Gruppo Beta, un secolo di audacia

Roberto Ciceri, presidente e amministratore delegato del Gruppo Beta, premiato con l’Asfor Award for Excellence, racconta la sua azienda e i suoi valori, fondamentali per generare senso di appartenenza

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Roberto Ciceri, presidente e amministratore delegato del Gruppo Beta

di Marco Vergeat |

Mirare sempre all’eccellenza, investendo e rilanciando con audacia l’impresa avviata nel 1923 da un grande artigiano italiano.

È questa la sfida che Roberto Ciceri affronta ogni giorno, da quando è alla guida del Gruppo Beta. Quell’artigiano era il suo bisnonno. Quella che vi vogliamo raccontare è una delle meravigliose storie italiane in cui famiglia e impresa si intrecciano e portano valore per il Paese. Nato nel 1964, Roberto Ciceri cresce a Monza immerso nella passione per lo sport e l’adrenalina delle monoposto di Formula 1, di cui l’azienda di famiglia è stata uno dei primi sponsor storici. Dopo aver completato un percorso di studi internazionale, l’imprenditore si laurea in Ingegneria presso la Columbia University di New York.

Entra a far parte di Beta Utensili, occupandosi inizialmente dello sviluppo industriale e successivamente dell’internazionalizzazione dell’azienda. Durante questi anni, Beta ha consolidato la sua leadership diventando un marchio italiano di utensili professionali riconosciuto per la qualità e il design in oltre 100 Paesi, fornendo strumenti ai professionisti dell’industria meccanica, della manutenzione industriale e dell’autoriparazione. Imprenditore dinamico e audace, Ciceri nel 2016 acquisisce la maggioranza assoluta del capitale dell’azienda.

Intraprende un percorso di crescita e consolidamento che ha portato all’acquisizione di sei realtà industriali italiane, sinergiche con il core business di Beta. Oggi il Gruppo Beta presidia il mercato con i suoi 10 stabilimenti in Italia e le sue 11 filiali nel mondo riportando eccellenti risultati di crescita. Attraverso investimenti mirati e grazie al talento imprenditoriale che la guida, l’azienda è cresciuta fino a diventare una squadra di oltre 1.000 persone Nel 2018 ha acquisito sei aziende, registrando una forte crescita di fatturato e non solo per linee esterne. Ne parliamo con Roberto Ciceri in persona.

Lei rappresenta la quarta generazione e la quinta è già molto attiva in azienda. Qual è il segreto di questi passaggi generazionali che hanno scandito la vostra storia di successo?

Quattro generazioni ci consentono di avere già una casistica abbastanza favorevole per poter individuare e valutare le dinamiche. Se penso alla nostra storia mi vengono in mente due parole che sono stati costanti nei nostri passaggi generazionali: oggettività e merito. E sono rimaste valide generazione dopo generazione. Il giudizio che la generazione precedente ha dato su quella successiva è sempre stato basato non tanto su un presunto “diritto dinastico”, ma sul diritto alla gestione. Questo significa individuare la persona migliore, che poi è quella in grado di dare le migliori garanzie di continuità e successo dell’impresa. L’oggettività spetta al genitore nei confronti dei figli e il merito è il criterio valutazione. Non è un processo semplice. Noi un po’ per fortuna, un po’ per cultura familiare, questi due principi siamo riusciti ad applicarli piuttosto bene.

La successione a mio avviso prevede due fasi: la prima è quella di individuare, lo dico un po’ in modo brutale, la “materia prima”. Qualcuno che abbia le caratteristiche iniziali sufficienti, che abbia la vocazione alla gestione e sia in grado di comprenderne lo scopo. Una predisposizione che deve essere incoraggiata ed educata, a cui bisogna dedicare del tempo. La seconda fase, ancora più critica, è quella che riguarda te come genitore. Oggi pensi di essere la persona più giusta al posto giusto. E non può essere altrimenti. Ma guardando i tuoi figli, o i tuoi nipoti, devi essere consapevole che verrà il giorno in cui non avrai più questa certezza. Dovrai convincertene e accettarlo. Loro possono e dovranno essere migliori e più adatti di te.

Negli ultimi anni, il Gruppo Beta ha accelerato il suo processo di crescita, arrivando a raddoppiare il fatturato. Verso quali orizzonti è proiettata l’azienda?

Abbiamo una visione di business molto pragmatica, un po’ anglosassone. Noi continuamente testiamo il nostro modello, anche di crescita. Il nostro è un mercato molto frammentato in cui noi, come tutti gli altri, rappresentiamo lo “zerovirgola”. Questo ci dà un potenziale di crescita virtualmente infinito. Ci sono ampi spazi di sviluppo. In tutto questo, la mia preoccupazione principale è di adattare il nostro modello di funzionamento e di metterlo in relazione agli obiettivi di medio periodo.

