Se in azienda il clima è pesante

In Italia se ne parla ancora troppo poco, ma avere un metodo strutturato per gestire le situazioni di conflitto tra colleghi aiuterebbe a migliorare il clima e la performance aziendale. Scopriamo perché con Eugenio Vignali, consulente esperto in gestione del conflitto

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Eugenio Vignali, esperto di gestione dei conflitti in azienda

di Virna Bottarelli |

Neanche nelle “migliori famiglie” si è sempre d’accordo su tutto, figuriamoci in un contesto lavorativo. Un ragionamento banale, vero, su un tema che si presta a molti luoghi comuni. Proprio per questo, non sarebbe il momento di affrontare l’argomento in modo strutturato?

Lo facciamo parlando di gestione di conflitti aziendali con Eugenio Vignali. Consulente che, dopo diverse esperienze professionali in azienda, si è concentrato sulle relazioni interne alle organizzazioni e sulla gestione delle loro crisi, o conflitti. Nel 2010 Vignali ha firmato, insieme ad altri autori, il volume “I quattro passi per creare una relazione felice, nella coppia, in famiglia e nel lavoro”. Da lì ha iniziato ad approfondire il tema del conflitto all’interno delle aziende, facendo tesoro di strumenti di coaching e counseling relazionale acquisiti con un percorso parallelo di formazione e di crescita personale. “Avendo imparato quali sono le caratteristiche delle dinamiche conflittuali nella vita di tutti i giorni, mi è stato facile riconoscerle anche nel contesto lavorativo rispetto a problemi definiti come ‘gestionali’ o ‘organizzativi’, ma che nascondevano in realtà l’incapacità dei protagonisti di gestire le loro differenze ed evitare un’escalation di reazioni”, racconta.

Come si riconosce, in azienda, un clima conflittuale?

Escludendo gli episodi più gravi di mobbing, molestia o violenza, si possono comunque cogliere alcuni indicatori di un clima conflittuale nell’aumento dell’assenteismo e delle richieste di permessi, delle assenze per stress o disturbi correlati, del turnover, nella diminuzione della performance e della qualità dell’output. Anche per l’insorgere di blocchi nei processi decisionali e produttivi o per il manifestarsi di nuovi problemi. Poiché i conflitti fanno calare l’attenzione e la concentrazione nello svolgimento delle attività, c’è il rischio che essi abbiano ricadute sulla sicurezza e che causino un aumento degli incidenti.

Infine, anche aspetti come la qualità della comunicazione interna e la disponibilità alla collaborazione e al trasferimento della conoscenza possono essere efficaci indicatori. C’è un’espressione tipica che alcuni manager usano per descrivere la situazione in cui si trovano: “Vanno tutti d’accordo, ma non riesco a farli lavorare insieme”. Un clima conflittuale può essere il segnale di un più generale clima tossico all’interno dell’ambiente di lavoro generato dalla cultura organizzativa, dallo stile di leadership e dall’organizzazione del lavoro stessa, con effetti negativi sullo stress e sull’equilibrio lavoro/vita privata.

Quali sono le principali fonti di conflitto all’interno di un’organizzazione?

È innanzitutto necessario distinguere i conflitti relazionali dai conflitti organizzativi. Pur essendo talvolta interconnessi, hanno cause diverse, producono effetti diversi sui protagonisti e sull’organizzazione, e richiedono un approccio diverso nella loro gestione. I primi nascono da aspetti della personalità dei singoli protagonisti incompatibili fra loro. Che generano dinamiche spesso distruttive di prevaricazione o di competizione antagonistica, nelle quali vi può essere un solo vincitore. Sono i più frequenti e quelli di più difficile gestione. La loro prevenzione è altamente consigliabile e si basa soprattutto su una diffusa cultura di valori positivi, oltre che sulla presenza di strumenti di sostegno individuale.

I conflitti cosiddetti organizzativi, nati dalle caratteristiche della struttura interna e dei suoi processi decisionali o produttivi, offrono invece un’ottima occasione di miglioramento della performance e in tale ottica devono essere gestiti. Alcuni esempi di cause di conflitto organizzativo sono l’incompatibilità dei ruoli o degli obiettivi assegnati, l’eccessiva interdipendenza nei ruoli, il sovraccarico di lavoro o limiti di tempo insufficienti, la scarsità delle risorse messe a disposizione, le procedure e istruzioni complesse o non chiare, l’eccessiva burocrazia, la poca chiarezza nei livelli di responsabilità, la scarsa o difficile comunicazione interna, l’eccesso di controllo, un sistema premiante iniquo, uno stile di leadership autoritario. Nei team le due dimensioni, quella relazionale e quella organizzativa, sono ancor più interconnesse creando ulteriori difficoltà nella gestione delle dinamiche interne.

Quali sono i costi diretti e indiretti dei conflitti?

Alcuni costi sono collegati agli effetti dei conflitti, altri alla loro gestione. Assenteismo e turnover, stress e malattia, comportamenti dannosi, riduzione della performance, gestione interna e contenzioso, penali e perdita di opportunità, danno reputazionale. Per l’azienda questi sono costi. Alcuni sono immediatamente calcolabili: si pensi ad esempio al tempo che i manager dedicano alla gestione di queste situazioni (negli Stati Uniti, la stima del costo complessivo è di centinaia di milioni di dollari all’anno). Ma anche agli interventi di professionisti del conflict management, alle penali per un ritardo nelle consegne causato da un’incomprensione tra addetti ai lavori.

