I costi della non sicurezza

È importante e necessario conoscere i costi che si rischia di dover affrontare se non si investe in sicurezza

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Investire nella sicurezza conviene

di Tiziano Menduto |

Per favorire nelle aziende del nostro Paese un reale investimento in sicurezza non è più sufficiente insistere sui pericoli insiti nelle attività, sulla gravità degli eventi incidentali e degli infortuni possibili.

È importante aumentare la consapevolezza dei costi della non sicurezza. Infatti, se le aziende conoscono bene, o dovrebbero conoscerli, i costi della sicurezza dati dalla conformità alla normativa, spesso non si rendono conto dei costi che si rischiano di affrontare se non si investe in sicurezza. Dal costo legato alle assenze per malattia dei dipendenti a quelli connessi alle sostituzioni di lavoratori infortunati, dalle spese per il tempo impiegato dal personale per effettuare indagini sull’incidente a quelle derivanti dalla mancata produzione, dagli oneri dovuti a sanzioni penali e costi assicurativi ai decrementi legati alla sosta degli impianti, ecc.

Il danno economico della non sicurezza

A fare un’analisi dettagliata sull’impatto sociale ed economico degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali e a rimarcare i costi generali della non sicurezza, anche a livello aziendale, è la Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati attraverso la “Relazione Intermedia sull’attività svolta” approvata dalla Commissione nella seduta del 20 aprile 2022.

Nel documento si stima che a livello mondiale gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali sono costati nel 2019 “circa 3.050 miliardi di euro, quasi il 4% del Pil e, a livello europeo, circa 460 miliardi di euro, oltre il 3,3 % del Pil” (Fonte Comunicazione CE 2021). A livello italiano, secondo alcune stime dell’Inail, “il danno economico causato da infortuni e malattie professionali è risultato, nel 2007, pari a quasi 48 miliardi di euro, ovvero più del 3% del Pil, come rivela il rapporto sull’andamento degli infortuni sul lavoro, del luglio 2011”.

La Commissione indica che le implicazioni della salute e sicurezza sul lavoro sono molteplici e impattano su numerosi ambiti (sociale, pubblico, aziendale/organizzativo, sistema sanitario, sistema previdenziale, compagnie di assicurazione, ecc.). Risulta, inoltre, fondamentale “stimare i relativi impatti economici e sociali, in quanto, un miglioramento delle condizioni di lavoro consente l’aumento di produttività dei lavoratori, con conseguenze importanti sull’azienda e sulla società in generale”.

La tipologia e gli effetti dei costi

Soffermandosi in particolare sugli impatti economici, generalmente i costi vengono così articolati:

  • Costi diretti, facilmente quantificabili in termini monetari, sono direttamente connessi all’oggetto di costo considerato.
  • Costi indiretti, non definiti univocamente e che necessitano di altre stime (riduzione della produttività della forza lavoro dovuta all’infortunio, costi di sostituzione per l’assenza del lavoratore infortunato e degli straordinari necessari a recuperare il tempo perso, costo delle attività di indagine, compilazione di verbali e rapporti con le autorità di controllo, costi di retraining nel caso in cui al lavoratore infortunato venga modificata la mansione).
  • Costi intangibili, che non rientrano nella contabilità aziendali e sono difficili da individuare e da stimare (ad esempio danno reputazionale) e spesso richiedono la “quantificazione economica” di un impatto eminentemente sociale (ad esempio dolore e sofferenza morale e psicologica).

La Commissione con la sua relazione si sofferma poi nello specifico sui costi degli infortuni e delle malattie professionali per il datore di lavoro: “Aumentano i costi dell’impresa (nel breve termine) e diminuiscono i profitti (nel lungo periodo), anche a causa della mancanza di produttività (giornate di assenza del lavoratore, misure per riorganizzare il lavoro, sostituzione del lavoratore)”.

Secondo alcuni studi (Mossink & De Greef, 2002) gli effetti sui costi comprendono:

  • assenza della vittima,
  • interruzione nei processi di produzione,
  • riorganizzazione del lavoro,
  • primo soccorso,
  • spesa per reclutamento/sostituzione di personale temporaneo e ricadute sui colleghi,
  • formazione del lavoratore che sostituisce l’infortunato/deceduto,
  • danni ai macchinari,
  • aumento dei premi assicurativi.

Questi invece gli effetti sui profitti:

  • perdite di produzione (in base all’occupazione del lavoro, alla qualifica, ai tempi di produzione),
  • danno di immagine dell’azienda,
  • scarsa soddisfazione lavorativa.

Senza dimenticare che la maggioranza degli infortuni, secondo un rapporto del 2004 di Eurostat, “in particolare l’82% di tutti gli infortuni sul lavoro e il 90% degli infortuni mortali avvengono all’interno di piccole e medie imprese”. E queste tipologie di imprese, sia dal punto di vista finanziario che dal punto di vista organizzativo, “sono strutturalmente meno resistenti ai problemi che si generano in seguito a fatti di gravità come gli incidenti sul lavoro”.

Ricordiamo, infine, che dei costi della non sicurezza si è occupato lungamente anche l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro. In particolare, Inail ha proposto un applicativo chiamato Co&Si che, con un algoritmo di calcolo, può fare una stima dei costi sostenuti per la salute e sicurezza. E, attraverso il confronto con i più bassi indici infortunistici delle aziende che investono in sicurezza sul lavoro, l’applicativo consente anche di stimare il risparmio che la singola azienda conseguirebbe dall’implementazione di una corretta ed efficace politica prevenzionale.


Articolo realizzato in collaborazione con PuntoSicuro, dal 1999 il primo quotidiano on-line sulla sicurezza.

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