Il dovere di essere sostenibili

La Direttiva europea Corporate Sustainability Reporting Standard amplia la platea di imprese soggette all’obbligo di raccogliere e condividere le informazioni sulla sostenibilità del modello aziendale. Per le organizzazioni che operano in Ue è quindi tempo di interiorizzare il concetto di sostenibilità nel suo significato più ampio, ambientale e sociale, e agire di conseguenza

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Essere sostenibili: la sfida Ue

di Virna Bottarelli |

A dicembre 2022 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la Direttiva Corporate Sustainability Reporting Standard.

Un passo in avanti importante in quella strategia di crescita dell’Unione Europea nota come Green Deal, che ha l’obiettivo di trasformare l’Europa in “un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, che entro il 2050 non avrà emissioni nette di gas a effetto serra”. La meta è, quindi, la sostenibilità, un concetto di cui si parla dagli anni Ottanta, che però ha bisogno, per essere messo in pratica, di regole da far rispettare a tutti gli attori del sistema economico europeo. O, per lo meno, a un numero consistente di essi.

Essere sostenibili: cosa dice l’Ue

Ecco perché la nuova Direttiva amplia la platea delle imprese per le quali è obbligatorio redigere un report di sostenibilità secondo standard ben definiti. Saranno 50mila, infatti, le organizzazioni interessate, un numero assai maggiore rispetto alle circa 11.700 alle quali si rivolge la Non Financial Reporting Directive in vigore dal 2014.

La Csrd sarà applicabile alle imprese di grandi dimensioni, indipendentemente dal fatto che siano quotate o meno, che rispecchiano almeno due dei seguenti tre requisiti:

  • 20 milioni di euro di attivo patrimoniale,
  • 40 milioni di euro di fatturato,
  • 250 dipendenti.

Ma varrà anche per le Pmi quotate sui mercati regolamentati europei, a eccezione delle microimprese. E per la società non UE che generano un fatturato netto di 150 milioni di euro all’interno dell’Unione Europea e hanno almeno una impresa nel suo territorio. Come dice Marisa Parmigiani, presidente di Sustainability Makers, l’associazione che riunisce le professionalità che si dedicano alla definizione e realizzazione di strategie e progetti di sostenibilità, rendere il reporting un requisito normativo “porterà al suo consolidamento tra le aziende e a una maggiore attenzione rispetto alle performance Esg”. Sustainability Makers è nata nel 2006 con il nome di Csr (Corporate Social Responsibility) Network e ha cambiato nome nel 2021, con l’intento di evidenziare il proprio ruolo attivo nella transizione verso modelli di impresa sostenibili.

Imprese consapevoli, ma il percorso è all’inizio

L’informativa che l’impresa è obbligata a redigere sarà di tipo qualitativo e quantitativo, includerà scenari previsionali e retrospettivi e guarderà agli obiettivi a breve, medio e lungo termine. La rendicontazione dei criteri Esg (Environmental, Social, Governance) richiederà quindi un maggiore impegno alle organizzazioni, che in molti casi incontrano ancora qualche ostacolo.

Uno studio condotto da Aras e intitolato “La transizione delle aziende europee”, che ha interessato più di 440 top manager provenienti da 19 Paesi europei, rivela che l’85% delle organizzazioni industriali europee e non europee è consapevole della nuova direttiva sulla sostenibilità aziendale. Ma circa tre quarti di esse hanno ancora grandi difficoltà nell’adeguarsi ai requisiti Esg previsti. E parliamo di aziende con un fatturato minimo di 40 milioni di euro, operanti nei settori automobilistico, aerospaziale e della difesa, ingegneria meccanica, medicale, chimico, farmaceutico e alimentare. Da tempo queste realtà hanno riconosciuto l’importanza strategica di essere sostenibili, ma non è più sufficiente adottare un’immagine “green” superficiale.

“Rating Esg delle imprese, asserzioni etiche aziendali e percezione dei cittadini riguardo alle scelte green delle aziende” è invece il titolo di una recente ricerca, finanziata dal Parlamento europeo, sulla rendicontazione dei criteri Esg nei bilanci di sostenibilità delle imprese europee. E condotta su due diversi campioni, uno di 100 aziende, di vari settori e dimensioni, e uno di 500 cittadini rappresentativi di tutte le età e condizioni sociali. L’indagine è stata realizzata da un team di ricerca italiano, coordinato da Giorgia Grandoni, docente della Libera Università Maria Santissima Assunta di Roma, con lo scopo di fotografare lo stato dell’arte sul tema della rendicontazione non finanziaria ed Esg nei bilanci delle aziende europee. Riflettendo anche sulla percezione che i cittadini hanno delle scelte green compiute dalle aziende.

Secondo i dati raccolti, sette aziende su dieci in Europa pubblicano bilanci di sostenibilità approvati unicamente sulla base di documenti ed evidenze autoprodotti. Senza alcuna verifica da parte di professionisti esterni circa la genuinità e la veridicità delle informazioni contenute nei report. Solo il 25% delle organizzazioni afferma di essersi sottoposta a uno specifico audit interno sulla rendicontazione dei criteri Esg.

Tanto impegno per essere sostenibili, quindi, ma poca trasparenza? L’analisi svolta in parallelo sulla percezione della cittadinanza europea evidenzia che il grado di fiducia nelle dichiarazioni di sostenibilità prodotte dalle aziende risulta tra il basso (44,5%) e il bassissimo (19,5%). Infine, una parte significativa dei cittadini europei ritiene che le aziende utilizzino il tema della sostenibilità solo per motivi pubblicitari e di marketing (45,5%).

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