di Virna Bottarelli |
Se vi dicessero che il diritto del lavoro dovrebbe essere più “creativo”, che cosa pensereste in qualità di Consulenti del Lavoro o direttori delle Risorse Umane?
A caldo, forse, ribattereste che di “creatività” in ambito giuslavoristico ce n’è stata fin troppa, considerata la fitta rete di leggi e norme che disciplinano il mondo del lavoro. Il punto è, però, dare al termine “creatività” il significato corretto. Il vocabolario Treccani, ad esempio, descrive la creatività come “sensibilità ai problemi, capacità di produrre idee, di sintesi e di analisi, di definire e strutturare in modo nuovo esperienze e conoscenze”.
Alla luce di questa definizione, non sareste probabilmente indotti a una riflessione diversa? Lo spunto per parlare di diritto del lavoro e creatività arriva da David Trotti, docente di selezione e valutazione delle risorse umane presso l’Università Europea di Roma, Presidente Regionale Lazio nell’Associazione Italiana per la Direzione del Personale e autore di numerosi approfondimenti sui temi che interessano il mondo del lavoro e delle risorse umane.
Mondo del lavoro e sfida creativa
Il professore ha infatti recentemente affermato che il diritto del lavoro ha davanti a sé una grande sfida creativa. “La creatività di cui parlo è quella che consente di affrontare i problemi esistenti guardandoli secondo una nuova ottica, da nuovi punti di vista”, spiega. “Il legislatore deve rivisitare i concetti alla luce dei cambiamenti culturali che interessano la società. Le norme, del resto, affrontano e cercano di risolvere le problematiche in base alla sensibilità sociale del momento. Ci sono concetti essenziali, nella sfera del lavoro, che devono oggi essere visti con logiche diverse. Il welfare, la retribuzione, il tirocinio, solo per citarne alcuni”.
Emblematico per Trotti è anche l’esempio dello smart working. “Con l’emergenza sanitaria abbiamo assistito in realtà alla diffusione massiccia dell’home working, con molte persone che hanno dovuto lavorare da casa senza avere ricevuto una formazione sull’uso degli strumenti tecnologici. E, in alcuni casi, anche disorientate perché per la prima volta chiamate a gestire in autonomia i tempi della propria giornata lavorativa. A distanza di due anni, stiamo interpretando lo smart working in modo diverso, cercando di coglierne le opportunità dal punto di vista dell’equilibrio vita-lavoro”.
Rivitalizzare concetti esistenti, cambiando i paradigmi culturali che fino a qui abbiamo usato per interpretare il mondo: questa è la sfida secondo Trotti. “Quello che oggi complica il quadro è il fatto che la frequenza dei cambiamenti richiede un adattamento sempre più veloce. Eravamo inseriti in un mondo che faceva della staticità il punto focale, ma nel tempo, per una serie di motivi, a cominciare dalla globalizzazione, tutto è cambiato. L’intervento massiccio della tecnologia, poi, ci ha fornito strumenti che danno al lavoro una connotazione diversa e rendono il confine tra vita lavorativa e vita personale più sfumato”.
Sul fronte delle politiche attive del lavoro qual è la sfida che ci aspetta?
In questo ambito serve un nuovo approccio che metta al centro le competenze. Le politiche attive non si esauriscono con il collocamento del lavoratore. Il periodo di disoccupazione deve servire per formare o cambiare le competenze, riformularle sulla base di quello che il mercato richiede. Per un disoccupato o inoccupato, percepire passivamente un sussidio per un determinato periodo senza utilizzare quel tempo per formarsi non risolve la sua situazione. E serve anche una maggiore attenzione al bilancio tra le competenze e la vocazione della persona in questione.
Per questo chi si occupa di politiche attive deve fare un’analisi della persona in cerca di occupazione, preoccupandosi di offrirle un percorso di formazione. In modo che si attrezzi con un bagaglio di competenze e conoscenze che le consenta di essere produttiva nel più breve tempo possibile e per il tempo che sta vivendo. Indubbiamente è un lavoro complesso, ma va fatto, con i dovuti distinguo tra inoccupati e disoccupati, anche in considerazione del fatto che in Italia molti “saperi” sono oggi introvabili.
Perché il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è di così grande attualità?
Stiamo attraversando una fase nella quale tutti quei soggetti che si avvalgono di lavoratori dipendenti – aziende, Pubblica Amministrazione, associazioni Non Profit – ricercano figure professionali con competenze sempre più specifiche e hanno difficoltà a reperirle. Il problema del disallineamento deriva anche dal fatto che alcune competenze negli ultimi anni non sono state mappate. E che la preparazione offerta dalla scuola è spesso lontana dalle esigenze reali delle imprese e della società. In alcuni settori, in particolare, i cambiamenti sono stati enormi negli ultimi anni e non sono stati supportati dal mondo che viene prima del lavoro. La meccanica è diventata meccatronica. Il settore sanitario ha espresso esigenze di cura e assistenza alla persona che richiedono una preparazione diversa dal passato (si pensi alla telemedicina). Professioni che fino a qualche anno fa erano considerate secondarie, come quelle legate alla cura delle persone anziane, oggi, in una società con un’età media sempre più avanzata, sono centrali.
