di Virna Bottarelli |
Se cercate un esempio che metta in discussione il luogo comune sui giovani con poca voglia di impegnarsi, quello di Greta Galli è perfetto.
“Sono in un periodo della mia vita in cui non ho un minuto libero”, esordisce la ventunenne di Fagnano Olona (VA). Grazie ai suoi tutorial su argomenti tecnologici che spaziano dalla stampa 3D all’Intelligenza Artificiale, si è infatti ritagliata negli ultimi anni uno spazio di celebrità sul web, e non solo, tra gli addetti ai lavori e gli appassionati di informatica e robotica. E il mondo del business non ha tardato ad accorgersi di lei. Oggi Greta Galli collabora con nomi di rilievo nel settore dell’elettronica e dell’automazione e partecipa con i suoi speech a convention ed eventi.
Ascoltando la sua esperienza, è il caso di dire che, un mattoncino alla volta, Greta Galli si è costruita la propria strada e la sta percorrendo con energia e determinazione. Caratteristiche di cui, generalizzando in modo fin troppo banale, si pensa siano privi i ragazzi della sua generazione.
Sei diventata un personaggio nell’ambito della divulgazione Tech. Come è iniziato il tutto?
Da bambina adoravo giocare con le costruzioni Lego ed esplorare insieme al nonno i concetti della meccanica. A 11 anni i miei genitori mi regalarono Lego Mindstorms e mi si aprì un mondo: con questi mattoncini robotici potevo sperimentare, assemblando e programmando dei piccoli robot dalle funzioni più disparate. Nell’estate del 2018, avevo 15 anni, ho creato, sempre con i mattoncini, una mano artificiale, una sorta di protesi. Mi ero chiesta, infatti, come mai le protesi fossero così costose e se si potesse trovare un modo alternativo per costruirne. La mano robotica, che ho chiamato Cyborgr3, ha riscosso grande interesse scatenando un vero e proprio boom mediatico, e ho iniziato a girare il Nord Italia partecipando a vari eventi di creator.
Poi è arrivata la pandemia, che ha cambiato anche i tuoi piani…
Sì, dal partecipare ad almeno a un paio di eventi al mese, mi sono ritrovata, come tutti, chiusa in casa. Frequentavo il quarto anno di Informatica e Telecomunicazioni all’Istituto Tecnico Geymonat di Tradate e ho pensato di proporre i miei esperimenti sui social, in particolare su TikTok, perché era il canale più in voga tra i ragazzi. Ho postato un primo video in cui cercavo di far funzionare dei robot creati da me, con risultati anche piuttosto buffi, e sia questo che altri video hanno avuto, forse proprio perché un po’ sciocchi, una grande visibilità. Da lì gli utenti hanno iniziato a chiedermi di fare dei tutorial, così ho aperto un canale YouTube, dove potevo caricare video un po’ più lunghi, ed è iniziato il mio lavoro sui social.
Hai citato una parola chiave: lavoro. Quale significato attribuisci a questo termine?
Indubbiamente il lavoro è, anche per me che appartengo alla Generazione Z, qualcosa che ti consente di sostenerti economicamente e, quindi, vivere. Da questo punto di vista non ci si può sottrarre al lavoro. Ma è vero che si può fare un lavoro per passione: nel mio caso, il lavoro da insegnante è quello che faccio per passione e che mi viene retribuito. Quello che faccio sui social lo considero un lavoro perché richiede impegno e tempo, ma non ne traggo guadagno economico: non mi dà da vivere. Faccio un esempio: recensisco molte stampanti 3D gratuitamente e poi le dono alle scuole, proprio perché credo nella divulgazione.
Qual è, quindi, la tua professione oggi?
Studio e lavoro. Sono iscritta al terzo anno di Informatica all’Università Bicocca di Milano, ma da cinque anni svolgo la mia attività di creazione e pubblicazione di contenuti video sui social. Collaboro poi con una casa editrice, per cui scrivo articoli e realizzo video-pillole sui temi dell’automazione e della robotica, e insegno. Da tre anni tengo un corso extracurricolare per le ragazze delle scuole medie, nell’ambito del progetto “Girls code it better”. Un’iniziativa nazionale che si propone di incentivare le ragazze a studiare le materie Stem, e da due anni insegno anche in una scuola media paritaria.
Confermi che nelle scuole superiori c’è una carenza di insegnanti nelle materie tecnico scientifiche?
Per le scuole, trovare insegnanti per le discipline tecniche è diventato molto difficile. C’è una ragione: mentre chi fa studi umanistici ha magari l’aspirazione di fare l’insegnante, chi si laurea in ingegneria o simili non ha solitamente l’insegnamento come obiettivo di carriera. In alcuni casi, quindi, le scuole sono libere di reclutare, soprattutto per quelle sostituzioni considerate meno complicate, anche giovani alla prima esperienza.
Da più parti si dice che il mondo del lavoro è in transizione e che il cambiamento è continuo. Dal tuo punto di vista, che cosa è cambiato rispetto, ad esempio, alla generazione dei tuoi genitori?
