La voglia di cambiamento non ha età, ma non è una buona notizia.
Lo dice l’osservatorio BenEssere Felicità, che ha condotto nei mesi scorsi una ricerca coinvolgendo 1.106 lavoratori di quattro tipologie (dipendenti, Manager, Liberi professionisti/partite IVA/piccoli imprenditori e Imprenditori) e appartenenti alle quattro generazioni di baby boomer, generazione X, millennial, generazione Z.
Voglia di cambiamento, un sentimento trasversale
Nel 2022 la domanda “Stai pensando di cambiare lavoro a breve?” trovava una forte convinzione da parte degli appartenenti alla Generazione Z (37,4% del campione), nei Millennial (49%) e nella Generazione X (42,3%). Dodici mesi dopo la voglia di cambiamento è ancora più accentuata. Mentre nella Generazione X rimane stabile, nei più giovani la percentuale sale al 59,9%, nei Millennial al 52,6% e, sorprendentemente, nei Baby Boomer, anche a pochi anni dalla pensione, arriva al 24,1%, mentre nel 2022 era del 17,9%.
Secondo Sandro Formica, vicepresidente e direttore scientifico dell’Associazione Ricerca Felicità, che da tre anni promuove l’Osservatorio, dietro alla voglia di cambiare va colto un segnale non del tutto positivo. “Il grande campanello d’allarme dimostrato è rimasto inascoltato e ora ci troviamo in una situazione in cui tutte le generazioni si uniscono nel dimostrare che nel sistema lavorativo italiano qualcosa non stia funzionando”.
Cosa la spinge?
Dello stesso avviso è Elga Corricelli, co-founder dell’associazione, secondo la quale non si può più indugiare sul tema del benessere dei lavoratori. “È fondamentale prendere coscienza di questo cambiamento in atto e concretizzare politiche per creare maggior benessere per tutti e limitare il più possibile la migrazione di talenti all’estero. Rischiamo ogni giorno di più che, paradossalmente, un lavoro in sede estera risulti più attraente sia in termini di offerta che in termini di benessere lavorativo”.
Ma che cosa spinge un lavoratore anche non più giovanissimo a voler cambiare? La risposta è ancora nella survey. Quando è stato chiesto “I tuoi meriti vengono sempre riconosciuti?”, le risposte positive sono risultate in calo rispetto all’anno precedente. E anche il senso di appartenenza all’azienda di è indebolito. Come spiega Elisabetta Dellavalle, presidente dell’associazione, i due fattori sono collegati. “L’individuo vede sempre meno riconosciuti i propri meriti all’interno del contesto di lavoro, conseguentemente anche il senso di appartenenza viene a mancare. Non vedendo più riconosciuto l’impegno nel proprio lavoro si tende a non riconoscersi più all’interno del contesto aziendale”.
Ti potrebbero interessare anche: