La cooperazione che genera valore

Si tratta di un modello che ha resistito nel tempo, capace di coniugare redditività e solidarietà, e anche di rafforzare la coesione sociale ed economica. Ne parliamo con Carlo Parrinello, presidente nazionale di Unsicoop

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Unsicoop cooperative

di Giampiero Castellotti |

Resiste una diffusa convinzione nell’opinione pubblica che la forma cooperativa sia meno efficace ed efficiente rispetto a quella delle imprese tradizionali, strutturate prevalentemente con l’obiettivo del profitto.

Eppure, il mondo cooperativo continua anche oggi a rappresentare una componente rilevante del sistema produttivo, garantendo in Italia circa il 7% del Pil e il 7,5% degli occupati, dati più o meno stabili. Ne abbiamo parlato con Carlo Parrinello, presidente nazionale di Unsicoop, l’associazione di coordinamento delle imprese cooperative associate ad Unsic.

Carlo Parrinello, presidente nazionale di Unsicoop
Carlo Parrinello, presidente nazionale di Unsicoop

Dottor Parrinello, ci parli prima di tutto del modello cooperativo e del suo ruolo, in passato e oggi.

È vero, spesso si trascura la funzione sociale del mondo cooperativo. Si dimentica che è guidato, sin dagli albori nella mutualità ottocentesca, da valori condivisi a livello internazionale, ispirati dalla solidarietà oltre che dalla valenza economica. Si tratta di un modello che ha resistito e si è rafforzato nel tempo, capace di coniugare redditività e solidarietà, di rafforzare la coesione sociale ed economica, in particolare a livello locale. Nonché di generare capitale sociale.

Il preconcetto in genere si ribalta nei periodi di crisi. Durante la pandemia, ad esempio, s’è avvertita l’importanza delle logiche di reciprocità e condivisione poste a fondamento dell’idea cooperativa. Per superare l’evasività o il pregiudizio, occorre, quindi, riaffermare oggi l’importanza del ruolo della cooperazione, anche attraverso la conoscenza e la promozione del fenomeno, dalla sua evoluzione nel tempo alla rilevanza economica e occupazionale. Fino, non ultimo, all’apporto aggiuntivo dato al benessere dei cittadini. In questa “missione” va ricordato che nel nostro Paese le cooperative godono di un riconoscimento costituzionale.

Gli indicatori confermano che lo spazio per la cooperazione, tra alti e bassi, resta inalterato e benché l’impianto capitalistico non sembri essere intaccato dai tanti “scossoni” degli ultimi anni, è crescente il ricorso a forme imprenditoriali e organizzative alternative alle logiche tradizionali. Si pensi alla cosiddetta sharing economy, al lavoro condiviso, all’economia circolare, all’imprenditorialità sociale e di comunità, alle articolate espressioni del terzo settore ma anche allo smart working, che ridisegna il rapporto tra lavoro e tempo libero. Davvero nel futuro la realizzazione del guadagno monetario sarà sempre più affiancata dall’esigenza di soddisfare altri bisogni più a dimensione umana, in linea con la missione congenita della cooperazione?

L’impatto che sta avendo la transizione ecologica lo conferma. È in corso non solo una rivoluzione ideologica dei modelli di sviluppo mirata alla salvaguardia del pianeta e alla nostra salvaguardia, ma cresce la consapevolezza che il superamento di quello che Joseph Stiglitz ha chiamato fondamentalismo di mercato, cui aggiungerei la crisi dell’assistenzialismo pubblico, apporti persino benefici economici e soprattutto sociali. Penso, per esempio, ai partenariati tra pubblico e privato del terzo settore, nuova frontiera dell’economia di prossimità. Se bene organizzati, questi progetti coniugano benefici economici e sociali. Dal momento che lo scopo delle cooperative è garantire servizi o lavoro ai soci, si tende a mantenere elevato il livello di attività anche a discapito dei margini di profitto. Le ricerche di Marjorie Moore lo confermano.

Altro punto di forza della cooperazione è la sua offerta variegata, capace di rispondere alle molteplici esigenze dei territori, come quelle del nuovo mercato dei servizi. Se è maggioritario, in termini numerici, il segmento delle cooperative di produzione e lavoro (il 48,5% del totale) con lo scopo primario di garantire occasioni di lavoro per i soci a condizioni migliori rispetto a quelle di mercato, il segmento delle cooperative sociali (il 21,6% del totale) resta di primaria importanza per il welfare, a volte fondamentale. Ed è questo il caso dei servizi sociosanitari ed educativi o delle attività per l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

Le cooperative agricole, vieppiù caratterizzate da ordinamenti produttivi multifunzionali, includono realtà differenti. Dal conferimento di prodotti agricoli e dell’allevamento (ad esempio cantine, oleifici e caseifici sociali) ai consorzi agrari e al lavoro agricolo, rappresentando l’8,5% del totale. Ancora: quelle edili e di abitazione con circa il 7% del totale, strategiche per la riqualificazione delle nostre periferie; le cooperative di trasporto con il 2% del totale (acquisto collettivo di carburante, radiotaxi, riparazioni, ecc.), sempre più vincolate a criteri di sostenibilità ambientale; le cooperative del commercio (dettaglianti e consumo) e quelle della pesca intorno all’1% ciascuna. Infine, vanno ricordati i consorzi, come quelli agrari ma anche le banche di credito cooperativo con i servizi di prossimità per lo sviluppo del territorio e le società di mutuo soccorso, tipologia a sé stante, con una propria disciplina.

Stiamo parlando, quindi, di un mondo rilevante anche dal punto di vista numerico…

Confermo. Si tratta di un mondo rilevante anche nei numeri. Le cooperative iscritte all’albo introdotto dall’art. 15 del Decreto Legislativo n. 220/2002 sono 109mila, quasi tutte a mutualità prevalente. Oltre il 60% è situato in sole cinque regioni: Sicilia (14,3%), Lazio (14,1%), Lombardia (11,9%), Campania (11,3%) e Puglia (10,4%). Il Mezzogiorno, con quasi il 50%, supera questa volta nettamente il Nord.

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