Siate coach di voi stessi

"La condizione indispensabile affinché un processo di coaching abbia successo è la volontà della persona di crescere, impegnarsi, migliorarsi e diventare artefice del proprio destino". Intervista a Massimo Binelli, mental coach e formatore con un passato, importante, da pesista e un presente, avvincente, da velocista

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Coach e consulenza aziendale con lo sportivo Massimo Binelli

di Virna Bottarelli |

Una carriera agonistica da pesista, poi le arti marziali, lo sci e l’atletica leggera. È una vita votata allo sport quella di Massimo Binelli, oggi mental coach e formatore di atleti, imprenditori e top manager, che continua ad allenarsi, come lui stesso dice, “con la motivazione e l’intensità di quando ero un bimbetto”.

La sua passione per la sfida con i propri limiti traspare anche quando gli chiediamo di raccontarci come tutto ebbe inizio: “Da ragazzino insistetti con mia madre per iscrivermi a una palestra: volevo diventare più muscoloso perché ero gracilino e restavo sempre ai margini del gruppo di amici e compagni di scuola. In palestra c’erano pesisti e culturisti e io venni assegnato al secondo gruppo. Una volta terminati i miei esercizi, però, di nascosto, andavo sulla pedana dei pesisti e cercavo di imitarli. Fu così che un giorno, per caso, il professor Luciano Ferrari, una persona che ha significato molto per me, mi vide intento a provare uno ‘strappo’ e mi volle nel suo corso”. Dopo un paio di anni di allenamenti, arrivano la prima gara nel Campionato Italiano, il record italiano e la convocazione in Nazionale, al Centro Federale di Savona. Dove poi Binelli, solo quattordicenne, si trasferisce. “Mi trovai a cambiare città, scuola, amici. È stata un’esperienza che mi ha forgiato il carattere, perché ho imparato molto in fretta ad autogestirmi, anche finanziariamente, grazie al contributo che ricevevo dalla federazione”.

Binelli oggi lavora anche con le aziende, tenendo corsi mirati su comunicazione e public speaking, persuasione e vendita, gestione delle emozioni e leadership. “In azienda possono essere attuati progetti di formazione e coaching specifici per ciascuna esigenza e molto coinvolgenti, per consolidare la ‘cultura di squadra’ e far emergere le potenzialità individuali”.

Quando ha deciso di lavorare nella formazione e che tipo di studi ha intrapreso?

Dopo quattro anni al Centro Federale di Savona, mi trasferii a Roma, perché nel frattempo entrai nel Gruppo Sportivo della Polizia di Stato “Fiamme Oro”. Nei pressi del Centro di Preparazione Olimpica Acqua Acetosa, dove ci allenavamo, vidi un manifesto che pubblicizzava un corso di Programmazione Neuro Linguistica. Non avevo idea di cosa fosse, ma mi incuriosì e iniziai ad approfondire la materia. Allora decisi che la formazione, all’epoca non si parlava ancora di mental coaching, sarebbe diventata la mia professione.

Da allora ho divorato libri sulla psicologia dello sport e su tutti i temi inerenti alla crescita personale. Ho frequentato un’infinità di corsi e mi sono laureato in Sociologia. Parallelamente ho acquisito diverse competenze, tra cui Allenatore di Pesistica e Cultura Fisica, Master PNL e Certified Mental Coach. Nel 2017 ho scritto il libro “Atleta Vincente. Strategie e tecniche per diventare campioni nello sport e nella vita”, pubblicato da Hoepli. Tutt’oggi è un riferimento per chi vuole lavorare sulla propria crescita personale e sportiva.

Oggi in che cosa consiste la sua attività di mental coach e formatore?

Circa quindici anni fa ho messo a fuoco una differenziazione tra formazione e coaching. La prima è un processo complesso di trasferimento di contenuti e metodi per fare acquisire ai discenti livelli intellettuali, culturali e tecnici sempre maggiori. Il secondo, invece, fornisce ai coachee, ossia ai fruitori, gli strumenti per trovare le risorse dentro loro stessi. “Fare coaching” significa quindi creare le condizioni affinché nei miei coachee si verifichino apprendimento e crescita, grazie alla piena conoscenza e alla consapevolezza delle risorse che emergono dentro di loro nel preciso istante in cui imparano a osservarsi.

