Il futuro? Sempre più incerto

Il patto generazionale è saltato e il futuro lavorativo dei giovani è sempre più incerto. Lo conferma il “XXIII rapporto sul mercato del lavoro e della contrattazione collettiva” del Cnel

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Futuro del lavoro a rischio secondo il rapporto Cnel

di Laura Reggiani |

“Il Paese è in condizioni migliori rispetto al dicembre 2020, le debolezze del nostro mercato del lavoro, accentuate dalla pandemia risultano in parte superate. I dati, mostrano segnali di una ripresa economica consistente, anzi superiore alle aspettative e alle medie europee. Resta tuttavia molta strada da fare per recuperare i posti di lavoro perduti soprattutto da donne e giovani. Ma sono certo che i comparti della ‘green’ e ‘white’ economy spalancheranno le porte a nuove professionalità, incentivando l’occupazione e rivitalizzando l’economia. Le professionalità necessarie per la transizione ecologica, le professioni sociali e sanitarie, i servizi alla persona e di educazione conosceranno un exploit. Il Pnrr genererà occasioni di acquisizione di nuove competenze anche nei settori dell’agricoltura e delle professioni digitali”.

Futuro del lavoro: il rapporto Cnel indica i rischi
Tiziano Treu, presidente del Cnel

Lo ha affermato il presidente del Cnel, Tiziano Treu, introducendo la presentazione del “XXIII Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva 2021”. Presenti, in occasione dell’evento, il segretario generale Mauro Nori, il Ministro del Lavoro Andrea Orlando; il Director for Employment, Labour and Social affairs dell’Ocse Stefano Scarpetta; il’Head of Unit for Social policies Eurofund, Massimiliano Mascherini e la consigliera Cnel e docente dell’Università di Roma Tre, Silvia Ciucciovino, che ha moderato il dibattito.

“Le forme di lavoro precario, come il part-time involontario e i contratti a termine sono diffuse ed elevate. Qui i caratteri negativi non consistono solo nella quantità di lavori temporanei. Ma nella loro spesso brevissima durata, che impedisce ogni prospettiva di sviluppo, e nelle ridotte possibilità di trasformarli in contratti a tempo indeterminato. Questo è un segno drammatico della incertezza delle prospettive, che pesa anche sulle imprese disponibili ad assumere. Per contrastare queste forme di precarietà possono essere solo parzialmente utili i vari tipi di incentivi alla stabilizzazione, anche più durevoli e mirati di molti disposti in passato”, ha aggiunto Treu.

Futuro del lavoro: scenario critico per donne e giovani

La crisi ha colpito in modo asimmetrico settori e imprese, penalizzando particolarmente in una prima fase soprattutto i settori a prevalenza femminile, come il commercio. Tuttavia, nonostante le maggiori difficoltà in termini di conciliazione, soprattutto per le lavoratrici con figli piccoli nel periodo della didattica a distanza, il sistema degli ammortizzatori sociali e la diffusione del lavoro da remoto sono riusciti a contenere le perdite occupazionali. Per cui nel complesso i divari di genere in termini di livelli occupazionali sono rimasti stabili.

Difficoltà maggiori si sono riscontrate per le madri che, a causa della chiusura delle scuole, sono dovute rimanere a casa ad accudire i figli. Rinviando le decisioni di ingresso nel mondo del lavoro al momento di superamento della pandemia e per i giovani. I più giovani hanno infatti registrato il calo occupazionale più marcato nelle prime fasi della crisi. Tuttavia, proprio grazie alla veloce risalita del lavoro a termine verificatasi negli ultimi mesi, gli occupati più giovani hanno registrato nella prima parte dell’anno una dinamica molto positiva.

Confrontando il secondo trimestre 2021 con il quarto trimestre del 2019, le persone con un titolo di studio universitario presentano l’evoluzione meno sfavorevole. Gli effetti della crisi hanno colpito in misura maggiore i diplomati e soprattutto i lavoratori con la licenza media. In entrambi i casi, la caduta di occupazione è stata accompagnata da un marcato aumento degli inattivi. Da segnalare anche come fenomeno l’aumento del già ampio numero di potenziali lavoratori che hanno difficoltà a inserirsi nei circuiti produttivi. Ma al contempo una domanda di lavoro nel post pandemia che ha determinato problemi di scarsità di manodopera per diverse imprese.

Contratti collettivi in continua crescita

Un dato eclatante che connota da anni l’evoluzione delle relazioni industriali nel nostro Paese è la continua crescita del numero di contratti collettivi di lavoro. Si tratta di un fenomeno che si registra da almeno un decennio, e che appare quasi patologico. A dicembre 2021 risultano infatti depositati al Cnel 933 contratti collettivi nazionali di lavoro per i lavoratori del settore privato. Un incremento solo in quest’ultimo anno del +9% per 77 nuovi Ccnl. Gli incrementi percentuali maggiori si registrano nei settori contrattuali “chimici” (+38%), “lavoro domestico” (+22%), “istruzione, sanità, assistenza, cultura, enti” (+17,5%). L’unico settore in cui il numero di contratti si è ridotto è “edilizia, legno, arredamento” (-6,6%).

