Ral negli annunci di lavoro? Non siamo gli unici a sbagliare

In Italia si tratta di una pratica ancora molto poco diffusa, ma all’estero? Secondo un’indagine di Reverse la situazione oltre confine non è molto differente

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Norma Ue sulla ral negli annunci di lavoro

La direttiva sulla parità salariale e sulla trasparenza retributiva, approvata dal Parlamento Europeo il 30 marzo, renderà obbligatoria entro i prossimi tre anni l’indicazione della Ral negli annunci di lavoro delle aziende.

In Italia è sicuramente una pratica poco diffusa, ma anche nel resto dei Paesi europei non è un’usanza abituale. Reverse ha infatti condotto un’indagine su un campione di 50 annunci di lavoro di mid-seniority per ogni stato in cui lavora, Italia, Spagna, Francia e Germania.

Cosa fanno Spagna, Francia e Germania

Dalla ricerca è emerso che, almeno in questo caso, il “mito dell’estero” non trova evidenza. Se, infatti, degli annunci presi a campione per l’Italia, solo il 4% riporta la retribuzione, la stessa percentuale la si ritrova in Spagna. Leggermente più virtuosa la Francia, che presenta la Ral (retribuzione annua lorda) esplicitata nel 6% degli annunci selezionati. Il fanalino di coda è rappresentato dalla Germania, in cui l’indicazione del salario non è presente in nessuno degli annunci analizzati. 

“Non mi stupisce che in Germania la percentuale sia lo 0% – spiega Federica Boarini, Head of International Development di Reverse -. Si tratta di un Paese che presenta un’elevata difficoltà ad accettare il cambiamento, oltre che a rendere pubblici dati come gli stipendi. Inoltre, ritengo abbia a che fare anche con lo stato del mercato del lavoro e con una grande difficoltà a trovare profili. In questo Paese, poi, non è usanza chiedere la retribuzione attuale ai candidati, bensì la retribuzione desiderata. E da questa partire come base di contrattazione. In Italia invece è molto più comune domandare la retribuzione attuale e poi contrattare al rialzo rispetto a quest’ultima”.

Ral negli annunci di lavoro: la direttiva

La nuova direttiva sulla parità salariale si basa sul fatto che le donne, a parità di ruolo, nell’UE guadagnano in media il 13% in meno degli uomini. In termini pensionistici, un gap di quasi il 30%. Questo divario è causato anche dal segreto retributivo. Ossia dalla mancata dichiarazione della retribuzione all’interno degli annunci di lavoro, sicuramente il punto della normativa su cui più si sta discutendo.

Ma non è l’unico. La direttiva prevede anche il divieto per le aziende di chiedere ai candidati la RAL precedente, evitando così che possa essere presa come benchmark di riferimento. Inoltre, chi si occupa di selezione dovrà fare in modo che sia le offerte sia i titoli professionali siano neutri sotto il profilo del genere. E che le procedure di assunzione siano condotte in modo non discriminatorio. Le aziende saranno anche obbligate a mettere a disposizione dei lavoratori i criteri utilizzati per definire retribuzione e avanzamento di carriera. Oltre a fornire le informazioni sia sul proprio livello retributivo, sia su quelli medi dei colleghi con mansioni e ruoli di pari valore.

Infine, le imprese con almeno 250 lavoratori dovranno rendere pubblici i dettagli relativi al divario retributivo tra uomini e donne. Alle organizzazioni e alle amministrazioni pubbliche di tutta Europa è invece richiesta una dichiarazione obbligatoria circa le retribuzioni. Qualora emergesse un divario superiore al 5%, sarà necessaria una rivalutazione salariale insieme ai rappresentanti dei dipendenti.

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