Come mental coach, quindi, mi definisco un “facilitatore di consapevolezza, responsabilità e fiducia”. Il mental coach oggi è una figura riconosciuta a tutti gli effetti e, in ambito sportivo, è entrata a far part dello staff degli atleti, al pari degli allenatori, preparatori atletici, fisioterapisti, osteopati e nutrizionisti. Per quanto riguarda la formazione, in ambito sportivo, propongo da anni il mio percorso “Atleta Vincente”, rivolto ad atleti, allenatori e dirigenti. In ambito personale, professionale e aziendale, invece, come formatore e mental coach mi occupo di far emergere il potenziale di professionisti, imprenditori, dirigenti e responsabili. E adotto il più possibile le metafore sportive, per far comprendere al meglio le tecniche da usare. Perché sport e vita, per me, sono due facce della stessa medaglia.

Che cosa significa fare da mental coach a uno sportivo e che cosa significa invece farlo in un ambito aziendale, rivolgendosi a persone che magari non hanno lo sport “nelle loro corde”?

Il mental coach innanzitutto aiuta un atleta a usare tutti gli strumenti necessari per identificare e formulare correttamente i propri obiettivi. Lavora sul potenziamento dell’autostima, insegna a gestire la tensione, agisce su motivazione, responsabilità e qualità delle prestazioni. Il coaching, dunque, è un approccio orientato all’azione. Si parte dalla situazione presente, il “qui e ora”, per costruire un futuro migliore. Puntando l’attenzione sul risultato da ottenere (la soluzione) piuttosto che lavorare sul problema da risolvere. Ne consegue che la condizione indispensabile affinché un processo di coaching abbia successo è la volontà dell’atleta di crescere, di impegnarsi, di migliorarsi e di diventare artefice del proprio destino.

Con ciascun coachee, atleta o meno che sia, si stabilisce un rapporto molto stretto, ma non deve mai diventare un rapporto di dipendenza. Perché se il coachee arrivasse al punto di chiedere al coach un “consiglio” e il coach commettesse l’errore di darglielo, quel consiglio, in quel preciso momento finirebbe il rapporto di coaching e si entrerebbe in un’altra dimensione. Il coach deve aiutare il proprio coachee a rivolgersi le domande giuste in ogni circostanza, allo scopo di farlo diventare mental coach di sé stesso, in ogni ambito della vita, non soltanto in quello sportivo. Ed è compito del coach individuare le corde giuste da far suonare a ogni persona, indipendentemente dallo sport che pratica, se è un atleta, e dall’attività che svolge, se si tratta di una persona che magari non ha mai praticato sport in vita sua.

Quali sono i valori dello sport che pensa sia necessario trasmettere all’ambito professionale?

Il mio libro “Atleta Vincente” si apre citando Pietro Mennea. “La fatica non è mai sprecata. Soffri, ma sogni”. È la sintesi più efficace che io abbia mai trovato per definire la capacità di lavorare sodo, mantenendo la motivazione al livello più elevato possibile per tutto il tempo necessario al raggiungimento dei propri obiettivi. Per un atleta questo concetto si traduce in “resilienza”. Una parola della quale si è abusato molto, negli ultimi due anni, ma che in ambito professionale diventa perseveranza, ossia la capacità di essere costanti e di avere fiducia nei propri mezzi, per conseguire il successo. Un altro valore importante che cerco di trasferire dallo sport al mondo professionale è il rispetto per gli altri. In pista mi piace dire che siamo avversari dai blocchi di partenza al traguardo e amici dal traguardo in poi. Sul lavoro cerco di trasmettere il principio che la sana competizione è necessaria per crescere. E talvolta può essere anche molto dura, ma occorre sempre mantenere il rispetto per l’“avversario”, collega, rivale o concorrente che sia.

Perché, però, a volte è difficile applicare questi valori in ambito lavorativo?

