Italiani e lavoro nell’anno della transizione

Il 49% dei lavoratori intervistati da Fondazione Studi Consulenti del Lavoro indica maggiore equilibrio personale, minore stress, e più tempo da dedicare a se stessi come principali driver del cambiamento

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Italiani e lavoro nell'anno della transizione

Italiani e lavoro: dopo la pandemia, c’è molta voglia di cambiamento. Il lavoro deve essere più compatibile con le esigenze di vita personale e più appagante sotto il profilo professionale ed economico.

Stando all’indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro dal titolo “Italiani e lavoro nell’anno della transizione”, condotta in collaborazione con SWG, più della metà dei lavoratori (55%) vuole cambiare lavoro perché insoddisfatto dell’occupazione attuale.

Italiani e lavoro: i dati 2022

Sviscerando il dato, il 5,5% degli interpellati ha cambiato occupazione negli ultimi due anni. A questi si aggiunge il 14,4% che sta cercando attivamente un altro lavoro. C’è poi un 35,1% che, pur non avendo messo in pratica alcuna azione concreta, desidera un cambiamento professionale. La ricerca di percorsi volti al miglioramento della propria condizione, non spiega però da sola la grande spinta al cambiamento alla quale assistiamo. Emerge infatti anche la voglia più profonda di un maggiore benessere ed equilibrio personale. Alla richiesta, infatti, di indicare i requisiti irrinunciabili che dovrebbe avere il nuovo lavoro, assieme al miglioramento retributivo, indicato dal 52,5%, una quota pressoché simile (49%) indica un maggiore equilibrio personale, minore stress, e più tempo da dedicare a se stessi.

La centralità del benessere individuale è anche il riflesso di due anni di pandemia che hanno spinto molti a rivedere la scala di priorità. Un’idea che per i giovani, ma anche a cascata per le generazioni più adulte, diventa il vero e proprio fattore irrinunciabile del cambiamento. Tra gli under 35 e i 35-44enni, la ricerca, con un nuovo lavoro, di un migliore equilibrio psico fisico diventa prioritaria rispetto allo stesso miglioramento economico.

Conta il benessere psico-fisico

A fronte di ciò, gli elementi che costituiscono la dimensione lavorativa in senso stretto – contenuti (22,3%), clima aziendale, attenzione alle risorse umane (22,5%), prospettive di crescita (24,2%) sicurezza del lavoro (25,3%) -, vengono messi in secondo piano. In questa spinta alla ricerca di un migliore equilibrio, lo smart working ha impresso uno stimolo decisivo. L’uscita dall’emergenza ha rappresentato, anche per il nuovo modello di lavoro, un banco di prova importante, indirizzando il lavoro da casa verso un modello realmente “smart”.

Il ritorno in presenza, da un lato, ha ridotto la diffusione di tale modalità. Il numero dei lavoratori in smart working è passato da 7,1 milioni (31,6% del totale) di aprile 2021 a 5,3 milioni (23,5%) di giugno 2022. Dall’altro lato, l’adozione di una modalità prevalentemente ibrida (17,9% dei lavoratori), la migliore perimetrazione delle professionalità coinvolgibili, la messa a regime del nuovo modello da parte delle aziende, con interventi su tutte le diverse dimensioni interessate, hanno consolidato un nuovo modo di lavorare.

“Rivoluzione tecnologica e smart working – afferma Marina Calderone, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro – stanno cambiando i modelli organizzativi e definendo un nuovo approccio verso il lavoro. Lo smart working è una modalità che ben concilia il lavoro con la vita privata. Ma va ben strutturato perché diventi un’opportunità per il futuro”.  

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