di Christian Poccia |
Puntare sulla correlazione esistente tra capitale culturale, capacità di innovazione e sviluppo economico per superare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro.
Di questo si è discusso giovedì 19 ottobre, a Roma, presso l’Istituto Nazionale di Studi Romani, nella tavola rotonda dal titolo “Innovazione, formazione e sviluppo economico. Il Mezzogiorno di fronte alla rivoluzione digitale”, organizzata dall’Osservatorio sulle trasformazioni del lavoro e della formazione continua promosso da FondItalia in collaborazione con Cnr-Isem.
Come promuovere la crescita della capacità di innovazione nelle aree del Paese più svantaggiate? Come coinvolgere le piccole imprese e i loro lavoratori in processi di formazione che costituiscono la necessaria premessa dello sviluppo economico? A questi interrogativi hanno provato a rispondere i relatori:
- Gaetano Sabatini, direttore Cnr-Isem;
- Francesco Franco, presidente FondItalia;
- Egidio Sangue, direttore Fondltalia;
- Michela Toussan, segretario confederale Ugl;
- Nicola Patrizi, presidente FederTerziario;
- Ruggero Parrotto di Ikairos;
- Massimiliano Franceschetti di Inapp;
- Marco Zaganella dell’Università dell’Aquila;
- Alessandro Albanese Ginammi dell’Università di Perugia;
- Renato Amoroso dell’Università Federico II di Napoli.
Temi cruciali per formazione e occupazione
Il parterre di relatori, moderati dal professor Roberto Rossi dell’Università di Salerno, si sono alternati in tre panel. Nel corso dei quali sono stati affrontati temi centrali per lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese: l’importanza della formazione professionale nei processi di reskill e upskill, la necessità di avvicinare la formazione universitaria alle richieste delle imprese, il mismatch fra domanda e offerta di lavoro, la mancanza di orientamento, l’esigenza di incrociare dati provenienti da fonti diverse per indirizzare le scelte politiche in materia di istruzione e formazione professionale.
Dopo i saluti istituzionali di Gaetano Platania, presidente dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, il direttore del Cnr-Isem Gaetano Sabatini ha sottolineato come “grazie alla disponibilità di FondItalia nell’istituzione dell’Osservatorio è stato possibile investire sulla formazione della crescita di giovani ricercatori e ricercatrici, impegnati ad approfondire importanti aspetti della formazione professionale continua sia a livello nazionale che locale. In un contesto nel quale il mondo dell’Università resta ancora troppo distante da quello delle imprese”, ha proseguito Sabatini. “Incrociare la strada con FondItalia è stato per noi studiosi estremamente importante, poiché ci ha offerto la possibilità di attingere a fondamentali elementi di realtà”.
Di una “maggiore presenza dell’Università nello sviluppo della formazione professionale continua” ha parlato il presidente di FondItalia Francesco Franco. Gli ha fatto eco Michela Toussan, segretario confederale di Ugl, spiegando come “quello che manca all’Università è il contatto con il mondo economico e delle imprese”. Auspicando strategie di medio lungo termine che permettano di intercettare le istanze di cambiamento che provengono dal mercato.
Nel corso del panel dedicato a Innovazione, formazione e sviluppo economico, Ruggero Parrotto, presidente dell’associazione di promozione sociale dedicata a Mentoring ed Economia Sociale IKairos, ha messo in guardia sulla necessità di iniziare l’orientamento già nella scuola dell’infanzia per poi proseguire negli altri gradi d’istruzione “per capire, assecondare e verificare le attitudini dei ragazzi”, ha detto Parrotto. “Oggi nelle imprese ci sono molti lavoratori messi nel posto sbagliato. Perché è vero che in molti settori produttivi servono lavoratori ma questi devono essere preparati, che abbiano sì competenze tecniche ma anche competenze personali e relazionali”. Parrotto ha poi sottolineato la necessità di creare “una grande banca dati nazionale che aiuti i diversi soggetti a capire in quali settori gli imprenditori cercano personale, ma anche a quali condizioni economiche”.
E a proposito di dati, Massimiliano Franceschetti, ricercatore dell’Inapp, ha spiegato che incrociando i dati di Unioncamere con quelli relativi dalla formazione emerge che i settori produttivi nei quali c’è più richiesta occupazionale sono l’edile, la meccanica, la logistica, i trasporti e l’elettronica. Mentre fra quelli in overbooking ci sono l’industria del legno, la cartotecnica, il tessile, la ristorazione e il comparto del benessere. Nel suo intervento Franceschetti ha posto l’accento sulla crescente importanza delle cosiddette soft skill nei profili professionali. “Le competenze trasversali”, ha detto il rappresentante di Inapp, “agevolano le transizioni e permettono ai lavoratori di adattarsi ai mutamenti e di trasferire le proprie abilità da un lavoro all’altro, aumentando il grado di occupabilità”.
“I cambiamenti possono essere ignorati, subiti, governati o prevenuti” ha detto il direttore di FondItalia Egidio Sangue, secondo cui fra le competenze necessarie oggi nel mondo del lavoro, per non farsi travolgere dalla velocità dei mutamenti in corso, ci sono flessibilità e adattabilità. Sangue ha sottolineato come dall’analisi della formazione finanziata da FondItalia ed erogata ai lavoratori delle imprese italiane emerga spesso che “la formazione professionale va a colmare i deficit lasciati dal sistema scolastico”.