Intanto sono cambiati i requisiti per entrare nel mondo del lavoro. Il diploma di laurea triennale oggi è l’equivalente del diploma di scuola superiore degli anni addietro. Quando la cosiddetta “maturità” dava l’opportunità di ottenere un buon impiego in azienda, mentre la licenza di terza media consentiva comunque di trovare un’occupazione, svolgendo magari mansioni meno qualificate. Tutto normale, ovviamente: il progresso tecnologico ha toccato tutte le sfere lavorative e oggi è richiesta una preparazione maggiore e più specifica per molti profili professionali. Questo per noi più giovani comporta la necessità di concludere le scuole superiori e, per poter aspirare a qualcosa di più, proseguire almeno con una laurea triennale.
Si studia di più, giustamente, per poter cogliere opportunità migliori. Ma queste opportunità ci sono?
Purtroppo, noto che spesso le offerte di lavoro indirizzate ai più giovani non riconoscono retribuzioni adeguate all’impegno richiesto. Lavori a tempo pieno retribuiti per poche centinaia di euro al mese non sono accettabili e non è una questione di “non avere voglia di lavorare”. Semplicemente, sono proposte non sostenibili a livello economico. Noi giovani ci siamo, ma le aziende non mi sembra ci vengano molto incontro da questo punto di vista.
Al di là di questo, che rapporto hai con il mondo delle imprese?
Vengo da una famiglia di operai: per i miei genitori, così come per i miei nonni, l’azienda è sempre stata vista come il luogo dove si presta la propria manodopera, non abbiamo mai avuto una mentalità imprenditoriale. Sono stata la prima, in casa, a uscire da quest’ottica e ad avere con il mondo delle imprese un rapporto diverso. Le aziende mi chiamano per pubblicizzare progetti o prodotti, mi chiedono consulenze, mi coinvolgono in loro attività interne o mi chiedono di tenere corsi di formazione.
Percepisci le loro difficoltà nel reperire profili tecnici?
Oggettivamente il problema esiste, ma va analizzato da diversi punti di vista. Il primo: molte aziende richiedono per questi profili persone neodiplomate o neolaureate con esperienza, ma questo binomio è pressoché impossibile da realizzare. Solo in casi particolari, come il mio ad esempio, si studia e si lavora. Più frequentemente, l’esperienza la si inizia a fare dopo gli studi. Il secondo aspetto da esaminare riguarda la scuola: anche in base alla mia esperienza di insegnante alle scuole medie noto che l’orientamento incentiva molto di più i licei rispetto agli istituti tecnici. Ed è un peccato: il liceo ha chiaramente un proprio valore, ma il mondo in espansione oggi è quello delle discipline tecniche. Un buon istituto tecnico può formare adeguatamente i ragazzi in quegli ambiti specifici nei quali c’è molta richiesta di lavoratori.
C’è poi un ultimo fattore da considerare: i ragazzi che si sono diplomati negli ultimi anni hanno frequentato la scuola superiore nel periodo del Covid e della didattica a distanza. La quale non ha offerto loro la possibilità di seguire le normali attività di laboratorio in presenza. Di conseguenza, hanno forse qualche lacuna nella preparazione. Tuttavia, credo che questo sia un problema temporaneo, considerato che si è ormai tornati alla normalità e i ragazzi possono frequentare la scuola in presenza.
Qual è invece la tua sensazione rispetto al gender gap nelle discipline Stem?
Qualcosa si sta muovendo, il progetto Girls code it better ne è un esempio, ma è un primo passo, perché il gap tra ragazzi e ragazze negli istituti tecnici è ancora molto ampio e l’ho sperimentato di persona, sia come studentessa che come insegnante. Attualmente nelle due classi in cui insegno c’è solo una ragazza. È anche vero che in università e nel mondo del lavoro questa differenza si fa meno evidente e che la mentalità sta un po’ cambiando. Certo, bisognerebbe aprire una parentesi su quanto ci sia un’attenzione concreta nel coinvolgere e valorizzare sempre più donne negli ambiti tecnici e quanto incidano invece gli incentivi alle aziende per assumere donne.
Infine, la domanda delle domande. Cosa vuole fare Greta Galli da grande? Pensi di poter realizzare i tuoi progetti in Italia?
Il mio obiettivo è fare l’insegnante, lavorare nel mondo della scuola e continuare a usare i social in modo complementare a quella che vorrei diventasse la mia professione principale. Insegnare mi consente poi di continuare a sperimentare e coltivare la mia passione per la progettazione. Stando a contatto con gli studenti, a volte emergono idee e progetti stimolanti, con i quali posso dare spazio alla mia creatività. E non credo di lasciare l’Italia: abbiamo molti problemi nel nostro Paese, è vero, ma questo dovrebbe essere uno stimolo in più per rimanere e cercare di migliorare le cose.
Chi è Greta GalliClasse 2002, Greta Galli vive a Fagnano Olona nei dintorni di Varese. Diplomata all’IIS Geymonat di Tradate e appassionata di informatica e robotica, nel 2020, durante il primo lockdown, ha iniziato a parlare della sua passione con video su TikTok, per poi sbarcare anche su YouTube con dei tutorial e aprire un account Instagram, dove è seguita da decine di migliaia di persone. Oggi frequenta la Facoltà Informatica dell’Università Milano Bicocca, collabora con aziende e case editrici a progetti di divulgazione in ambito Stem e insegna in scuole medie e istituti superiori. |