di Virna Bottarelli |
Ridurre le disuguaglianze sui luoghi di lavoro è un obiettivo che in Italia è stato formalizzato nel 2009. In quell’anno, sulla scia di simili iniziative in Francia e Germania, è stata lanciata infatti la Carta per le Pari Opportunità e l’Uguaglianza sul Lavoro (Italian Diversity Charter).
Una dichiarazione di intenti sottoscritta volontariamente da imprese di tutte le dimensioni per diffondere una cultura aziendale e di politiche delle risorse umane inclusive. Libere da discriminazioni e pregiudizi, capaci di valorizzare i talenti in tutta la loro diversità.
Italian Diversity Charter
Sono oltre 800 le imprese, organizzazioni non profit e pubbliche amministrazioni, per un totale di oltre 700.000 lavoratori, che negli anni hanno adottato il documento. Impegnandosi così nella lotta contro tutte le forme di discriminazione sul luogo di lavoro: genere, età, disabilità, etnia, fede religiosa e orientamento sessuale.
Dal 2010 le imprese aderenti alla Carta, con Fondazione Sodalitas, costituiscono la delegazione italiana all’interno della Piattaforma Europea delle Diversity Charters, promossa dalla Commissione Europea. È stato anche messo a punto, da Sodalitas e Bureau Veritas, un tool di self assessment per misurare la performance aziendale in termini di diversità e inclusione.
Che valore ha la diversità?
Dal Global Talent Trends 2021 di Mercer emerge che solo il 10% delle aziende in Italia sta adottando strumenti di analisi DE&I (Diversity Equity and Inclusion). A molte imprese, evidentemente, il valore della diversità dell’inclusione non è ancora chiaro. Su questo concetto riflette Alessandro Verrini di CoachHub, società che, con l’omonima app, offre coaching personalizzato.
Verrini individua proprio nel coaching uno strumento utile a gestire il cambiamento necessario all’impresa per diventare inclusiva e valorizzare le diversità. “Il coaching digitale permette alle persone di rendersi conto dei propri pregiudizi inconsci, di cambiare la percezione di ciò che le circonda e vedere la realtà con occhi diversi – dice -. Questa consapevolezza consente ai dipendenti di comprendere gli stati d’animo negativi associati all’esclusione. E di elaborare e comprendere l’ipercomplessità del panorama aziendale e sociale di oggi. Favorisce, quindi, un atteggiamento positivo e un’apertura verso i comportamenti altrui”.
Il ruolo del coaching
Verrini afferma che questa trasformazione è percepibile in tempi piuttosto rapidi. Il coaching potrebbe quindi dare quell’accelerazione di cui c’è bisogno. Perché, se è vero che nell’ultimo secolo abbiamo compiuto grandi passi avanti verso una maggiore diversificazione negli ambienti di lavoro e nella lotta contro i pregiudizi, è altrettanto vero che “questi progressi sono piuttosto lenti se consideriamo il livello di interconnessione della società in cui viviamo”. Spesso, poi, le iniziative di DE&I non sono efficaci proprio perché alcuni dirigenti non hanno le competenze per creare un ambiente lavorativo basato su questi principi. Oppure non adottano con i dipendenti una comunicazione bidirezionale. O, più in generale, perché la mancanza di competenza culturale crea un clima di contrapposizione – il classico “noi contro loro” – e un rifiuto all’apprendimento e alla conversazione.
Il coaching, invece, favorisce la creazione di una cultura aziendale in cui sia i dipendenti in minoranza sia quelli in maggioranza sentono di far parte dell’impresa. E di poter esprimere le proprie opinioni senza disagio, riducendo al minimo i conflitti e gli scontri.
IL DECALOGO DELLA “ITALIAN DIVERSITY CHARTER”
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