Di “capitale umano sempre più scarso” e “necessità di investire fortemente nella filiera della formazione” ha parlato nel suo intervento il presidente di FederTerziario Nicola Patrizi. Secondo cui la denatalità che affligge il nostro Paese è destinata fra 20 anni a incidere profondamente sulla sua produttività, sommandosi “a una diminuzione costante dei laureati, i quali sempre più spesso preferiscono lasciare l’Italia per collocarsi in mercati lavorativi in cui gli stipendi sono di gran lunga superiori”.
L’Osservatorio FondItalia
La tavola rotonda è stata inoltre l’occasione per presentare i risultati delle indagini di Osservatorio FondItalia. Nel panel intitolato Il Mezzogiorno di fronte alla rivoluzione digitale, l’economista Marco Zaganella, ricercatore presso l’Università dell’Aquila, ha esaminato il modo in cui il Mezzogiorno italiano si sta adattando ai processi di modernizzazione. In particolare in relazione alle trasformazioni nel mondo del lavoro scaturite dalla rivoluzione digitale.
Marco Zaganella ha basato il suo intervento su un’indagine condotta dall’Osservatorio, con il sostegno dei Titolari di Conto di Rete di FondItalia, che esamina il rapporto tra innovazione, formazione e sviluppo economico all’interno delle imprese aderenti al Fondo. I risultati di questa indagine hanno rivelato alcune tendenze interessanti. Le imprese che investono in innovazione tendono a fornire una maggiore formazione ai propri dipendenti e conseguono risultati economici migliori, incluso un aumento della produttività. Queste imprese sono anche più propense a fornire formazione in aree come competenze digitali, lingue straniere e green economy, oltre alla sicurezza sul lavoro. Le imprese innovative che investono in formazione sono più attente alle competenze dei loro lavoratori e considerano positiva l’idea di un “portafoglio formativo digitale” per tenere traccia delle competenze acquisite.
Tuttavia, la ricerca ha rivelato una sfida significativa. Molte imprese, in particolare nel Mezzogiorno, sembrano non comprendere i cambiamenti in atto nel mondo del lavoro e ignorano l’innovazione e la formazione, che potrebbero migliorare la loro competitività. Questo problema non è limitato alle piccole imprese, poiché molte Pmi costituiscono l’ossatura economica dell’Unione Europea. Zaganella ha evidenziato come, in alcuni paesi, come quelli del Nord Europa, le imprese siano più inclini all’innovazione rispetto ad altre nazioni, incluso l’Italia. Inoltre, esiste una marcata differenza tra il Nord e il Sud dell’Italia, come confermato dal Rapporto Svimez del 2022, che mette in luce il “morbo di Baumol”, caratterizzato da un’economia ad alta intensità di lavoro e bassa produttività nel Sud.
Il problema del rapporto tra il Mezzogiorno e la modernizzazione ha radici storiche che risalgono alla seconda rivoluzione industriale del XIX secolo. Tuttavia, negli anni Settanta e Ottanta del XX secolo, con l’avvento dell’era digitale e della globalizzazione, si è assistito a una svolta significativa. In questo periodo, la modernizzazione ha iniziato a privilegiare la capacità di innovazione rispetto alle infrastrutture fisiche. Zaganella ha sottolineato che l’innovazione e la competitività dipendono sempre più da una forza lavoro qualificata e dalle competenze immateriali. Mentre le economie sviluppate si sono adeguate a queste sfide, molte aree del Mezzogiorno hanno continuato a basarsi su un’economia tradizionale ad alta intensità di lavoro e bassa produttività, ostacolando dell’innovazione.
La soluzione richiede un impegno significativo nella formazione del capitale culturale dei piccoli imprenditori, specialmente in zone storicamente dominanti dal latifondo. I fondi interprofessionali possono svolgere un ruolo cruciale nel favorire la collaborazione tra le imprese e le istituzioni accademiche, stimolando l’innovazione e la formazione necessarie per affrontare le sfide della modernizzazione economica. In questo contesto, le università dovrebbero essere incoraggiate a collaborare con il mondo produttivo per promuovere una cultura imprenditoriale più forte e adattabile.
Un focus sul mismatch del mercato del lavoro in Sardegna è stato presentato da Alessandro Albanese Ginammi, ricercatore all’Università di Perugia. Il dato relativo allo squilibrio tra domande e offerta di lavoro in Sardegna è sensibilmente più alto rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno. Segno di un evidente disallineamento tra settori produttivi e capitale culturale disponibile sul territorio. I profili richiesti riguardano principalmente impiegati e addetti nell’ambito di professioni commerciali e nei servizi (48,8%), ma una percentuale cospicua abbraccia anche figure che dovrebbero provenire dalla formazione professionale (operai specializzati, conduttori di impianti e macchine, professioni non qualificate, per una percentuale complessiva del 42,8%).
Infine, Renato Amoroso, ricercatore dell’Università Federico II di Napoli, ha presentato un’indagine da cui emerge la richiesta degli studenti di un maggiore scambio fra mondo della formazione e mondo delle imprese per contrastare la rapidità con la quale le competenze acquisite sui banchi universitari diventano spesso obsolete alla luce dei cambiamenti imposti dal digitale.