Si tratta di un fenomeno coerente con i principi di libertà sindacale, di autodeterminazione della categoria contrattuale e di pluralismo associativo. Che pone tuttavia problemi che non possono essere ignorati. E che derivano proprio dall’elevato numero di fonti collettive deputate a regolare i rapporti di lavoro. Questo, in linea teorica non sarebbe negativo qualora generasse effetti concorrenziali virtuosi. Il problema è che però gli effetti concorrenziali agiscono soprattutto al ribasso. La pluralità di fonti collettive e l’ampliamento dell’offerta di regole che disciplinano il rapporto di lavoro possono infatti diventare un mercato dove “fare shopping” per ridurre il costo del lavoro.

Andamento del mercato del lavoro nel 2021

Giovani poco appetibili e precari in aumento

Al quadro demografico, che mette in evidenza come l’accentuata denatalità abbia drammatici effetti quantitativi sulle coorti di trentenni e ventenni, si associa la debolezza dei percorsi formativi. L’Italia è in cima alle classifiche europee per il maggior guadagno in termini di occupazione che deriverebbe da una migliore formazione e da un più efficiente utilizzo del capitale umano. Un gap fra i più elevati fra le economie mature, fra le più basse in Europa la quota di quindicenni in possesso di competenze considerate indispensabili per un solido percorso di vita nel XXI secolo. Una delle più basse incidenze di laureati e una delle più elevate quote di cittadini fra i 18 e i 24 anni privi di titolo di scuola secondaria superiore.

Sul futuro del lavoro, il rapporto richiama la necessità di rendere pienamente operativi questi strumenti. Di rafforzare e aggiornare il programma Garanzia Giovani, anche alla luce delle indicazioni europee e di far funzionare i nuovi strumenti di politica attiva predisposti dal Pnrr e dalla legge di bilancio. Un’altra eredità che sembra affermarsi dopo la crisi del Covid-19 è l’aumento del già ampio numero di lavoratori che hanno difficoltà a inserirsi nei circuiti produttivi. Al contempo, però, diverse imprese si sono ritrovate nella necessità di ampliare gli organici in tempi rapidi ma non hanno trovato mano d’opera disponibile.

Formazione: upskilling e reskilling

Quella della formazione è sicuramente una delle urgenze maggiori per il futuro del lavoro. I bassi livelli di qualifiche dei lavoratori italiani, accompagnati dal persistere di popolazione senza appropriati titoli di studio evidenziano, infatti, come occorra investire molto in formazione. Certamente durante tutto il percorso della vita di un individuo, ma con una attenzione particolare alla formazione continua.

Se infatti è vero che le politiche attive del lavoro debbano integrarsi con quelle formative per facilitare l’ingresso al mondo del lavoro, solo una azione funzionale alla formazione periodica e ricorrente dei lavoratori può garantire un upskilling e un reskilling utili alla maggiore competitività delle Pmi italiane. Un obiettivo prioritario è fornire una formazione digitale di base alla maggioranza degli adulti. Essenziale per non subire un “digital divide” che inciderebbe ulteriormente sulle diseguaglianze e sull’esclusione delle persone più deboli. In parallelo, la formazione continua nel corso della vita dovrà essere estesa alla maggioranza dei lavoratori. Come condizione per aggiornare le loro competenze all’evoluzione tecnologica e organizzativa che investirà le imprese.

Per raggiungere questi obiettivi non basta aumentare le risorse, come fa opportunamente il Pnrr. Serve adeguare le strutture della formazione, a cominciare dalla loro organizzazione ancora spesso ispirata a modelli fordisti. Ma anche le modalità dell’apprendimento, nonché la preparazione e la cultura dei docenti.

QUANDO LA PENA SI TRASFORMA IN LAVORO

Sono molte e svariate le attività che vedono impegnato chi deve scontare una pena con contratti di lavoro veri e propri. Superata la storica distinzione tra lavoro intramurario ed extramurario, il lavoro negli Istituti Penitenziari si distingue oggi in lavoro alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria e alle dipendenze di datori di lavoro esterni (sia all’interno dell’istituto penitenziario che all’esterno).

I detenuti che lavorano hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri dei lavoratori liberi, percepiscono una remunerazione molto simile a quello dei lavoratori in stato di libertà (pari ai 2/3 di quanto stabilito dai Ccnl). Hanno diritto alle ferie remunerate, alle assenze per malattia e ai contributi assistenziali e pensionistici. Su una popolazione carceraria di circa 54.000 detenuti, i lavoranti alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria sono 15.827 unità. Pari al 30%, impiegati in attività di tipo domestico relative alla gestione quotidiana dell’istituto (pulizie, facchinaggio, preparazione e distribuzione dei pasti, interventi di piccola manutenzione ecc.). Ma anche in attività di tipo industriale, presso laboratori e officine presenti all’interno degli istituti (falegnamerie, officine fabbri, sartorie, tessitorie, tipografie ecc.). Oppure di tipo agricolo, presso le colonie agricole dell’amministrazione o presso tenimenti presenti in alcuni istituti. Assunti alle dipendenze di datori di lavoro esterni sono 2.130 detenuti, di cui 937 prestano la loro attività all’interno dell’istituto penitenziario. I restanti lavorano all’esterno e rientrano la sera in carcere.

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