di Luigi Beccaria |
Come è a tutti noto, in data 22 ottobre 2022 ha prestato giuramento il nuovo governo italiano presieduto da Giorgia Meloni. Tra le varie fonti di interesse e curiosità suscitate dalle varie nomine, non può non destare particolare attenzione nella platea (sia di chi contribuisce, sia di chi legge) della presente rivista la nomina di Marina Calderone quale Ministro del Lavoro.
Non è sfuggito ai più attenti commentatori che detto ministero, pur ricoprendo un ruolo cruciale nelle sorti del Paese, sia rientrato molto marginalmente nell’esercizio giornalistico del cosiddetto “toto ministri” antecedente all’insediamento del governo. E’ verosimile ritenere che tale omissione sia dovuta, in principalità, alla posizione particolarmente scomoda di detta carica. La quale, alla luce del vecchio adagio latino che recita “cuius commoda et eius incommoda”, vede probabilmente prevalere la componente degli oneri su quella degli onori.
Professionisti del lavoro: una nomina importante
Purtuttavia, la nomina della Presidente (nel senso di Presidente dell’Ordine Nazionale dei Consulenti del Lavoro) Marina Calderone, per cui ci uniamo al coro di auguri di buon lavoro, non può che destare, negli operatori del settore come chi scrive il presente contributo, autentica soddisfazione. Chi scrive, infatti, ha trascorso i mesi più critici della prima ondata pandemica in una sorta di “trincea”, costituita da studi professionali a scartamento inevitabilmente ridotto (per effetto dell’allora inedito ricorso allo smart working, e ovviamente delle conseguenze nefaste della diffusione del contagio). Fronteggiando le cervellotiche norme e le ristrette scadenze fissate dal governo illo tempore in carica, ben sapendo che qualunque errore od omissione sarebbe ricaduto sulle spalle proprie e su quelle delle imprese assistite.
Ebbene, in quei tempi duri, la (all’epoca solo) Presidente Calderone agì con nervi saldi e con grande tenacia. Fronteggiando ogni volta che era necessario i provvedimenti governativi che palesemente venivano redatti da soggetti ben distanti dalla vita aziendale, sia nella sua veste per così dire “fisiologica”, sia nella veste a tutti gli effetti patologica, improvvisamente affermatasi nella primavera del 2020.
Un approccio più razionale
Che un Ministero tanto delicato venga, dopo così tanto tempo e in una situazione così critica (seppur per motivi in parte differenti da quelli del periodo sopra richiamato), attribuito a una figura tecnicamente autorevole, sia per esperienza e curriculum, sia per il realismo e il pragmatismo dimostrati in momenti recenti e complessi della nostra storia, mi sembra una notizia che autorizza un certo ottimismo.
Appare realistico ritenere che alcuni dei provvedimenti, anche recenti, che hanno segnato il maggiore scollamento tra il mondo produttivo e il “palazzo” (si prendano ad esempio le recenti, oscure e in un certo senso “pericolose” previsioni del cosiddetto Decreto Trasparenza, peraltro entrato in vigore lo scorso 13 agosto, con inevitabile sconcerto e preoccupazione di tutti i soggetti interessati), derivanti evidentemente da orientamenti di “politici di professione” assai lontani dalle istanze reali provenienti tout court dal mondo del lavoro, non informeranno più a livello programmatico l’azione del governo. Ciò, sebbene per ora a livello solo presuntivo, non può che essere accolto con favore, come tutto ciò che comporta una semplificazione e una riduzione delle ragioni di (possibile) contenzioso.
Se già un approccio più razionale alla burocrazia e un’attenzione maggiore alle procedure (soprattutto quelle, tipicamente molto macchinose, che coinvolgono gli enti pubblici) costituirebbe un upgrade significativo, resta comunque evidente che una linea più eminentemente politica dovrà essere tenuta, con atteggiamento “laico” e senza bandierine ideologiche, come è e deve essere per soggetti tecnicamente preparati.
Divari da colmare
Che cosa è verosimile aspettarsi dal punto di vista innovativo e riformistico dal Ministro appena insediato? Certamente vi sarà una maggiore consapevolezza delle principali criticità del mondo del lavoro italiano (e, auspicabilmente, una maggior determinazione nell’affrontarle e risolverle). Ossia il grande divario tra domanda e offerta di lavoro (che crea l’effetto paradosso per cui vi è un alto tasso di disoccupazione nonostante le imprese siano, spesso invano, alla ricerca di lavoratori da assumere). E, parallelamente, il troppo piccolo divario che sussiste tra i garantiti che non lavorano (percettori di ammortizzatori sociali) e i lavoratori subordinati.
Questi due fenomeni dovranno essere combattuti con un serio potenziamento delle politiche formative, in modo da poter fornire un personale maggiormente specializzato alle aziende che lo ricercano. E contestualmente con una politica forte di incentivazione all’assunzione (anche su base incrementale, come prospettato dalla neo Premier Giorgia Meloni in campagna elettorale) tesa a diminuire il cuneo fiscale, incoraggiare la crescita delle aziende e rendere meno sconveniente, soprattutto per i giovani, approcciarsi al mondo del lavoro in modo attivo (o, in altre parole, rendere più sconveniente la posizione dei cosiddetti “Neet”).
La rimodulazione del RdC
In tale senso si inserisce la prospettata rimodulazione del Reddito di Cittadinanza. Il quale andrebbe potenziato per i soggetti che non sono fisicamente in grado di offrire prestazioni lavorative (atteso che gli assegni mensili per soggetti anche gravemente invalidi sono, soprattutto alla luce della spirale inflattiva, palesemente insufficienti a garantire i fabbisogni minimi). E ridotto o comunque seriamente condizionato alla frequenza di corsi di formazione per i soggetti che sono perfettamente in grado di stipulare contratti di lavoro e adempiervi. Ma che sono disincentivati dal farlo in quanto l’utilità marginale di prestare lavoro per pochi soldi in più rispetto a quelli che si prenderebbero senza lavorare è palesemente nulla. Va da sé che una tale rimodulazione avrebbe l’effetto di ridurre anche il fenomeno del lavoro nero e dell’evasione fiscale.
L’autorevolezza del nuovo Ministro induce infine a pensare che anche tematiche generalmente appartenenti ad altra area politica (dumping contrattuale, delocalizzazioni, salario minimo) saranno analizzate con la dovuta laicità e senza posizioni pregiudiziali. Nell’interesse del buon funzionamento del mondo del lavoro e dunque della nazione, che, come costituzionalmente previsto, su esso si fonda.
Luigi Beccaria è avvocato e partner di Studio Elit. Collabora con l’Università degli Studi di Milano e con l’Università Cattolica del Sacro Cuore.