In ambito lavorativo, così come nello sport, può capitare che alcuni siano disposti a barare, pur di raggiungere i loro scopi. Nello sport, quando l’integrità morale passa in secondo piano rispetto all’ambizione, sappiamo che pur di vincere un atleta è disposto a fare ricorso al doping. Alla stessa stregua, in ambito lavorativo, pur di emergere e ottenere vantaggi, c’è chi è disposto a compiere azioni sleali. Questo comportamento, se scoperto, inquina il clima aziendale e spinge le persone a diventare guardinghe e sospettose, anziché essere solidali anche nel momento della difficoltà. Pensiamo a una partita di pallavolo: se un giocatore sbaglia una ricezione, i suoi compagni gli si stringono attorno. Mettendo in atto un rituale del tutto personale per ciascuna squadra, rinforzano il legame del gruppo, al posto di far sentire chi ha sbagliato unico colpevole dell’errore.

In un’azienda dove i rapporti interpersonali sono corrotti, invece, a seguito di un errore si cerca subito il colpevole, per incastrarlo e ottenerne vantaggi, al posto di individuare tutti assieme una soluzione. Ed è proprio in questi casi che un mental coach può lavorare per infondere i valori della cultura di squadra.

Un “atleta vincente”, secondo la sua formula, si basa sul 25% di competenza tecnica, 25% di prestanza fisica e 50% di potenza mentale. Se dovessimo applicarla a un professionista, o anche a un lavoratore, come cambierebbe la formula?

La “Formula dell’Atleta Vincente” si può applicare anche in ambito professionale. Perché il rendimento sul lavoro, a qualunque livello, dall’operatore di linea al dirigente, dal piccolo imprenditore al tycoon, discende da un perfetto equilibrio tra mente e corpo, che devono agire in perfetta sinergia. Ciò significa che così come nello sport, dove le percentuali sono diverse se la disciplina praticata è più “muscolare”, come il pugilato ad esempio, o più “mentale”, come il tiro con l’arco, anche nel lavoro la parte fisica ha un ruolo più o meno importante rispetto a quella tecnica, ossia alla competenza.

La componente mentale, però, che si traduce in consapevolezza,attenzione, concentrazione e gestione delle emozioni, deve rappresentare sempre almeno il 50% del “pacchetto”. In altre parole, per “vincere”, nello sport e sul lavoro, la mente e il corpo devono essere addestrati a lavorare come una squadra, senza virtuosismi solitari, né da una parte né dall’altra.

Ci vuole parlare di qualche progetto al quale sta lavorando?

A fine estate uscirà il mio prossimo libro, “Pillole di Coaching”, edito da Franco Angeli, nel quale spiego come sfruttare il 100 per 100 delle proprie potenzialità. Tramite 60 esercizi pratici, uno per ogni Pillola di Coaching, suddivisi in un primo momento di riflessione e in un successivo momento di azione, e 40 Domande Potenti, da rivolgersi per guardare la realtà da un diverso livello di osservazione, stimolare l’azione e affrontare i conflitti interiori. Il mio obiettivo è quello di far diventare chiunque desideri affrontare un percorso di crescita personale mental coach di sé stesso, in ogni ambito della vita.

Chi è Massimo Binelli

Mental coach e formatore, Massimo Binelli ha gareggiato come pesista per le “Fiamme Oro” della Polizia di Stato. Ha partecipato a importanti competizioni internazionali e conquistato undici primati italiani, in diverse categorie. Dopo avere appeso il bilanciere al chiodo, si è dedicato alle arti marziali, allo sci e all’atletica leggera. Velocista nella categoria Master, ha vinto l’oro nella staffetta 4×200 agli Europei Master Indoor 2016 e l’argento nella staffetta 4×400 agli Europei Master Outdoor 2019. Ai recenti Europei Master Indoor 2022 ha conquistato il bronzo nella 4×200. Ha ideato il videocorso AtletaVincente.com, un programma di allenamento mentale per sportivi di ogni livello, e il progetto ZonaVincente.com, un laboratorio per l’eccellenza delle prestazioni sportive.

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