Quale valore si dà oggi al lavoro? E quali aspettative si hanno nei suoi confronti? Ha cercato di rispondere a queste domande la ricerca realizzata da Asfor – Associazione Italiana per la Formazione Manageriale e Isvi – Istituto per i Valori d’Impresa e presentata il 22 novembre in occasione del XIII Leadership Learning Lab Asfor.
L’evento, patrocinato dalle Alte Scuole dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha visto avvicendarsi sul palco esperti in materia di lavoro e manager di rilievo come Barbara Cimmino di Yamamay, alla quale è stato consegnato il premio Asfor-Isvi Award Excellence Innovation 2023, e Ali Reza Arabnia, Ceo di Gecofin e presidente di Isvi. Dagli interventi sono emersi molti spunti sul mercato del lavoro, oggi più che mai segmentato e difficile da incasellare in definizioni univoche.
A dare il benvenuto è stato Mario Molteni, professore ordinario di Economia aziendale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e referente del Comitato Università-Mondo del lavoro. “Le imprese si contendono gli studenti, perché c’è un effettiva carenza di professionalità sul mercato”, ha detto, richiamando l’attenzione sul fatto che i nostri giovani talenti vanno incentivati. “Vedo molti tesisti che lasciano il nostro Paese perché trovano opportunità migliori all’estero. Del resto, da noi c’è oggettivamente un problema di basse retribuzioni”. Sempre in apertura del convegno è stato letto un messaggio del ministro del Lavoro, Marina Calderone, che ha evidenziato la necessità di creare “il buon lavoro”. Se, infatti, siamo in un momento storico eccezionale, che vede nel nostro Paese il numero di occupati più alto di sempre, la qualità dell’occupazione lascia a desiderare. “Dalla ricerca emerge che la maggior parte dei lavoratori è soddisfatta del proprio lavoro, ma non lo è rispetto alle opportunità di crescita che esso offre”, ha commentato il ministro.
Tutti i contrasti del mondo del lavoro
La ricerca Asfor Isvi include un’analisi interpretativa dei dati ufficiali relativi al mercato del lavoro e all’occupazione; un’indagine quantitativa che ha coinvolto un campione di 1.000 occupati rappresentativo a livello nazionale, approfondita da quattro focus group e venticinque interviste a livelli apicali di grandi aziende, responsabili HR, middle manager e giovani occupati. La ricerca è stata integrata da un questionario inviato a 2.600 piccole e medie imprese, per ottenere il punto di vista degli imprenditori. “Siamo in una fase di discontinuità rispetto al passato”, ha detto Marco Vergeat, presidente di Asfor. “Il dato che emerge chiaramente dalla ricerca riguarda il fatto che nelle nuove generazioni il lavoro è meno centrale nella gerarchia dei valori. Non è più un elemento fortemente identitario come lo era in passato”.
Vergeat ha invitato poi a riflettere su alcuni contrasti che oggi si delineano nel mercato del lavoro. Da un lato si osserva una dinamica retributiva lenta, con stipendi e salari che crescono poco e, appunto, molto lentamente, e dall’altro si diffondono aspettative di un benessere che retribuzioni di questo livello non possono però garantire. Se da una parte anche la dinamica delle carriere è molto lenta, dall’altra i lavoratori si aspettano di far carriera in tempi brevi, a volte in modo anche irrazionale. Un altro contrasto mette a confronto la complessità elevata del mondo del lavoro, che richiede impegno e competenze maggiori rispetto al passato, indipendentemente dai settori e dai profili, con il desiderio di disimpegno, di disporre di maggiore tempo libero da dedicare ad altro. E questa esigenza di avere più tempo per sé stessi, per curare il proprio benessere personale, si contrappone con l’idea di gioco di squadra che oggi è fondamentale per le imprese chiamate a competere. Ancora, mentre si dice da più parti che occorre creare un senso di appartenenza, il famoso engagement, per trattenere i talenti, nel mondo del lavoro reale le relazioni sono spesso deboli, brevi, mosse da una ricerca costante di trovare qualcosa di meglio. Infine, di non poco conto è un’ultima linea di frattura tra la visione di lungo periodo che dovrebbe avere qualsiasi impresa e la generale sfiducia nel futuro che contraddistingue i lavoratori oggi, turbati da un contesto di crisi permanente.
