di Virna Bottarelli |
I cambiamenti si studiano una volta compiuti, quando abbiamo chiari un prima e un dopo. Interpretarli quando ci si è nel mezzo è complicato. Provarci, però, è doveroso, quanto meno per cercare di capire dove ci condurranno.
Ecco perché Marina Calderone, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, ha fatto questa premessa in apertura del Festival del Lavoro 2022, tenutosi lo scorso giugno: “Il mondo del lavoro è la cartina al tornasole dei complessi cambiamenti che hanno caratterizzato gli anni passati e ancora di più incideranno su quelli futuri. Confrontarci sulle transizioni economiche, sociali, digitali con tutti gli attori era un imperativo per la nostra Categoria, al centro tra le esigenze datoriali e quelle dei lavoratori”.
Le transizioni da affrontare
Le “transizioni” sono state il filo conduttore della tre giorni di Bologna, che ha visto protagonisti, nelle sessioni plenarie, esponenti politici di livello nazionale, accademici, imprenditori, ed esperti di diritto del lavoro e di economia nelle aule dedicate a workshop specifici su temi di interesse per i Consulenti del Lavoro. I primi a salire sul palco, il pomeriggio del 23 giugno, sono stati, introdotti da Ignazio Marino, direttore della comunicazione della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro e dalla presidente Calderone, il presidente del Consiglio Provinciale dell’Ordine di Bologna, Pier Paolo Redaelli, e Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna. Che negli ultimi anni ha lavorato con le parti sociali e con gli stessi Consulenti del Lavoro alla messa a punto di diversi progetti e quadri normativi di riferimento in tema di occupazione e imprese.
Come ha detto Bonaccini: “Non c’è un’altra regione in Italia che abbia un patto per il lavoro e per il clima, attraverso il quale, da sette anni e mezzo, condividiamo con 55 parti sociali le scelte strategiche che riguardano il nostro territorio, a cominciare dalla lotta all’illegalità. Siamo una delle Regioni più ricche d’Italia e, proprio per questo, oggetto del desiderio di mafie e criminalità, ma crediamo di avere gli anticorpi per contrastare queste ultime, insieme al mondo del lavoro, dell’impresa, delle istituzioni e della società civile. Non a caso abbiamo approvato, all’unanimità di tutte le forze politiche presenti in Regione, il Protocollo d’intesa per l’Asse.Co., l’asseverazione di conformità dei rapporti di lavoro, siglato nel 2019 dalla Regione e dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, e stiamo lavorando a una legge regionale che stanzi ogni anno un milione di euro per le imprese che vorranno asseverarsi”.
Bonaccini è intervenuto anche sul tema delle competenze e della carenza di determinati profili professionali.“Come Paese, e come Regione fortemente manifatturiera, dobbiamo affrontare il tema delle competenze: se vogliamo continuare a competere con i territori più avanzati in Europa e nel mondo dobbiamo tenere alta la professionalità. Non possiamo vincere pensando di competere sul costo del lavoro”. E ha citato altri progetti realizzati in Regione, tra cui la Muner – Motorvehicle University of Emilia-Romagna, che, realizzata coinvolgendo aziende d’eccellenza del settore e gli atenei di Bologna, Modena e Reggio-Emilia, Parma e Ferrara, propone otto corsi di laurea biennale, in inglese, in ingegneria applicata all’automotive e attrae ogni anno centinaia di studenti da tutto il mondo, e l’insediamento del Centro Meteo europeo, spostatosi a Bologna da Londra, dopo la Brexit. Il centro, che ha sede nel tecnopolo dell’ex manifattura tabacchi e sarà un punto d’attrazione per 1.500 ricercatori, si avvarrà del super computer di calcolo più potente d’Europa.
Infine, parlando di welfare e di sostegno ai cittadini, ha espresso la sua opinione sul Reddito di Cittadinanza. Lo strumento non va abolito, perché lo Stato non nega un aiuto a chi è in condizioni disperate, ma deve essere concepito come strumento temporaneo fintanto che il percettore non sia ricollocato. La priorità, in sostanza, deve essere l’occupazione.
