Non è mai lo stesso copione

Attrice poliedrica, Debora Villa porta l’arte della recitazione anche nella formazione aziendale e dice: “In ogni cosa che affronto, mi piace ripartire da zero”

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Intervista a Debora Villa

di Virna Bottarelli |

Il caso l’ha portata a diciannove anni a recitare in una compagnia teatrale. Ma sono stati il talento e l’incessante voglia di imparare a farle costruire una carriera che dura da oltre vent’anni e che dalle scene della periferia milanese l’ha portata in televisione, al cinema e in radio.

È Debora Villa, attrice e conduttrice nota per la sua vena comica, ma credibile e apprezzata anche in ruoli drammatici, che non disdegna incursioni nel mondo delle aziende. “Dopo avere iniziato con spettacoli comici all’interno di convention e avere vestito i panni della presentatrice e moderatrice in questo tipo di eventi, mi sono detta che poteva essere interessante applicare la recitazione alla formazione aziendale”, racconta. “Amo diversificare le mie attività e accanto ai miei impegni di attrice in teatro, televisione e radio, collaboro da tempo con le aziende a progetti su temi come la Diversity, il Public Speaking, il Team building”.

Hai indubbiamente un talento innato per la recitazione. Ma ci sono delle competenze che hai dovuto acquisire da zero, perché non erano nel tuo bagaglio naturale?

Certamente, anche perché in ogni cosa che affronto mi piace ripartire da zero, mettermi alla prova e imparare qualcosa di nuovo. Ancora oggi, se posso, frequento corsi di formazione. Seguo con grande interesse, ad esempio, quelli di John Strasberg, un mostro sacro della recitazione, che ha quasi mezzo secolo di esperienza nell’insegnamento e che ha elaborato il metodo della recitazione spontanea. È un metodo avvincente, che consente all’attore di lavorare in profondità e approcciare in un modo diverso il personaggio da interpretare. Ma le competenze da apprendere e potenziare vanno anche oltre la recitazione. Ad esempio, prendo lezioni di canto, proprio perché non sono una cantante, e frequento un corso di yoga, perché per un attore anche il corpo è uno strumento di lavoro e va allenato, tanto quanto la voce.

Come imposti invece il lavoro quando si tratta di fare formazione per le aziende?

In passato ho insegnato recitazione con un’associazione che organizzava corsi di teatro e ho pensato potesse essere interessante mettere a disposizione delle aziende queste mie competenze. Anche nel lavoro con le aziende riparto ogni volta da zero, perché ogni progetto è diverso dall’altro, va personalizzato in base alle esigenze della singola azienda. Elaboro quindi dei percorsi ad hoc e i risultati sono sempre gratificanti. Anzi, mi diverto sempre moltissimo quando mi coinvolgono in collaborazioni di questo tipo.

C’è qualche progetto formativo che ti ha dato particolare soddisfazione?

C’è stato un lavoro in un’azienda che mi ha lasciato un bellissimo ricordo. Sulla base di diverse informazioni raccolte tra i dipendenti sul tema dell’inclusione rispetto alle differenze di genere, di età, di ruolo e di esperienza lavorativa, scrivemmo un copione per uno spettacolo che fu poi messo in scena dagli stessi dipendenti. Fu molto divertente.

Gli attori non amano essere identificati con uno solo dei personaggi che interpretano, ma stiamo parlando del mondo del lavoro e non possiamo non ricordarti nelle vesti della segretaria Patty in Camera Cafè…

Quella sit-com era uno spaccato della vita aziendale, ma con i suoi personaggi offriva anche una panoramica sulle tante personalità con cui ci si interfaccia, in generale, nella vita, anche al di fuori del mondo del lavoro: il bullo, la vittima, la vittima che diventa bullo e il bullo che diventa vittima, insomma in “Camera Cafè”, già vent’anni fa, c’era tutto e il contrario di tutto e i temi che affrontava sono ancora attuali.