Questo significa poter adattare quanto di meglio sappiamo fare, aggiungendo però ciò che serve per poter fare ogni volta un passo in più. E devo dire, senza falsa modestia, che negli ultimi anni ci sta riuscendo abbastanza bene. Questa non è una prerogativa solo mia, ma di un gruppo di persone che partecipano molto attivamente. I due principali mercati di distribuzione in Europa in cui operiamo valgono 150 miliardi di euro, noi siamo al trecentesimo milione quest’anno: questo significa che c’è tanto che possiamo fare.

Nella vostra sede si percepisce la vicinanza al mondo della Formula 1 e del Moto GP. Colpisce l’attenzione all’estetica e agli ambienti di lavoro, che significato hanno le due dimensioni di velocità e bellezza?

Sono due dimensioni che in qualche modo si incontrano. Le sponsorizzazioni del racing motoristico avanzato per noi rappresentano qualcosa di necessario. È un settore molto esigente, che ci stimola e che nel medesimo tempo ci rende molto, sia in termini di know-how che di notorietà. Quello delle corse è un mondo che frequentiamo da più di 50 anni e ha questo ruolo. Anche l’aspetto estetico si accompagna a questo stesso tipo di approccio.

Abbiamo l’idea che tutto ciò che è bello e un po’ sexy influenza positivamente quello che io definisco “il mondo in cui viviamo tutto il giorno”. Noi dobbiamo dare e avere degli ambienti di lavoro curati. Le persone devono stare meglio che a casa perché devono diventare consapevoli del fatto che chi ha scelto quel determinato arredo, quella soluzione estetica curata, lo ha fatto perché ama quel luogo. Anche per questo dopo il lockdown le persone nella stragrande maggioranza hanno preferito l’ufficio al “lavoro a distanza”.

Noi lo smart working, se e quando necessario, lo abbiamo sempre fatto. Ma ci sono cose che si possono fare solo in presenza. Una riunione creativa con quindici persone che stanno lavorando su un progetto audace non si può organizzare online. La si fa molto più piacevolmente tutti insieme, in presenza, con una macchina di Formula 1 attaccata al soffitto e caschi da pilota firmati sulle pareti della sala. Questa immagine credo renda un po’ l’idea complessiva che abbiamo della nostra azienda. E funziona.

In che misura, invece, il binomio cultura familiare-imprenditoriale e cultura manageriale è stato influenzato dalla sua esperienza all’estero?

L’esperienza all’estero ti forma. Anche se poi dipende molto dal tipo di esperienza che vivi. Non si può generalizzare. Nella prospettiva di gestire un’azienda, fare un percorso internazionale sicuramente è di stimolo. Alla fine, ti fai un’idea di una competizione fra coetanei che hanno identiche ambizioni. Tornando al binomio, le mamme non danno alla luce imprenditori o manager. Bisogna spostare un po’ lo sguardo e stabilire quale individuo ambisca a gestire un’attività economica.

L’importante è prepararsi al meglio a “gestire”, che tu lo faccia da manager o da imprenditore. Fra l’altro una cosa non esclude l’altra. Ci sono manager che poi sono diventati imprenditori. Forse è più raro il percorso inverso. Se “gestisci” da imprenditore hai qualche fortuna in più perché puoi fare scelte non strettamente condizionate dall’aspetto economico e che non devi necessariamente giustificare agli azionisti. In entrambi i casi, comunque, il motivo per cui tu sei la migliore persona per gestire un’attività economica o una funzione aziendale è sempre la tua preparazione. Sono convinto del fatto che si debba uscire da questa dicotomia. Servono persone preparate a presidiare delle funzioni e che si sentono parte del progetto.

I valori di Gruppo Beta sono impegno, audacia, armonia e talento: sono questi gli ingredienti capaci di generare senso di appartenenza e coesione sociale?

Per individuare questi valori abbiamo chiesto a tutti di esprimersi per capire in quali aspetti dell’azienda si riconoscessero. Abbiamo coinvolto 1.067 persone che in larga parte si sono ritrovate in questi quattro valori. Credo che questi valori siamo fondamentali per generare senso di appartenenza. Inizialmente ero un po’ scettico verso l’idea di esprimerli in modo visivo. Li abbiamo scritti sui muri dell’azienda, sui vetri e la rappresentazione visiva li ricorda in modo chiaro. Sono valori diversi fra loro. L’armonia è più sociale, riguarda il gruppo, gli altri sono valori che afferiscono più al singolo individuo.

Su tutti l’audacia. In un mercato unicamente competitivo è tutto. Audacia significa avere il coraggio di osare sempre qualcosa in più rispetto agli altri partecipanti in gara nel tuo campionato.


* L’intervista integrale, di cui vi proponiamo un estratto, è stata pubblicata sul numero di maggio-giugno di formaFuturi, il magazine digitale di cultura e formazione manageriale di Asfor e Apaform.

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