Lo smart working piace a imprese e lavoratori.
Per due datori di lavoro su tre incrementa la produttività e consente il risparmio dei costi di gestione degli spazi fisici. Non solo, per il 72% dei datori di lavoro lo smart working aumenta il benessere organizzativo e migliora l’equilibrio vita-lavoro dei dipendenti.
Sul versante dei lavoratori, invece, è il miglioramento della qualità della vita lavorativa a essere particolarmente apprezzato. Per l’80% migliora l’organizzazione e la gestione degli impegni privati-familiari. Per il 72% favorisce una maggiore autonomia rispetto a metodi, orari, ritmi e luoghi di lavoro. E, soprattutto, il risparmio di tempo negli spostamenti (90%).
Cosa pensano imprese e lavoratori
È quanto emerge da due report dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche). Il primo,“Attualità e prospettive dello smart working. Verso un nuovo modello di organizzazione del lavoro?”, analizza oltre 15mila interviste a occupati (dai 18 anni) e a 5mila unità locali/imprese del settore privato extra agricolo (V Indagine sulla Qualità del lavoro). Il secondo si intitola invece “Verso lo smart working? Un’analisi multidisciplinare di una sperimentazione naturale”.
Nel commentare i dati, il presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda ha sottolineato come “bisogna evitare di riportare indietro le lancette dell’orologio. Se con la pandemia il lavoro agile ha permesso la salvaguardia di molti posti di lavoro, adesso bisogna puntare a migliorarne i processi produttivi. Continuando a favorire la digitalizzazione e a investire sulla organizzazione smart del lavoro, modalità che avvantaggia sia le imprese che i lavoratori, come emerge dalle due ricerche. D’altra parte, lo smart working può rappresentare una soluzione anche per i problemi connessi all’elevato costo dell’energia e in prospettiva è destinato a riscrivere la geografia urbana dei nostri territori. La sfida oggi è la messa a regime ottimale, valorizzandone le opportunità e superando i nodi critici”. In questo senso il lavoro ibrido può rappresentare una soluzione efficiente per soddisfare le esigenze di imprese e lavoratori.
Lo smart working in Italia
Secondo il primo rapporto, sono soprattutto le imprese del Nord Est (70%) a utilizzare lo smart working. Molto più di quelle del Nord Ovest (53%) e del Centro (57%). Pur segnando il passo, il Mezzogiorno raggiunge una quota del 30%. Medie (63%) e grandi imprese (78%) registrano i valori più alti, ma anche la metà delle micro imprese guarda avanti. Infatti, il 31% di quelle con fino a 5 addetti ha investito in tecnologie e software a supporto delle attività smart. Mentre il 28% di quelle con 6-9 addetti, ha modificato a degli spazi di lavoro tradizionali. Le potenziali criticità si registrano sul fronte dei rapporti umani.
Lo smart working non facilita i rapporti fra i colleghi e con i responsabili (per il 62% dei lavoratori e per il 43% delle imprese smart). E aumenta l’isolamento per il 65% degli smart worker e per il 49% delle aziende.
Le potenzialità da esplorare
“Questo bilancio sul biennio trascorso – conclude Fadda – ci induce a tenere conto anche delle polarizzazioni emerse tra pubblico e privato, delle tipologie di imprese, ma anche dei marcati squilibri territoriali. Eppure, il Mezzogiorno potrebbe beneficiare notevolmente della diffusione dello smart working, sia in termini di prestazioni lavorative svolte al sud per imprese del Nord (“southworking”), sia in termini di ripopolazione delle aree interne”.
Restano ancora da esplorare le potenzialità legate alle nuove tecnologie (come, per esempio, l’Intelligenza Artificiale) che stanno già mostrando sviluppi in termini di maggiore efficacia delle attività lavorative. Ma che presentano anche un lato oscuro legato alla privacy, alla protezione dei dati personali, o semplicemente a quella sensazione di sentirsi perennemente connessi o sotto controllo.