Altri costi, non monetari, sono di più difficile stima. Pensiamo al danno reputazionale dato da un clima interno non ottimale, che si traduce in una maggiore difficoltà anche nell’attirare talenti. È dunque fondamentale che l’azienda si doti di un efficace sistema di rilevazione del rischio e di calcolo dei costi legati ai conflitti.

Che cos’è un sistema integrato di gestione dei conflitti?

Un sistema integrato di gestione dei conflitti è presente in molte delle maggiori aziende americane, ma è ancora poco applicato nella nostra realtà. Non va confuso, come spesso accade, con le procedure disciplinari previste dal contratto di lavoro o dal codice di condotta. Si tratta invece un insieme di procedure, ruoli, funzioni e strumenti, a disposizione sia del dipendente sia del management, per la gestione costruttiva, partecipativa e non calata dall’alto, dei conflitti di tipo soprattutto relazionale.

Mi preme sottolineare il termine “integrato”, nel senso che il percorso di risoluzione, o trasformazione della crisi, deve essere espressione della cultura organizzativa. E collegarsi alla più ampia gestione delle relazioni formali, alla formazione, e a tutte le altre funzioni e attività che riguardano i dipendenti. Implementando un sistema integrato di gestione dei conflitti si possono ottenere diversi benefici, a cominciare dalla promozione di una cultura di rispetto e collaborazione e dal miglioramento nel clima e nel morale dei dipendenti. Nel complesso, un sistema di questo tipo può aiutare un’organizzazione a gestire i conflitti in modo più efficace e a promuovere un ambiente di lavoro positivo.

Servirebbe una funzione ad hoc in azienda per un’attività di questo tipo?

Un ruolo interno sarebbe l’ideale, ma l’importante è che l’azienda metta a disposizione strumenti e procedure utili ad affrontare una situazione di disagio che può scaturire da un conflitto relazionale o organizzativo. Si possono attivare strumenti come il counseling aziendale, il “conflict coaching”. Ma anche lavorare sulle tecniche di “workplace management”. Più in generale, è giunto il momento, per le aziende, di cogliere quanto le relazioni interpersonali siano fondamentali nell’ambiente di lavoro. Se non si comprende la centralità delle persone e delle relazioni, non si può “fare impresa”.

In che cosa consiste il protocollo di certificazione Conflic-Positive Organization?

È un protocollo di certificazione proprietario che considera le pratiche organizzative e di people management attraverso l’ottica della prevenzione e gestione dei conflitti. Analizzando dodici aspetti della cultura, organizzazione e governance aziendali. Si adatta a qualsiasi tipo e dimensione di organizzazione di persone, dallo studio professionale alla multinazionale. Ed è stato stilato sulla base di uno schema usato in un “assessment” preliminare, che evidenzia le aree di intervento per migliorare l’efficacia organizzativa nella prevenzione e gestione dei conflitti.

L’assessment è condotto da consulenti esperti, mentre l’audit di certificazione è svolto in modo indipendente da Lhwc, un ente di certificazione svizzero. Le linee guida del protocollo rappresentano uno schema per l’efficace impostazione organizzativa e di people management nella gestione dei conflitti e, ancor prima, nella creazione delle condizioni che favoriscono un clima positivo e collaborativo.

Ci sono casi in cui una situazione di conflitto è diventata un’opportunità di sviluppo? 

Ci sono un paio di situazioni che potrei citare. In una prima, interrogato in merito alle modalità di gestione dei conflitti nella sua organizzazione, un responsabile HR mi ha risposto “Conflitti? Ne abbiamo rari casi e me ne occupo io personalmente”. A mia volta ho risposto spiegando che spesso, per diversi motivi, i conflitti non arrivano ai vertici organizzativi e ho potuto aiutare l’azienda a prendere consapevolezza di un fenomeno fino a quel momento sottovalutato. Da lì si è avviato un percorso di consapevolezza e di revisione della cultura organizzativa, più incentrata sul riconoscimento, il rispetto e la valorizzazione del singolo individuo.

Un’altra situazione riguarda invece un responsabile HR che mi aveva chiesto specificamente un intervento di gestione del conflitto fra un manager e un suo collaboratore. Quest’ultimo “non faceva ciò che il manager gli diceva” e costringeva il manager stesso a un approccio di micro-management. Ho insistito in questo caso sulla necessità, innanzitutto, di migliorare la capacità di leadership del manager e le sue competenze di gestione dei conflitti. Credo, infatti, che la responsabilità della gestione delle relazioni interpersonali sia in capo a chi ha un ruolo di controllo sulle altre persone. Anche se vi erano cause scatenanti all’origine del comportamento del collaboratore, che potevano essere affrontate in un confronto fra i due, facilitato dal mio intervento, ciò avrebbe avuto un effetto limitato nel tempo e con un modesto impatto sull’organizzazione.

Il primo passo deve essere sempre comprendere esattamente la natura dei processi di interazione fra le persone, che non è detto siano di conflitto, anche se ci sono delle difficoltà.

Eugenio Vignali, esperto in gestione dei conflitti aziendaliChi è Eugenio Vignali

Consulente di direzione, esperto di conflict management, mediatore dei conflitti in azienda e delle controversie civili e commerciali, Eugenio Vignali negli ultimi anni ha scelto di focalizzarsi sulle relazioni informali all’interno delle organizzazioni. Co-ideatore del protocollo “Conflict-Positive Prganization”, ha scritto libri sulle relazioni e la gestione dei conflitti. Dice di sé: “Aiuto a migliorare le relazioni interpersonali nei contesti lavorativi attraverso la progettazione di sistemi di gestione dei conflitti, formazione e interventi di consulenza mirati, che promuovono la crescita individuale e aziendale”.

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