Dal 4 al 6 maggio scorsi si è parlato di prevenzione, salute e sicurezza sul lavoro a Urbino. Presso il Palazzo Ducale, la Fondazione Rubes Triva e l’Università degli studi di Urbino Carlo Bo, con il patrocinio di Inail, hanno infatti organizzato il primo Festival internazionale della Salute e Sicurezza sul lavoro.
Il Festival intitolato “La sfida della prevenzione partecipata” ha rappresentato un momento di confronto sulle normative che interessano la questione della sicurezza, dal codice degli appalti alle leggi in materia di lavoro e formazione. “Da sempre sosteniamo la necessità di un sistema di incentivazione per le imprese che investono in salute e sicurezza e una partecipazione attiva dei lavoratori nelle scelte organizzative dell’azienda – commenta Angelo Curcio, presidente della Fondazione Rubes Triva -. Dall’esperienza positiva dei comitati aziendali nelle attività di contrasto al Covid-19, in particolare, è nata l’idea di creare comitati aziendali focalizzati sulla sicurezza e di mettere al centro del Festival il concetto di prevenzione partecipata”.
Cosa significa prevenzione
La prevenzione di cui parla Curcio prevede anche l’adozione di procedure sulla rilevazione dei cosiddetti “near miss”. Ossia i mancati incidenti segnalati dai lavoratori, che l’azienda deve considerare alla stessa stregua dei rischi per la sicurezza, di attrezzature volte a ridurre i rischi stessi e di strumenti per la segnalazione delle emergenze, importanti in situazioni in cui il lavoratore opera in singolo. “Aver scelto il tema della prevenzione partecipata rende il Festival un momento di interesse per molti attori. Il fatto di essere organizzato da un ente bilaterale dedicato esclusivamente al tema della sicurezza lo ha reso ancora più attrattivo”, aggiunge Curcio.
Il controllo deve essere mirato
A uno degli eventi di lancio del Festival è intervenuto, tra gli altri, Bruno Giordano. Il direttore dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha invitato a riflettere anche sui risvolti economici della carenza di sicurezza nei luoghi di lavoro. “Gli incidenti sul lavoro sono anche un tema che riguarda la spesa pubblica – dice -. Perché da essi scaturiscono costi assicurativi, amministrativi, legali, processuali, giudiziari, per un valore totale che nel nostro Paese supera il 2,5% del Pil. È chiaro quindi che si tratta di affrontare anche un problema di politica economica e che le risposte che lo Stato sta cercando di dare riguardano non solo l’incidenza della sicurezza sul rapporto di lavoro ma una più ampia capacità di fare prevenzione”.
Un ruolo importante nel fare prevenzione è proprio quello dell’Ispettorato, che sta ampliando il proprio organico con oltre 2.000 nuovi dipendenti. A febbraio è stato infatti pubblicato il bando per il reclutamento di 1.249 ispettori, informatici e statistici, mentre altri 1.121 inserimenti sono già stati programmati. Dice ancora Giordano: “Si tratta di una vera e propria rivoluzione, perché stiamo immettendo anche nuove professionalità nel nostro organico. Il tema della sicurezza è oggi il tema principale del lavoro non legale. Per contrastarlo dobbiamo avere più controlli, ma dobbiamo prima analizzare il mercato del lavoro, tenendo conto di quello irregolare e dei settori nei quali intervenire, in base al livello di rischio. Si tratta di avere un’intelligence ispettiva che ci porti a indirizzare le forze dove maggiore è la possibilità di trovare un illecito. E si tratta anche di cambiare l’ottica del controllo. Il cambiamento in atto, il moltiplicarsi delle figure contrattuali ci portano sempre più a ispezionare i lavori che non i luoghi di lavoro”. La nuova “potenza di fuoco” dell’Ispettorato ha già dato dei risultati, come l’aumento del 410% degli interventi su situazioni di caporalato e sfruttamento.
La formazione deve essere qualificata
Prima ancora che sul controllo, la prevenzione deve basarsi su formazione e informazione. Affinché si possa parlare di una cultura della sicurezza, occorre costruire una consapevolezza tanto dei rischi che si possono correre in un determinato ambiente di lavoro quanto del diritto a lavorare in sicurezza. Il Testo Unico del 2008 sulla sicurezza dei luoghi di lavoro impone ai datori di lavoro l’obbligo di assicurare ai lavoratori “una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza”. Ma a distanza di oltre dieci anni dall’entrata in vigore della norma, la formazione sulla sicurezza in Italia è all’altezza del compito?
