra ente previdenziale e datore di lavoro e alle tutele dei dipendenti coinvolti in una crisi d’impresa (artt. 63, 88 e 190).
Le criticità che afferiscono ciascuno di questi aspetti sono molteplici. Da una parte, il “restyling” degli strumenti concorsuali, volti alla salvaguardia delle imprese, ha raccolto numerose critiche. Basti pensare al tentativo di valorizzare il concordato preventivo in continuità – diretta e indiretta – che ha visto l’introduzione di vincoli occupazionali particolarmente onerosi, scoraggiando il suo ricorso da parte delle imprese, specialmente quelle di medie e piccole dimensioni. Dall’altra, continua a essere lacunosa la tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori dipendenti nella liquidazione giudiziale. In questa fase, infatti, i rapporti di lavoro sono sospesi senza retribuzione, in attesa della decisione del curatore di subentrare, di recedere ovvero di attendere la (incontestabile) risoluzione di diritto dei rapporti di lavoro dopo un determinato lasso di tempo.
Manca il sostegno ai lavoratori nella crisi d’impresa
Il lavoratore, soprattutto, continua a non ricevere alcuna forma di sostegno al reddito durante la sospensione del rapporto, al netto delle vigenti deroghe emergenziali per l’accesso alla Cassa Integrazione Guadagni fino al 2022 (co. 278, art. 1, l. n. 178/2020). Eppure, i lavori preparatori della riforma prevedevano l’introduzione di un ammortizzatore sociale ad hoc (Naspi-LG), depennata dal testo definitivo.
Al lavoratore, dunque, non rimane che attendere la decisione del curatore o la risoluzione di diritto senza supporto reddituale. Oppure, presentare le dimissioni per giusta causa per accedere alla Naspi, come ha stabilito il successivo intervento correttivo (D.Lgs. n. 147/2020). Ed è qui che il legislatore tradisce l’intento di salvaguardare l’occupazione, avendo preferito agevolare le dimissioni qualificandole per giusta causa. Altre questioni hanno sollevato perplessità. Tra tutte, in caso di trasferimento dell’impresa, l’accordo sindacale costituisce l’unica fonte legittimata a stabilire una regolamentazione in deroga alle tutele disposte dall’art. 2112 c.c. Ebbene, ci si chiede se le rappresentanze sindacali possiedano le competenze tecniche per negoziare e orientare le trattative, ricercando il migliore bilanciamento tra continuità aziendale, tutela del lavoro e soddisfazione creditoria. Quest’ultima è sempre prioritaria nelle logiche concorsuali.
È auspicabile che lo slittamento dell’entrata in vigore al maggio 2022 consenta di approvare ulteriori interventi correttivi. L’istituzione della Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi sul Codice (D.M. 22 aprile 2021) rappresenta un segnale in tal senso. Uno dei prossimi passi legislativi sarà, con ogni probabilità, il recepimento della direttiva (UE) 2019/1023 nell’organico normativo. Si tratta infatti di innestare nella disciplina concorsuale gli obblighi di informazione e consultazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze sulla situazione economica dell’imprenditore-datore di lavoro, nonché l’obbligo del loro coinvolgimento durante le procedure di ristrutturazione del debito. Vero è, tuttavia, che il recepimento non avrà alcun impatto sulle piccole e medie imprese, giacché siffatti obblighi sono sanciti in capo a imprese di grandi dimensioni (art. 1 della direttiva).
Una decisione ragionevole
Il rinvio dell’entrata in vigore del Codice rappresenta certamente una decisione ragionevole. Soprattutto per le crisi d’impresa di realtà aziendali più piccole, che dovrebbero confrontarsi con obblighi e procedure di nuova istituzione, in un momento in cui spesso l’obiettivo a breve termine è la mera sopravvivenza dell’impresa. Il rinvio era auspicato, a maggior ragione, per il fatto che le procedure concorsuali volte alla salvaguardia delle imprese non paiono essere di agevole praticabilità, rimanendo forse a esclusivo appannaggio delle grandi realtà aziendali. Pare così idonea la recente istituzione della “Composizione negoziata” che fornisca un sopporto tecnico, pratico e poco costoso, agli imprenditori in questa delicata contingenza economica.
È pur vero, tuttavia, che le imprese – tutte – saranno chiamate ad adottare una più attenta cultura organizzativa. Nel rispetto del novellato art. 2086 c.c. e dell’obbligo di adottare tutte le misure idonee a consentire la tempestiva rilevazione della crisi e l’assunzione delle iniziative finalizzate al suo superamento (art. 3 del Codice). Il nuovo co. 2 dell’art. 2086 c.c., infatti, una sorta di “clausola generale” che consacra il principio di corretta gestione imprenditoriale. Aprendo a importanti scenari in termini di sindacato giudiziario sulla adeguatezza delle scelte organizzative – compresi gli atti gestori dei rapporti di lavoro – che rilevano altresì per tutte le imprese in salute. Certo, la questione ha già creato forti tensioni interpretative a fronte della insindacabilità dell’esercizio dei poteri imprenditoriali.
Sarebbe il caso, a maggior ragione, di iniziare a ragionare sulla predisposizione di assetti organizzativi efficienti, controllati e partecipativi nei molti contesti produttivi finora sprovvisti. Situazioni in cui il coinvolgimento degli stakeholders (lavoratori, consumatori, comunità locale ecc.) sia recepito come valore aggiunto per una gestione dell’impresa lungimirante, attenta alle esigenze ultronee ma pur sempre compenetranti la produttività, aumentando le prospettive di continuità aziendale.
CHI È CESARE DAMIANONato a Cuneo nel 1948, è stato Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale nel secondo Governo Prodi e viene ricordato come l’artefice del Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro. Dal 2006 al 2018 è stato Deputato della Repubblica eletto nelle liste del PD e dal 2013 al 2018 presidente della Commissione Lavoro della Camera. Cesare Damiano svolge oggi attività di ricerca, formazione e consulenza in materia di sicurezza, diritto del lavoro, politiche dell’occupazione, relazioni industriali, contrattazione collettiva, welfare e previdenza. È inoltre presidente dell’associazione Lavoro&Welfare e del Centro Studi Mercato del Lavoro e Contrattazione. |