Quantità e qualità del lavoro
“Dopo un lungo periodo in cui si è parlato molto dei tassi record di disoccupazione, soprattutto giovanile, oggi stiamo vivendo un picco di occupazione. Un vero e proprio record, perché da quando abbiamo statistiche sulle forze di lavoro, dal 1977, non abbiamo mai avuto un numero così alto di occupati”, ha detto Massimiliano Valerii, direttore generale di Censis. E attenzione all’abbaglio delle Grandi Dimissioni: “Le Great Resignation sono state un grande fenomeno mediatico: abbiamo avuto numeri record di cessazione di rapporti di lavoro per dimissioni volontarie, ma si è trattato di persone che sono passate da una professione a un’altra, da un’azienda a un’altra. Non parliamo di lavoratori che hanno deciso, come si diceva, soprattutto a causa dell’impatto esistenziale della pandemia, di dare “dimissioni al buio”. Tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 sono cresciuti i contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e le dimissioni volontarie hanno cominciato a diminuire. Insomma, sfatiamo il mito: le grandi dimissioni sono state in realtà il risultato della ricerca di un lavoro diverso”. A fronte degli elementi positivi citati da Valerii, restano però i nodi strutturali del nostro mercato del lavoro: “Il tasso di occupazione in Italia rimane comunque il più basso in Europa, in particolare per le categorie dei giovani e delle donne, abbiamo il tasso più alto di NEET, siamo ultimi per tasso di attività femminile e le nostre retribuzioni non crescono. Dal 1990 al 2020 l’Italia ha avuto una variazione delle retribuzioni annue lorde del 3%. Si pensi che in Germania la variazione è stata del 30%. Si è pagato lo scotto di una ricerca della competitività che ha agito essenzialmente sulla compressione del costo del lavoro, non tanto sulla pressione fiscale che non è comunque tra le più alte in Europa”.
In un mercato del lavoro caratterizzato da questi elementi, quale può essere la percezione dei lavoratori? L’indagine Asfor-Isvi riporta che più dell’82% dei lavoratori si ritiene soddisfatto del proprio lavoro rispetto a elementi come mansioni, orario, rapporto con i colleghi, stabilità e sicurezza, rapporto con i dirigenti. Se però scandagliamo il livello di soddisfazione rispetto a retribuzione e opportunità di formazione, riqualificazione e carriera, i dati dicono altro: i lavoratori non sono così appagati. E c’è dell’altro: il 72% dei lavoratori è convinto di dare molto di più rispetto a quanto riceve dal lavoro. Vale quindi la pena, si chiedono in molti, investire il mio tempo e le mie risorse nel lavoro? “Molti giovani stanno trovando lavoro, ma in molti casi si tratta di impieghi nei quali non si sentono riconosciuti, coinvolti”, ha detto Caterina Gozzoli, docente di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni all’Università Cattolica di Milano. “Il lavoratore vuole essere messo in condizione di lavorare bene, vuole essere coinvolto. Ma le dinamiche, oggi, non sono lineari, a prevalere è la soggettività, l’aspettativa individuale, benché in un mondo complesso dovremmo essere più aperti al confronto, attivare relazioni e alleanze per capire e affrontare i cambiamenti che stiamo attraversando, magari anche facendo un uso intelligente delle conflittualità”.
Attenzione al problema demografico e alla frammentazione
Francesco Seghezzi, presidente di Adapt, è intervenuto su un tema non più trascurabile: quello del calo demografico. “Le persone che possono lavorare sono sempre meno. Anche tenendo conto dell’apporto delle migrazioni, la popolazione è in calo e anche questo dato incide sul disallineamento tra domanda e offerta”. Altro elemento che oggi caratterizza il mercato del lavoro è la frammentazione. Ma non c’è da stupirsi: “Abbiamo convinto i giovani che non avranno sempre lo stesso lavoro per tutta la vita ed è normale, quindi, che non sia radicata l’idea di affezionarsi a un lavoro”, ha detto Seghezzi. “E questa frammentazione determina il lato dell’offerta: i più giovani scelgono di restare in azienda per un tempo limitato, assorbire quante più competenze e conoscenze possono e poi cambiare realtà. Ma le aziende, dei giovani, non possono fare a meno”. Meriterebbe poi un approfondimento anche un ultimo aspetto legato a un mondo del lavoro sempre meno univoco: “Attività e mansioni sono sempre più diversificate, non sono più rintracciabili grandi gruppi di lavoratori omogenei e non si può più parlare di coscienza di classe. Del resto, il lavoro non è più un elemento di identificazione della persona, non è più in cima alla gerarchia dei valori”.
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