di Laura Reggiani |
Capaci di fronteggiare l’emergenza di fronte all’epocale crisi causata dal Covid-19, pronti a cogliere la sfida della ripartenza investendo in tecnologia e nuovi modelli organizzativi per i propri studi professionali. La maggior parte dei Consulenti del Lavoro intervistati nell’anno più buio dell’economia italiana, il 2020, sono riusciti a superare indenni la crisi. Circa il 30% ha visto crescere il fatturato; oltre il 23% il numero dei clienti e il 22% il valore medio degli incarichi.
Dopo aver assistito 6 milioni e mezzo di lavoratori e un milione e mezzo di imprese nel corso della pandemia, senza risparmiarsi anche in orari festivi e notturni, i 26mila Consulenti del Lavoro sono pronti a rinnovarsi e a offrire servizi in linea con le trasformazioni del mercato del lavoro. Dalla consulenza giuridica ed economica sui rapporti di lavoro (59%) alla crisi di impresa (56,6%); dal welfare aziendale (56,1%) alla sicurezza sul lavoro (46,7%), passando per l’organizzazione del lavoro (45%), la selezione, la formazione e le politiche attive (44%).
Consulenti del Lavoro: professione sempre più centrale
A delineare il nuovo profilo della categoria è l’indagine “Progettare il futuro: scenari di evoluzione della professione del Consulente del Lavoro nel dopo pandemia”, promossa dall’Enpacl, e realizzata sugli iscritti all’Ordine dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. Un rapporto da cui emerge l’immagine di una professione che è destinata a diventare sempre più centrale nei prossimi anni. L’evoluzione dei Consulenti del Lavoro sta andando verso un modello sempre più organizzato di professione, e questo risulta molto evidente dall’indagine. Una buona propensione all’esercizio in forma aggregata della professione (27,8% del totale), sia in forma associata che Stp, con aperture verso altri mondi professionali (il 14% gli intervistati lavora in associazione con professionisti di altri Ordini). Una discreta strutturazione degli studi, con una dimensione media di quasi 3 addetti, tra collaboratori, dipendenti e altri professionisti, tra cui soprattutto commercialisti. Il 64% degli studi ha infatti almeno un collaboratore, mentre sono il 17% i professionisti che lavorano in realtà con più di 5 collaboratori. Infine, un crescente orientamento alla diversificazione dei servizi in chiave sempre più specialistica.
Rispetto a cinque anni fa, si riduce l’offerta professionale in ambito fiscale e si rafforza l’area della consulenza del lavoro in generale. Con il consolidamento di una presenza, ancora minoritaria, ma importante, di professionisti che offrono servizi in tema di relazioni industriali (32%), welfare aziendale (19%), selezione, formazione e politiche attive (12%), pianificazione previdenziale (11%).
Un quadro differenziato
In questo quadro generale, la categoria risulta tuttavia molto articolata al proprio interno. Le differenze tra piccoli e grandi studi, che ricalcano in parte il confine tra esercizio in forma individuale e associata, sono quelle che emergono con maggiore evidenza. Al Sud si conferma un orientamento all’esercizio ancora individuale (solo il 18,4% dei professionisti svolge consulenza in forma aggregata), con ridotte dimensioni di struttura (il 47% dei professionisti non ha collaboratori) e di mercato, e una minore diversificazione dei servizi.
Di contro al Nord, e in particolare al Nord Est, la professione ha consolidato un modello organizzativo complesso. Esercita in forma aggregata il 33% degli intervistati al Nord Ovest e il 40% al Nord Est. Circa un quarto dei professionisti lavora in studi con più di cinque addetti, mentre la gamma dei servizi, oltre a risultare più specializzata in ambito lavoristico, abbraccia anche le nuove aree di business come il welfare aziendale, le relazioni industriali, la pianificazione previdenziale.
La spinta all’innovazione dei consulenti del lavoro
In questo scenario, l’emergenza Covid ha impresso un’ulteriore spinta verso l’innovazione dell’attività professionale. Il sovraccarico di lavoro dovuto alle novità normative e ai numerosi adempimenti è stato fonte di stress e preoccupazione (il 55,2% degli intervistati indica come principale criticità del periodo il carico di lavoro eccessivo e, a seguire, il 39,6% l’aumentato numero degli adempimenti). Ma ha anche spinto molti consulenti a rivedere l’organizzazione del proprio lavoro. Non solo per far fronte all’emergenza, ma anche per gestire le nuove modalità di relazione con i clienti, senza perdere di vista le opportunità di mercato offerte dalla crisi.
