di Virna Bottarelli |
A un anno dall’entrata in vigore della normativa, è chiaro che per realizzare una parità concreta tra uomini e donne la via giuridica, da sola, non basta: occorre percorrerne anche una culturale.
La sua relatrice e prima firmataria, l’onorevole Chiara Gribaudo (PD), l’ha definita “una legge per le 470mila donne che hanno perso il lavoro durante la pandemia. Per tutte coloro che vengono pagate meno o stimate meno dei loro colleghi uomini. Per le donne che faticano, che hanno i titoli, la competenza, l’esperienza, la preparazione, ma apparentemente non il sesso giusto per essere dirigenti o manager d’azienda”.
È la Legge 162/2021 (Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo) che, entrata in vigore a dicembre dello scorso anno e approvata trasversalmente da tutte le forze politiche, è passata agli onori delle cronache anche per essere stata una delle poche leggi di iniziativa parlamentare varate nella scorsa legislatura.
L’iter e il significato
Assegnata alla Commissione Lavoro nel luglio 2019, la proposta di legge è stata esaminata a partire dal novembre successivo. Durante il periodo di esame, conclusosi con l’adozione di un Testo Unico nel luglio 2021, alla proposta iniziale firmata da Chiara Gribaudo sono state abbinate altre proposte di legge avanzate da parlamentari di diverse forze politiche – Tiziana Ciprini (M5S), Laura Boldrini (PD), Silvia Benedetti (M5S), Maria Stella Gelmini (FI), Gloria Vizzini (M5S), Mara Carfagna (FI), Alessandro Fusacchia (+EU) – e dal Cnel.
La normativa modifica alcuni articoli del codice delle pari opportunità, in vigore dal 2006. Introduce la certificazione della parità di genere, il concetto di premialità di parità e disciplina l’equilibrio di genere negli organi delle società pubbliche. Senza dubbio rappresenta un passaggio importante per il mondo del lavoro italiano. Ma, considerate le tante posizioni che il nostro Paese deve recuperare – il Global Gender Gap Index 2022 ci vede ancora al 63° posto su 146 Paesi – non aspettiamoci che una singola normativa risolva il problema.
Come ha ben detto un altro deputato, Alessandro Fusacchia (Gruppo Misto-MAIE-PSI-FE), in occasione delle dichiarazioni di voto sulla legge: “La parità è un percorso, la parità è un obiettivo che va raggiunto, ma costantemente occorre assicurarci che venga raggiunta e che venga anche poi nel tempo alimentata e monitorata. Perché la società cambia e noi dobbiamo sempre stare attenti a vigilare e assicurarci che in ogni ambito del Paese venga rispettata”.
Che cosa stabilisce la legge
Con l’obiettivo di eliminare il divario di retribuzione tra uomini e donne, la legge impone l’obbligo, per le aziende con più di 50 dipendenti, di redigere un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile in ogni contesto aziendale e in relazione allo stato di assunzioni. E trasmetterlo, ogni due anni, alle rappresentanze sindacali aziendali. Pena sanzioni e verifiche a opera dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Alle aziende private in possesso della certificazione della parità di genere deve essere riconosciuto un punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti. Inoltre, è riconosciuto un esonero contributivo alle aziende private in possesso della certificazione. Uno sgravio concesso in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50.000 euro annui per azienda.
Le linee guida per la certificazione
A marzo è stata pubblicata la prassi UNI 125:2022 contenente “Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere”. Che prevede la misurazione, la rendicontazione e la valutazione dei dati relativi al genere nelle organizzazioni per attribuire alle stesse un livello di maturità e misurare i miglioramenti nel tempo tramite l’adozione di specifici indicatori.
Le aziende sono valutate in sei ambiti: cultura e strategia, governance, processi HR, opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda, equità remunerativa per genere, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. Ottengono la certificazione al raggiungimento di un punteggio minimo del 60%, assegnato dagli organismi di valutazione della conformità accreditati.
Parità di genere: come va dopo un anno?
Come scrive Cesare Damiano nell’articolo “Certificare la parità di genere”, orientarsi nell’iter attuativo della legge n. 162/2021 “non è particolarmente agevole”. A un anno dalla sua entrata in vigore, però, è lecito chiedersi se la normativa stia fungendo da stimolo per ridisegnare gli equilibri di genere nel mondo del lavoro e se le aziende abbiano compreso che ridurre il gender gap al loro interno va a beneficio anche della loro competitività.
Per monitorare la situazione è stato istituito il Tavolo di lavoro sulla certificazione di parità di genere. Un organismo composto da rappresentanti del Dipartimento per le pari opportunità, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dello sviluppo economico, dai rappresentanti delle consigliere e dei consiglieri di parità e delle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil. Il Tavolo si è insediato per la prima volta il 13 settembre con i membri designati dagli ex ministri Elena Bonetti e Andrea Orlando. Ma con l’entrata in carica del nuovo Governo le attività hanno rallentato e a oggi i suoi componenti attendono di essere confermati.
Ti potrebbero interessare anche:
Come si certifica la qualità di genere
La mentalità che fa la differenza
L’esperienza di Focus Consulting