Intentional Learning: farlo bene e con successo

Si chiama “Approccio 3x3x3” e aiuta i professionisti a definire concretamente tempi, obiettivi e modalità di una crescita costante nell’apprendimento

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Intentional Learning con il metodo 3x3x3

di Maria Cecilia Chiappani |

Quando la voglia di crescere ci spinge a conoscere, a sviluppare attivamente e volontariamente nuove competenze, abbiamo l’opportunità di sfruttare il “motore” dell’apprendimento intenzionale.

Ma come in tutte le dinamiche professionali e personali, per trasformare il desiderio in azione ci vuole metodo. Da dove iniziare? Il primo passo è stabilire una serie di obiettivi, precisi e concreti, che diventeranno i pilastri del processo di ottenimento di un determinato know-how. Questa pianificazione, tuttavia, rischia di rimanere sulla carta se non viene accompagnata da ulteriori elementi strategici quali la definizione dell’arco temporale e delle persone in grado di monitorare tappe e progressi del percorso.

Intentional learning: la soluzione è 3x3x3

Sembra difficile, unito alle innumerevoli attività del nostro vivere quotidiano, ma in realtà si tratta di assecondare consapevolmente il ciclo naturale dell’apprendimento. Ovvero identificare una conoscenza o una competenza da imparare, creare un processo per arrivarci e coinvolgere persone che ci aiutino a rafforzarla. Così, potremo trasformare quanto appreso in quella capacità concreta che porta successo. Per supportare un approccio pratico all’apprendimento intenzionale, gli esperti di McKinsey & Company hanno creato un metodo semplice ma efficace chiamato “3x3x3”.

Alla base, si incoraggiano tutti i professionisti a partire da 3 obiettivi di sviluppo, in un periodo di 3 mesi, coinvolgendo 3 persone. Una struttura declinabile in varie forme e modalità per razionalizzare gli sforzi tecnici ed emotivi dei “cercatori” di nuove skill.

Tre obiettivi: non uno di più, non uno di meno

Perché solo tre obiettivi? Costruire una nuova competenza richiede intenzionalità e concentrazione. Quando le persone fissano troppi obiettivi, spesso non ottengono reali progressi su nessun fronte. Per non perdere la bussola, dunque, è utile stabilire meno traguardi e renderli più concreti: si sviluppa così il giusto livello di proattività per migliorare le prestazioni. E perché non conseguirne uno solo? Focalizzarsi su un singolo obiettivo in un dato periodo può limitare gli orizzonti del proprio percorso di crescita. Del resto, la maggior parte dei professionisti dovrebbe migliorare in più di un ambito. Dato il ritmo evolutivo dell’attuale mondo del lavoro, è alquanto improbabile che un solo traguardo sia sufficiente per consolidare la propria rilevanza e a soddisfare le crescenti aspettative di superiori, partner e clienti.

Tre si conferma il numero perfetto anche perché permette di sfruttare al meglio tutte le esperienze in via di acquisizione. Prendiamo il caso tipico di un professionista a metà carriera che desidera guidare i suoi collaboratori in modo più efficace, ampliare la propria rete di contatti e migliorare la leadership in azienda. I tre obiettivi sono raggiungibili solo se trasformati in un piano d’azione concreto, ma possono anche rafforzarsi a vicenda e incoraggiare il manager a declinare in modo nuovo le attività di ogni giorno.

Perché raggiungerli in tre mesi

La durata ottimale di un percorso di intentional learning può variare, a seconda della natura degli obiettivi, ma per diverse ragioni tre mesi risultano ottimali per farcela. In primis, perché bastano per rendere evidenti i progressi ottenuti tramite momenti di pratica, feedback e (se necessario) apprendimento formale. Allo stesso tempo, ci costringono a essere concreti e metodici, perché è difficile procrastinare un’azione quando lo sguardo è a 12 settimane. C’è anche un fattore operativo: il periodo si allinea idealmente con i ritmi globali di molte aziende (ad esempio report, revisioni e aggiornamenti trimestrali).

Inoltre, permette ai professionisti di suddividere in step gli obiettivi a lungo termine e di ricalibrare le energie lungo la strada. Anche qui, gli esempi concreti aiutano: un referente delle risorse umane vuole puntare sulla “People Analytics”. Per farlo, potrebbe fissare un obiettivo di tre mesi nei quali costruire una conoscenza base sfruttando un corso online, per poi capire che ha odiato ogni minuto di queste sessioni o che le ha apprezzate a tal punto da impostare un nuovo obiettivo di approfondimento sul “Machine Learning” applicato alle HR. In entrambi i casi, il ciclo di tre mesi ha garantito un importante momento di verifica dei suoi obiettivi e delle sue aspirazioni.

Il valore delle persone nell’Intentional Learning

La presenza degli altri entra a pieno titolo tra le priorità dell’apprendimento intenzionale per un motivo prettamente naturale. L’istinto a tenere per sé i propri obiettivi proteggendosi dall’imbarazzo del loro mancato raggiungimento. L’alterità è invece uno dei metodi più potenti per chi vuole migliorare, in quanto crea reciprocità e sano pressing sociale. C’è anche il fronte motivazionale del condividere un obiettivo con qualcuno, che rafforza la crescita congiunta generando ecosistemi di apprendimento dove tutti i membri della rete si supportano a vicenda.

Qui non c’è un vero limite numerico, ma conviene porsi il minimo di tre persone per disciplinare anche questo aspetto. La chiave è scegliere chi ha sufficiente “visibilità” sugli eventuali progressi nei campi prefissati (ad esempio i membri del team o i diretti responsabili, ma anche partner o familiari). In generale, disporre di più punti di vista esterni moltiplica il potenziale di formazione e, dunque, di successo.


* L’articolo è tratto dallo studio “Intentional learning in practice: a 3x3x3 approach” di McKinsey & Company.

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