È poi cresciuta, in generale, l’attenzione al benessere personale e ai servizi connessi, a diversi livelli. Pensiamo ad esempio al food delivery e a quanto esso non sia più, come poteva essere in passato, un servizio di tipo esclusivo. O alla sempre più diffusa sensibilità rispetto ai tempi dell’inclusione e della diversità che sta iniziando a permeare molte realtà aziendali ed è portatrice di cambiamenti importanti nel mondo del lavoro. Questi mutamenti hanno creato nuove figure professionali. Sullo sfondo, poi, ci sono la trasformazione digitale, trasversale a tutti i settori, e un mondo ormai interconnesso, che richiedono a tutte le professioni un minimo di competenze informatiche e la capacità di rinnovarle continuamente.
Il nostro ordinamento prevede diversi istituti giuridici per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro: come andrebbero valorizzati?
Proporrei una visione diversa degli strumenti a disposizione. L’alternanza scuola-lavoro, il tirocinio curricolare, il tirocinio extra-curricolare e l’apprendistato dovrebbero essere rivitalizzati e focalizzati su target e momenti della vita differenti. Per il periodo degli studi, quando è importante avvicinarsi al mondo del lavoro per iniziare a capirne i meccanismi, ma non si ha ancora la necessità di trovare un impiego, sono ideali l’alternanza scuola-lavoro e il tirocinio curricolare, che definirei però addestramento.
Questi strumenti consentono infatti ai giovani di avere un primo contatto con un’organizzazione e di iniziare a capirne i meccanismi. Il tirocinio extra-curricolare andrebbe invece rivolto agli inoccupati e interessare la fase successiva agli studi. Quella in cui la persona entra nel mondo del lavoro per la prima volta e ha bisogno di acquisire delle competenze. Per questo motivo il tirocinio deve essere un momento formativo, al termine del quale deve essere fatto un bilancio delle competenze. È importante verificare che l’organizzazione che si avvale di questo strumento lo utilizzi in modo corretto. Ossia offra effettivamente una formazione al tirocinante, pena l’impossibilità di ricorrere nuovamente a questo istituto. Il tirocinio extra-curricolare dovrebbe poi sfociare nell’apprendistato professionale. Filo conduttore, dalla scuola all’ingresso nel mondo del lavoratore, è il percorso di acquisizione di competenze, oltre alla comprensione del mondo delle organizzazioni. L’impresa che investe nella formazione di una risorsa dovrebbe avere tutto l’interesse a tenerla con sé: il vantaggio è dunque reciproco.
Parliamo di welfare: in questo ambito, su che cosa sarebbe bene concentrarsi oggi?
Il welfare ha progressivamente catturato l’attenzione del mondo del lavoro. Stiamo passando dal Welfare State al Welfare Mix, con elementi come le assicurazioni e la previdenza complementare sempre più connessi al rapporto di lavoro e integranti le “forniture” dello Stato.
Un welfare aziendale efficace dovrebbe avere, tra i primi obiettivi, anche l’aumento del potere d’acquisto del lavoratore. Oltre, ovviamente, alla capacità di portare benessere, senza però far aumentare i costi aziendali. Una soluzione percorribile è, ad esempio, far rientrare negli elementi di retribuzione detassati e decontribuiti la spesa per le utenze domestiche. Entro limiti e meccanismi precisi, si potrebbe stabilire che parte della retribuzione copra il pagamento di tali spese senza che questa erogazione sia imponibile. Un meccanismo vantaggioso per tutti e tre gli attori interessati dal cuneo fiscale: il lavoratore, l’impresa e lo Stato. Un lavoratore che ha maggiore disponibilità economica consuma di più e contribuisce, pagando le imposte indirette, a incrementare le casse dello Stato.
Il 2020 è stato l’anno dello Smart Working. Il 2021 quello del “New Normal”. E il 2022?
Sarà l’anno delle opportunità. Il Pnrr, un Pil in rialzo e l’espansione dei servizi della Pubblica Amministrazione dovrebbero produrre un aumento della ricchezza. Occorre però saper cogliere queste opportunità. La crescita si concretizzerà solo se sapremo sviluppare le competenze necessarie nei settori in espansione e se il legislatore saprà reinterpretare le politiche attive e alcuni concetti alla base del diritto del lavoro. Come la retribuzione e la modalità di rapporto con l’azienda, che vive sempre più su password e username anziché su badge e timbratura.
Chi è David TrottiDocente presso la facoltà di Psicologia dell’Università Europea di Roma, David Trotti è stato nominato da Fortune Italia tra i 100 migliori “welfare specialist” italiani. Vicepresidente Nazionale, Presidente Regionale Lazio e Responsabile Nazionale del Centro Studi Aidp (Associazione Italiana per la Direzione del Personale), è stato Direttore Corporate Risorse Umane e Personale del Gruppo Mondoconvenienza e oggi HR Director come Temporary manager in Gioservice srl. Pubblicista, ha al suo attivo libri, ebook, articoli e video. È editorialista per il Quotidiano Lavoro di Ipsoa. Professore a contratto presso l’università Niccolò Cusano di Roma, Consulente Nazionale per l’area lavoro dell’Aiop (Associazione Italiana per l’Ospedalità Privata) e già capo delegazione per le trattative del Ccnl per la Fiavet (Federazione italiana associazioni imprese viaggi e turismo). È Consulente del Lavoro e formatore nei temi che riguardano le risorse umane nella parte gestionale, di diritto e amministrativa. |