Lavoro, economia, società: dove stiamo andando?
I temi caldi in ambito lavoro e occupazione sono diversi e il Festival li ha toccati tutti: grandi dimissioni, disallineamento tra domanda e offerta, salario minimo, sostenibilità del sistema pensionistico, riforma delle Politiche Attive, formazione professionale… Complici gli sconvolgimenti arrivati con la pandemia prima e con la guerra in Ucraina poi, lavoro, economia e società stanno attraversando una fase di transizione i cui risultati sono difficili da prevedere.
Ha detto bene Marina Calderone: “Il mondo che conoscevamo fino al 2019 non è quello che ci accompagnerà in futuro e gli ultimi due anni hanno evidenziato le criticità e le debolezze del nostro mercato del lavoro, su tutte, un problema legato all’accesso al lavoro delle categorie che invece dovrebbero essere maggiormente tutelate, i giovani e le donne. A questo tema è collegato quello del futuro previdenziale: giovani che arrivano al primo impiego sempre più in là negli anni, popolazione inattiva in aumento e percorsi lavorativi accidentati hanno ricadute alla lunga negative, e rischiano di creare nuovi poveri nel momento in cui i lavoratori di oggi andranno in pensione con il 40-50% dell’ultimo stipendio guadagnato. È importante puntare sulla continuità lavorativa”.
Sulla questione previdenziale in un contesto di discontinuità lavorativa è intervenuto il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Partendo da un tema che i Consulenti del Lavoro conoscono molto bene, la cassa integrazione, Tridico ha evidenziato come le misure del Governo abbiano risposto a un’ottica di universalismo differenziato e consentito ai lavoratori di avere una copertura reddituale e previdenziale nei momenti di crisi. In un mercato del lavoro sempre più frammentato si stanno creando anche piattaforme di previdenza dedicate a chi è occupato in modo intermittente – domestici, giardinieri, fattorini, rider, ecc. – per garantire la tracciabilità di questi lavoratori e dare loro anche la giusta tutela assicurativa.
“Siccome il lavoro è diventato più discontinuo, cerchiamo di dare diritti anche a coloro che maturano giorni, e non mesi o anni, di lavoro. Fino a qualche tempo fa per maturare i requisiti e avere diritto a prestazioni come la Naspi o l’assegno di maternità, era necessario accumulare almeno tre mesi di lavoro, mentre oggi sono sufficienti 30 giorni”, ha spiegato Tridico. “Certo, resta il problema di coprire i ‘buchi’ contributivi dei periodi di non lavoro, come ad esempio il periodo degli studi universitari. In questo ambito servirebbe un intervento importante che consentisse di riscattare la laurea in modo gratuito, come avviene ad esempio in Germania. Ad oggi adottiamo una sorta di ‘riscatto light’, ma l’idea di poterlo fare gratuitamente incentiverebbe più giovani a proseguire gli studi e consentirebbe un anticipo della fine della carriera lavorativa. Ovviamente è una misura che richiede un intervento normativo e una copertura finanziaria”.
Puntare sulle vere riforme
Quello delle coperture finanziarie è un requisito necessario a qualsiasi proposta di riforma, ma da solo non garantisce comunque l’efficacia degli interventi normativi e il cambiamento, in positivo, del sistema. Serve, come ha sottolineato Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, una visione. “A volte sentiamo definire ‘riforma’ qualcosa che invece è un insieme di interventi temporanei, non legati fra loro. Dobbiamo avere una visione e chiederci dove vogliamo andare come Paese. Abbiamo risorse, eccellenze, ma non possiamo continuare a vedere l’imprenditore come ‘un nemico da combattere’, obbligandolo a percorsi burocratici insostenibili, e avere una prospettiva sbilanciata sulla tutela dei lavoratori dipendenti. Anche gli imprenditori, inclusi i liberi professionisti, sono lavoratori a pieno titolo, eppure non c’è norma che non scarichi sui professionisti adempimenti e non preveda per le aziende regimi sanzionatori incredibili”.