Per citare ancora il ministro Orlando: “Sono attualmente in vigore sette Accordi Stato-Regioni, in molte parti similari, ma con differenze interpretative e organizzative che favoriscono incertezze. Il sistema della formazione in salute e sicurezza sul lavoro va quindi migliorato, in un’ottica di semplificazione e sistematizzazione, che consenta di unificare e armonizzare gli accordi in materia”. Proprio in un’ottica di armonizzazione, lo scorso dicembre il maxiemendamento al D.L.146/2021 ha stabilito che entro il prossimo 30 giugno la Conferenza Stato-Regioni adotti un accordo in materia di formazione nel quale siano accorpati, rivisitati e modificati gli accordi in vigore. Il ministro non manca poi di sottolineare come le criticità citate abbiano favorito “il proliferare di proposte formative non adeguate, con soggetti formatori non qualificati, casi di mercato parallelo di adempimenti formali e addirittura vendita di attestati falsi, svilendo questa fondamentale misura di prevenzione”. È quindi importante per il datore di lavoro non solo adempiere all’obbligo di formazione, ma farlo con la certezza di fornire ai propri dipendenti percorsi formativi seri.
Formazione finanziata come strumento di prevenzione
Una buona opzione per l’azienda è ricorrere alla formazione finanziata. Come ci spiega Carlotta Pasini, esperta di formazione per l’ambito sicurezza del lavoro del Gruppo RTS, ente di formazione e consulenza con sede a Parma, che opera tramite i Fondi Paritetici Interprofessionali. “I corsi finanziati, oltre a rappresentare un vantaggio economico per il datore di lavoro, sono per i discenti una garanzia di esecuzione reale del progetto formativo. Per usufruire della formazione finanziata, l’azienda deve iscriversi a un fondo interprofessionale e mettersi in contatto con un ente gestore della formazione. I piani formativi possono poi svolgersi in aula, sui luoghi di lavoro, in videoconferenza o a distanza. Anche se non tutti i percorsi previsti in modalità videoconferenza possono assolvere l’obbligo formativo. Può essere richiesto, ad esempio, di seguire metà corso in videoconferenza e metà in aula”.
Approcciare la formazione per il datore di lavoro non è sempre semplice. Concretamente, a chi ci si può rivolgere per orientarsi tra le varie opzioni?
In alcuni casi, come per i corsi destinati ai neoassunti, che devono concludersi entro 60 giorni dall’assunzione, il datore di lavoro potrebbe anche organizzarsi in autonomia. Ma non è semplice gestire la parte documentale e di docenza. Perciò, nella maggior parte dei casi, ci si rivolge a un ente formatore. In altri casi, come per la formazione aggiuntiva della sicurezza, ad esempio relativa all’uso di macchinari da cantiere o a lavori elettrici, i corsi devono essere erogati da soggetti accreditati in Regione. Anche perché qui districarsi tra le normative è tutt’altro che semplice. In generale, il datore di lavoro che deve adempiere all’obbligo previsto dal TU 81/2008 si può rivolgere agli enti regionali, all’Inail, alle associazioni sindacali datoriali e dei lavoratori, agli organismi paritetici. E per quanto riguarda la sicurezza in cantiere alla scuola edile.
In base alla sua esperienza, pensa ci sia oggi una maggiore sensibilità in tema di sicurezza? Con la pandemia è cambiato il modo di fare formazione?
Ho notato sicuramente una maggiore consapevolezza sul tema da parte dei discenti, che si informano sempre più tramite la cronaca televisiva, i telegiornali e i giornali on-line. Tuttavia, c’è ancora molto lavoro da fare perché in realtà non è aumentata la consapevolezza dei rischi che essi corrono sui luoghi di lavoro in cui operano. Il cambiamento è stato notevole e mi sento di dire che non è stato un cambiamento in negativo. Ora possiamo fare una formazione fruibile anche nelle situazioni più difficili da gestire. Anni fa, ad esempio, sarebbe stato impensabile formare un lavoratore addetto a mansioni operative distaccato a centinaia di km di distanza dalla sede principale dell’azienda. Oggi, invece, abbiamo i mezzi per consentirgli di frequentare in videoconferenza.
Sempre in tema di cambiamenti, quali novità ha introdotto il Decreto 146/2021?
La novità più interessante, e a mio avviso positiva, riguarda l’estensione al datore di lavoro dell’obbligo di seguire corsi di formazione sulla sicurezza. Non conosciamo ancora quali saranno i contenuti e le modalità di questi percorsi formativi, perché dovranno essere stabiliti dalla Commissione Consultiva permanente entro la fine di giugno. Ma è da accogliere con favore una norma che mira a rendere anche il datore di lavoro consapevole dei rischi in tema di salute e sicurezza.