Negli ambienti di lavoro, quindi, non è cambiato niente negli ultimi anni?

Al contrario, c’è stato un cambiamento importante: le aziende si stanno rendendo conto di quanto il benessere dei dipendenti incida sul clima lavorativo e sulla produttività. In passato notavo che ogni progetto di team building era votato alla vittoria, al successo, al risultato. Oggi c’è una maggiore attenzione alla felicità dei lavoratori: sebbene l’obiettivo di fondo di un’impresa rimanga il profitto, si sta facendo strada l’idea che un lavoratore felice vive meglio, lavora meglio e contribuisce alla crescita dell’azienda.

Si parla molto anche di diversità e inclusione: anche su questi temi si stanno facendo passi in avanti?

Sì, la filosofia aziendale sta cambiando e anche questi temi sono sempre più presi in considerazione. Seguo da vicino l’associazione Diversity, di Francesca Vecchioni, che si occupa in particolare di tematiche Lgbt e ha accesso a risultati di ricerche condotte in tutto il mondo: proprio da queste ricerche emerge che le aziende che attuano una politica di inclusione ottengono risultati migliori in termini di business, perché vengono percepite come aziende virtuose. Molte aziende, e non solo le multinazionali americane dove da tempo c’è attenzione su questi temi, si stanno quindi orientando verso questa filosofia.

Questo è un segnale positivo: è una tendenza che interessa quindi anche le aziende italiane?

Ci sono anche molte aziende italiane che stanno adottando queste politiche e ne stanno scoprendo il valore economico, oltre che etico. Se abbracciati concretamente, la diversità e l’inclusione, così come la transizione ecologica, sono concetti che, oltre a fare bene alla comunità e all’ambiente, vanno a vantaggio delle stesse aziende, che possono davvero prosperare. E ci sono diverse realtà produttive virtuose che stanno sperimentando i benefici di politiche di questo tipo. Per esperienza personale posso parlare del mondo dell’industria flessografica, che conosco da vicino perché da anni presento il premio Best in Flexo promosso dall’associazione di categoria del settore, la Associazione Tecnica Italiana per la Flessografia. Sono entrata in contatto con imprese familiari che hanno saputo accogliere persone di diverse nazionalità e costruire un senso di comunità che non solo le ha arricchite culturalmente, ma ha contribuito a farle crescere in termini di fatturato.

Chiudiamo con uno sguardo al vostro settore, che durante la pandemia ha sofferto molto. Come vanno oggi le cose?

Il periodo della pandemia ha fatto capire a tutti quanto i lavoratori dello spettacolo siano precari. Non parlo tanto di chi come me è un libero professionista, ma delle tante figure professionali, dalle sarte ai tecnici ai promoter, che hanno spesso contratti a progetto e non hanno coperture di nessun tipo per i periodi nei quali non sono occupati. Fortunatamente il settore è ripartito, io stessa ho molte date e diversi impegni in programma, e siamo ovviamente felici di questo, ma ciò non toglie che il discorso sulle tutele dei lavoratori dello spettacolo vada affrontato seriamente.

Chi è Debora Villa

Nata nel 1969 a Pioltello, a pochi chilometri da Milano, Debora Villa frequenta la scuola di teatro di “Quelli di Grock” e il laboratorio di Raul Manso. Pur non abbandonando il palcoscenico, negli anni duemila diventa un volto noto delle reti Mediaset e Rai. Ottiene grande popolarità con la sit-com “Camera Cafè”, ma nel suo curriculum figurano anche Le Iene, Glob – L’osceno del villaggio, Zelig, Pechino Express, Alex & Co, Colorado, I Cesaroni e altre produzioni televisive e cinematografiche.

Artista poliedrica e, come lei stessa si definisce, “lavoratrice instancabile”, è anche una voce radiofonica, si occupa di formazione aziendale e collabora a progetti che hanno per oggetto temi come la diversità e l’inclusione.

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