Di visione ha parlato anche Tiziano Treu, presidente del Cnel: “Dobbiamo compiere delle scelte, a cominciare dal modo di vedere lo sviluppo che, in un’era digitale, richiede un cambio di mentalità e di strumenti. L’80% delle persone adulte dovrà avere competenze digitali di base per poter stare al mondo. Così come 70 anni fa avviammo il processo di alfabetizzazione, oggi dobbiamo alfabetizzare in senso digitale e creare le competenze che servono per vivere bene e per avere aziende competitive. A prescindere dal contesto, un’impresa che si basa su conoscenze e investimenti di vent’anni fa, faticherà ad avere successo. Questo nuovo modo di vivere richiede un maggiore coinvolgimento delle persone, ha bisogno della partecipazione. Competenze e partecipazione, quindi, sono a mio avviso le basi sulle quali costruire una visione del futuro. Poi pensiamo a come fare contrattazione, a fronteggiare l’inflazione e a combattere i bassi salari, spesso conseguenza di un lavoro poco qualificato”.
Il lavoro c’è, ma dove sono i lavoratori?
In occasione del Festival, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ha presentato l’indagine “Il lavoro che c’è, i lavoratori che non ci sono”. Un approfondimento su una problematica attuale e da affrontare con urgenza: il divario crescente tra domanda e offerta di lavoro. Come ha spiegato Ester Dini, responsabile del Centro Studi della Fondazione: “Assistiamo al paradosso di tantissime aziende che stanno cercando lavoratori e lavoratori che non sono disponibili a lavorare. I dati di giugno dicono che sono 220mila i profili di difficile reperimento, su un totale di circa 560.000 assunzioni. Siamo a un tasso di irreperibilità del 40%, mentre nel 2019 eravamo al 25%. È vero che in questo periodo particolare si parla per lo più di lavoratori stagionali, ma il fenomeno sta diventando sempre più strutturale e tocca i profili bassi e alti della piramide professionale”.
Le cause di questa tendenza sono diverse: abbiamo innanzitutto un problema di calo demografico che colpisce in particolare la fascia di popolazione in età attiva e i giovani. Poi abbiamo assistito a un aumento della popolazione inattiva: rispetto al 2018, ha spiegato Dini, “ci sono 830mila occupati e persone in cerca di occupazione in meno. E ad allontanarsi dal lavoro sono anche le componenti solitamente più dinamiche, come gli immigrati”. I dati disponibili inducono a dire che, entro quattro anni, la difficoltà delle aziende nel rintracciare i profili necessari per la propria attività potrebbe diventare critica. A fronte di un fabbisogno di circa 4,3 milioni di lavoratori resteranno disattese 1 milione e 350mila ricerche di personale. Il disallineamento è poi imputabile a un problema di competenze e formazione: “Il gap è più forte nell’istruzione terziaria, in particolare nell’indirizzo giuridico-politico sociale, dove mancherebbero ogni anno circa 12mila laureati, ma anche nell’area economico statistica (11mila in meno del necessario), in ingegneria (quasi 9mila) e nell’indirizzo medico sanitario (8mila circa)”.
Stiamo anche vivendo un periodo inedito di mobilità dei lavoratori: “C’è voglia di cambiamento. Il 15% degli italiani ci ha detto di essere in fase di ricerca attiva di un nuovo lavoro, mentre il 35% ambisce comunque a cambiare”. Altri aspetti su cui riflettere riguardano i settori come edilizia e sanità, nei quali l’accresciuta richiesta di profili specialistici ne fa aumentare la concorrenzialità. E il problema strutturale legato a carenza e bassa specializzazione dei soggetti deputati all’intermediazione.
Emozioni con Bertolino, Velasco e Cacciatori
All’interno del Festival c’è stato spazio anche per tre momenti di formazione emozionale organizzati da Forme, in qualità di media partner, in collaborazione con Gruppo RTS e Fondo FormAzienda. Sul palco della sessione plenaria si sono succeduti nelle tre giornate Enrico Bertolino, Julio Velasco e Maurizia Cacciatori, personaggi noti al grande pubblico e affermati formatori. L’obiettivo era regalare un’emozione alla platea e, grazie al carisma dei tre relatori d’eccezione, è stato raggiunto.
