Fare smart working in vacanza: il periodo estivo è ormai arrivato e torna alla ribalta il tema del lavoro flessibile anche in location diverse da casa propria.
Per capire meglio cosa la norma consente o non consente di fare, facciamo un passo indietro sulla definizione stessa di smart working. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali parla di una particolare modalità di esecuzione della prestazione di lavoro subordinato, per agevolare la conciliazione dei tempi di vita e lavoro e, talvolta, aumentare competitività e produttività. La normativa specifica che la prestazione lavorativa deve essere eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte al loro esterno, anche senza una postazione fissa. Il tema è regolamentato da un accordo tra le parti.
Alcune aziende hanno scelto di adottare la modalità in maniera ibrida, affiancandola al lavoro di ufficio. Altre invece lo concedono con l’arrivo della bella stagione, accrescendo così il desiderio di spostarsi verso città di mare o luoghi di villeggiatura. L’esperto e consulente Luca Furfaro analizza la normativa, sottolineando in seguito alcuni diritti e doveri dei dipendenti e dei datori di lavoro.
Si può lavorare in un luogo diverso da casa?
La risposta è dipende. Ogni datore di lavoro che decide di concedere lo smart working deve stipulare con i dipendenti un accordo individuale scritto, che stabilisce in quali luoghi o tipologie di luogo potrà lavorare. A incidere sono fattori come la sicurezza e il comfort del dipendente. Ma anche la privacy delle informazioni trattate, nel caso in cui si lavori in un luogo pubblico come ad esempio un bar.
Smart working in vacanza: strumenti e sicurezza
Sebbene la normativa stabilisca che è possibile lavorare sia indoor che outdoor, il lavoratore deve disporre di adeguata illuminazione, piano di lavoro, sedia con schienale, buon ricircolo dell’aria e connessione internet. Tutti strumenti imprescindibili, di cui il lavoratore è responsabile quando lavora al di fuori della propria sede. Inoltre, se un dipendente si ritrova impossibilitato a lavorare per mancanza di connessione internet, quel giorno può essere considerato un’assenza a tutti gli effetti o un giorno di permesso.
Altro tema fondamentale, la sicurezza. Dal punto di vista normativo, è possibile lavorare solo in luoghi che non aumentino il rischio di infortuni e che siano conformi alle regole di sicurezza. Il lavoratore, infatti, è tutelato anche nel tragitto tra l’abitazione e il luogo prescelto per lavorare. Ma il luogo deve essere scelto secondo un criterio di ragionevolezza. In ogni caso l’infortunio deve avere un nesso causale con l’attività lavorativa. Non si può quindi lavorare in una postazione non idonea e con molti rischi connessi sia per il lavoratore sia per il funzionamento dei dispositivi (es. in spiaggia).
Cosa cambia per chi va all’estero
Lo smart working all’estero è desiderio comune di molti lavoratori. Specialmente di chi opera nel digitale ed è quindi agevolato dalla tecnologia. Sono anche nati i nomadi digitali, lavoratori, spesso freelance, che si muovono spesso scegliendo il paese nel quale lavorare. Tale pratica ha però dei vincoli: non sempre si sa di essere soggetti alla legislazione del paese in cui si intende lavorare per quanto riguarda retribuzione, inquadramento, orari di lavoro e sicurezza. In generale, nel caso si volesse lavorare per un periodo all’estero occorre sempre informare il proprio datore di lavoro e verificare come tale periodo potrà essere gestito.