I risultati non sono mancati. La maggioranza degli intervistati ha superato indenne il 2020, il 30% ha visto crescere il fatturato, il 23% il numero dei clienti e il 22% il valore medio degli incarichi. Ma è soprattutto con riferimento al 2021 che la professione si aspetta di essere ripagata dello sforzo compiuto. Un terzo degli intervistati prevede infatti un aumento dei volumi d’affari dello studio e quasi un altro terzo della clientela.
Un orizzonte di crescita
Per quanto riguarda il futuro, più della metà dei professionisti (55%) guarda all’orizzonte dei prossimi tre anni con l’obiettivo di accrescere la propria attività in fatturato e clienti. Un altro 28% reputa prioritari il consolidamento e la stabilità. Tra le priorità strategiche, il 67% indica al primo posto il miglioramento dell’organizzazione dell’attività, all’insegna di una maggiore efficienza dei processi e dell’innovazione delle tecnologie di studio.
L’emergenza è stata da questo punto di vista una grande occasione per avvicinare tanti professionisti a una dimensione – l’innovazione tecnologica – che molti faticavano ad approcciare. Il progresso delle competenze, unitamente ai positivi vantaggi derivanti dall’esperienza fatta (miglioramento dell’organizzazione per il 68% e dei rapporti con i clienti per il 59%) è stato uno stimolo importante per maturare nuovi progetti di investimento digitale. Finalizzati ad accrescere la qualità dei servizi resi, di cui ormai la tecnologia rappresenta una componente strutturale imprescindibile. Rientra in una logica organizzativa nuova anche il rafforzamento di sinergie e collaborazioni con altri professionisti, indicata dal 43% come priorità per il prossimo triennio. Anche in questo caso si tratta di una tendenza a “fare squadra” emersa con la pandemia. E divenuta strategica per molti, in particolare per i piccoli studi, desiderosi più dei grandi di allargare la rete delle collaborazioni.
Le criticità generate dalla pandemia
In questo scenario di proiezione al futuro non vanno però trascurate le criticità che la pandemia ha generato. I divari interni alla professione hanno accresciuto le differenze tra piccoli e grandi studi, associati e individuali, Nord e Sud. Medi e grandi studi sono riusciti a trasformare la pandemia in opportunità per innovare e riorganizzare la propria attività, puntando al miglioramento delle performance aziendali. Di contro, le piccole e piccolissime realtà hanno sviluppato un approccio più adattivo, volto a soddisfare le richieste emergenziali del mercato, senza una vera visione di cambiamento orientata al futuro.
L’emergenza ha lasciato anche tra i Consulenti del Lavoro un disagio profondo. Quasi il 20% di professionisti valuta negativamente la propria situazione lavorativa. Il 25% ha visto ridurre il fatturato nel corso del 2020 e un 17% prevede lo stesso andamento nel 2021. Sono infine il 16% gli iscritti che affermano che vorrebbero lasciare l’attività, il 7% per cambiare lavoro o cercarne uno dipendente.
LA DIVERSIFICAZIONE DELL’OFFERTA DEI SERVIZIAll’estensione delle potenzialità dello studio si accompagna una copertura più ampia delle diverse componenti dell’offerta professionale. Il core business del consulente è generalmente concentrato sull’amministrazione del personale e sulla consulenza giuridica ed economica relativa ai rapporti di lavoro. Su questi due ambiti convergono le risposte della maggioranza del campione, con percentuali dell’88%, nel primo caso, e del 60% nel secondo caso. Percentuali superiori al 40% si riscontrano in attività come la contrattualistica (48%), gli adempimenti fiscali, tributari e societari (47%), la consulenza fiscale, finanziaria e societaria e le relazioni sindacali. Su un versante tendenzialmente innovativo, anche rispetto alla precedente rilevazione sui consulenti condotta nel 2017, si collocano ambiti di attività come l’organizzazione del lavoro (28% delle risposte), il welfare aziendale (19%), la pianificazione previdenziale (11%). Ma anche temi oggi molto importanti come le crisi di impresa (6,5%) o la mediazione (6%). Il confronto con i risultati del 2017 mostra una netta diversificazione dell’attività dei professionisti in direzione della consulenza in materia lavoristica. Se la materia fiscale segna infatti una diminuzione, crescono invece le funzioni legate alla consulenza giuridica ed economica sui rapporti di lavoro, la contrattualistica e le relazioni sindacali. |