Enrico Bertolino ha fatto riflettere e divertire con una presentazione dedicata a come il mondo del lavoro è cambiato e cambierà. E a quanto la formazione sarà sempre più determinante per i lavoratori di tutti i settori, Consulenti del Lavoro compresi. “C’è stato un periodo in cui fare il consulente era facile, oggi è tutto diverso: per stare sul mercato è fondamentale sapersi distinguere. Non si può continuare a pensare di tornare indietro”. Accolto da un lungo applauso, Julio Velasco ha sfoderato la sua abilità di oratore parlando di organizzazione, gioco di squadra, cambiamento, capacità di comunicare e apprendimento. “Credo ci sia una tendenza, nel mondo della formazione e dell’educazione, a concentrarsi più sulle procedure che sul contenuto e a rimanere sul generico, sul contesto. Invece, si dovrebbero dare messaggi chiari, concreti, un po’ come quando si vuole educare un bambino ma gli si dice solo ‘fai il bravo’: che cosa significa? Non sarebbe più utile dargli qualche indicazione precisa su cosa fare e cosa non fare?”, ha detto, veicolando poi un messaggio molto concreto, appunto, sull’essenza del gioco di squadra. Condividere un obiettivo e aiutarsi non è un’esortazione morale, ma è parte integrante del gioco, così come lo è la complementarità tra le caratteristiche dei singoli.
Di squadre vincenti, cambiamento, opportunità e nuove generazioni ha parlato anche una emozionata ed emozionante Maurizia Cacciatori, ex capitana della nazionale italiana di pallavolo e tra le migliori giocatrici al mondo. Nella sua presentazione, i riflettori sono stati puntati sull’importanza del percorso che ognuno di noi intraprende per arrivare a raggiungere i propri obiettivi e di credere alle proprie potenzialità. “Ho imparato a essere professionista da ragazzina, perché quando entri giovanissima in un team di serie A non interessa a nessuno quanti anni hai e devi puntare sul lavoro, imparare da chi ti offre l’esempio. È nostra responsabilità essere un esempio per i giovani, dare loro gli strumenti affinché siano campioni sul campo e nella vita e affinché credano nel nostro Paese”.
Le voci della politicaElena Bonetti | Italia VivaInvestire in empowerment femminile significa investire nello sviluppo complessivo del Paese: non si tratta solo di compiere un atto di giustizia nei confronti delle donne ma di riattivare il sistema economico e la natalità, temi strettamente correlati, perché un paese con una bassa natalità come l’Italia non è sostenibile non solo dal punto di vista demografico, ma anche da quello del welfare e dell’innovazione. Il Family Act, la Legge 32/22, per la prima volta risponde con concretezza e con una riforma sistemica a queste esigenze, restituendo alle donne la libertà di poter scegliere di essere madri lavoratrici e investendo non solo in servizi alla genitorialità e sostegno alle famiglie, ma nel lavoro delle donne, con incentivi alle imprese per valorizzare fino in fondo le competenze femminili. In questa direzione va la certificazione sulla parità di genere, strutturata come uno strumento attraverso il quale le imprese possono riprogettare il proprio welfare e la propria organizzazione del lavoro e che offre all’impresa dei vantaggi fiscali. Giuseppe Conte | M5SData la prospettiva recessiva che abbiamo davanti, è necessario intervenire sul cuneo fiscale, perché non solo i lavoratori poveri o le fasce più vulnerabili sono in difficoltà, ma anche la classe media. Avevamo già introdotto lo sgravio del 30% sulla contribuzione per le imprese del Sud, per cercare di colmare il divario territoriale, misura che a Bruxelles deve ora essere rinegoziata, ma serve un nuovo intervento che può essere coordinato anche con il salario minimo, che oltre a essere una battaglia di civiltà per il Paese è anche una misura che fa bene alle imprese, se accompagnata dalla detassazione degli incrementi derivanti dai rinnovi contrattuali. E non credo che vada a mortificare la contrattazione collettiva, anzi, permette di espungere dal sistema quelli che sono i contratti