di Giorgia Marcotti |
Attraverso l’articolo 2118 del Codice Civile si provvede a consolidare e generalizzare il principio della libertà di licenziamento, anche se per la verità nel lessico codicistico la parola licenziamento non compare. La rubrica dell’articolo utilizza infatti il termine neutro di “recesso” per evocare un potere attribuito in termini altrettanto imparziali e indifferenziati a entrambe le parti del rapporto di lavoro. Inizialmente e fino alla seconda metà degli anni ’60, il datore di lavoro aveva facoltà di licenziare il personale senza dover fornire alcuna motivazione. Osservando esclusivamente l’obbligo di attribuire un opportuno preavviso o di corrispondere un’indennità sostitutiva come previsto dalle norme civilistico-contrattuali.
In seguito alla volontà espressa dalle forze sindacali, dalla Corte Costituzionale e successivamente ai mutamenti economico-sociali intercorsi, viene introdotta, con la Legge n.604 del 1966, la necessaria giustificazione del recesso datoriale. Infatti, l’art. 1 della legge sopracitata stabilisce che, nel contratto di lavoro a tempo indeterminato, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 del Codice Civile o per giustificato motivo, sia esso oggettivo o soggettivo.
Mentre l’art. 2119 sancisce che il licenziamento per giusta causa può essere intimato senza preavviso “qualora si verifichi una causa che non consente la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto”, l’art. 3 della legge n. 604 prevede due ipotesi di licenziamento per giustificato motivo. L’uno soggettivo, determinato da “un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro”. L’altro oggettivo, motivato da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
Divieto di licenziamento: misure protezionistiche in pandemia
Nel corso degli anni, l’istituto del licenziamento è stato oggetto di interventi normativi costanti. Sino alla diffusione impetuosa, a partire dal mese di febbraio 2020, del virus Covid-19, il quale ha determinato una crescente e sempre maggiore produzione di normative di carattere protezionistico. La pandemia non rappresenta soltanto un’emergenza sanitaria, ma costituisce un fattore determinante che può influenzare e influenza, in modo rovinoso, il settore economico e quello relativo al mercato del lavoro.
L’adozione di misure opportune, riferite sia all’ambito sanitario sia a quello economico-lavoristico, dal lato della domanda e da quello dell’offerta, può limitare l’impatto di una crisi sempre più nociva. All’interno della sfera lavorativa, è infatti essenziale tutelare la posizione dei lavoratori e delle loro famiglie rispetto ai rischi per la salute, rafforzando misure inerenti la sicurezza sul lavoro. Quanto lo è agire nell’ambito dei ristori e dell’incentivazione alle assunzioni per supportare le imprese, sostenendo l’economia e la domanda di lavoro.
La situazione normativa
A questo proposito vi è stata l’emanazione del Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18 (il cosiddetto “Decreto Cura Italia”), il quale, al fine dichiarato di preservare il livello occupazionale e con la previsione iniziale di una sua breve durata (60 giorni), ha determinato il divieto di licenziamento giustificato da motivo oggettivo e ha sospeso le procedure di licenziamento collettivo iniziate in data 23 febbraio 2020.
Una prima modifica dell’estensione temporale del divieto di licenziamento è intervenuta con il Decreto Legge del 19 maggio 2020, n. 34. Il quale ha differito il termine di 60 giorni portandolo a cinque mesi, quindi fino al 17 agosto 2020, lasciando essenzialmente invariata la disciplina sostanziale del divieto. Con il Decreto Legge n. 104 del 14 agosto 2020, il divieto di licenziamento ha assunto forme diverse. Tale Decreto determina infatti il passaggio da un divieto generalizzato con applicazione uniforme a tutti i datori di lavoro, a una differenziazione posta in correlazione all’utilizzo della Cig-Covid che, quindi, ricopre il ruolo di condizione determinante per l’operatività del blocco dei licenziamenti. In caso di utilizzo degli ammortizzatori sociali, il divieto di licenziamento si applica fino all’esaurimento delle 18 settimane di cassa integrazione richiedibili dal 13 luglio al 31 dicembre 2020.
Il Decreto Legge del 22 marzo 2021, n. 41 (il cosiddetto “Decreto Sostegni”), ha invece prorogato il divieto di licenziamento. Fino al 30 giugno 2021 il blocco resta generalizzato e riguarda tutti i datori di lavoro, mentre dal 1° luglio e fino al 31 ottobre 2021, invece, il divieto è rimasto valido per interi settori destinatari degli ammortizzatori sociali Covid-19 che si concretizzano nell’assegno ordinario e nella cassa in deroga. Il Decreto Legge del 25 maggio 2021, n. 73, (il cosiddetto “Decreto Sostegni bis”) ha confermato la preclusione per l’avvio delle procedure di licenziamento riguardante tutta la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021.
Lavoro e coesione sociale
Infine, la Legge del 30 dicembre 2021, n. 234 (la cosiddetta “Legge di Bilancio 2022”), ha stabilito che tutti i licenziamenti effettuati entro i 90 giorni previsti siano nulli. Tale misura, però, coinvolge solo una parte delle aziende, ovvero quelle interessate dal fenomeno della delocalizzazione (lo spostamento in altri Paesi di processi produttivi o fasi di lavorazione al fine di guadagnare competitività). Il suddetto blocco si realizza nel momento in cui un’azienda di grandi dimensioni (almeno 250 dipendenti) intenda chiudere una sede nel territorio italiano, mettendo a rischio almeno 50 posti di lavoro. Quindi, i datori di lavoro di tali aziende, che intendono procedere alla chiusura di una filiale, con cessazione definitiva della relativa attività e con licenziamento di un numero di lavoratori non inferiore a 50, sono tenuti a dare comunicazione scritta almeno 90 giorni prima dell’intenzione di procedere alla chiusura.
La pandemia Covid-19 ha colpito un sistema economico – lavoristico, quello italiano, caratterizzato dai riflessi delle crisi precedenti. Pertanto, il fine ultimo che il legislatore si prefigge, in questo caso con il divieto di licenziamento, non si esaurisce nella sola tutela del dipendente dal pericolo di perdere il proprio posto di lavoro. Ma si proietta in una dimensione più ampia, che è quella relativa alla tenuta dell’occupazione a fronte del radicale rallentamento del sistema produttivo causato dall’emergenza sanitaria.
In un periodo storico caratterizzato da continue e costanti incertezze in ogni settore della vita quotidiana, risulta fondamentale sostenere l’economia e supportare la coesione sociale per fronteggiare un’emergenza drammatica, la cui portata è in continua espansione.
Chi è l’autrice
Giorgia Marcotti, laureata in Scienze Politiche e delle relazioni internazionali, è junior associate presso Studio Elit.