pirata. Fissare una soglia sotto la quale non possono scendere le retribuzioni aiuta anche a far crescere l’importo delle pensioni future ed evitare di trovarci, domani, un’ondata di richieste di pensioni di cittadinanza. La sfida rimane riuscire a incidere sulle fasce più deboli e meno tutelate senza innescare l’effetto domino di aumento di tutte quante le categorie. Ricordo anche che l’Italia è l’unico Paese europeo nel quale i lavoratori guadagnano meno di trent’anni fa, mentre gli stipendi dei lavoratori omologhi tedeschi e francesi sono aumentati di oltre il 30%. Giorgia Meloni | FdIIl tema del salario minimo in Italia è un po’ uno specchietto per le allodole: la stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti nel settore privato è coperta da contratti collettivi nazionali che già prevedono di fatto un minimo salariale; si dice che una norma sia necessaria per i contratti pirata, quelli che sarebbero stati stipulati da organizzazioni sindacali meno rappresentative, ma il 97% dei lavoratori del privato risponde a contratti siglati dalla triplice. Non vorrei che il tema del salario minimo distogliesse l’attenzione dai veri problemi del lavoro italiano, in primis la necessità di alzare i salari abbassando la tassazione sul lavoro, tagliando il cuneo fiscale, ma anche il lavoro nero, i contratti irregolari e le finte cooperative. Non è uno Stato giusto quello che mette sullo stesso piano chi può lavorare e chi non può farlo: uno Stato giusto adotta strumenti assistenziali per chi non è in condizione di lavorare e costruisce, per chi può farlo, un sistema che lo supporti nel trovare lavoro. Uno strumento come il Reddito di Cittadinanza potrebbe funzionare a due condizioni: centri per l’impiego efficienti e un importo dello strumento di assistenza che sia significativamente più basso della media salariale. Il RdC adottato in Italia non aveva queste due caratteristiche e ha avuto effetti negativi, incentivando il lavoro nero e indebolendo il mercato dei lavoratori stagionali, sempre più introvabili. Stiamo finanziando una misura che paradossalmente comprime il mercato del lavoro, crea discriminazioni nel sistema sociale e non ha nemmeno un valore educativo per i giovani. Matteo Salvini | LegaSe non si taglia una parte della tassazione che pesa sulle imprese italiane, c’è poco da discutere di salario minimo. Il presupposto di partenza per noi è abbassare l’imposizione fiscale e abbiamo fatto in questo senso diverse proposte a costo zero sull’esenzione dalle tasse di straordinari e premi di produzione. Il salario minimo va applicato semmai ai lavoratori che non sono coperti dalla contrattazione collettiva nazionale, una minima parte in Italia. C’è poi il tema delle pensioni, da affrontare per evitare che dal gennaio 2023 torni in vigore la Legge Fornero. Pensiamo che chiedere di andare in pensione a 66-67 anni di età in una fase economica che si prospetta complicata, con il rischio di un contingentamento energetico che potrebbe causare seri problemi a imprese e famiglie, sarebbe una follia e ingabbierebbe ulteriormente il mondo del lavoro. La nostra idea è lasciare la soglia di contribuzione necessaria a 41 anni, con eventuali correttivi per alcune categorie. Debora Serracchiani | PDSiamo in un’epoca di trasformazioni profonde del nostro mercato del lavoro perché stanno cambiando i riferimenti fino a qui noti e ripresi nei nostri dettati legislativi: il tempo e il luogo. È una trasformazione che avrà conseguenze sulle retribuzioni, che magari saranno calcolate in base agli obiettivi, sul rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, che implicherà una maggiore autonomia di quest’ultimo, oltre che sul modo di vivere gli spazi di lavoro e le città. Una sfida che si impone è anche quella delle piattaforme digitali: su questo fronte abbiamo lavorato in Parlamento per dare regole e dignità ai sempre più numerosi lavoratori interessati, ma l’argomento è nuovo e il lavoro da fare è ancora molto. |
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