Un gioco da ragazze

Il caso di Bologna Game Farm, un progetto per lo sviluppo del settore videoludico promosso da Regione Emilia-Romagna e Comune di Bologna, ben rappresenta l’evoluzione di un comparto che, tradizionalmente pensato “al maschile”, si sta arricchendo di figure femminili a vari livelli e per diversi profili professionali

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di Virna Bottarelli |

Bologna Game Farm è un progetto per lo sviluppo del settore videoludico promosso da Regione Emilia-Romagna e Comune di Bologna.

L’iniziativa è coordinata dal Comune di Bologna e realizzata con Art-Er, acceleratore dedicato a startup innovative e hub dell’ecosistema regionale, a supporto della creazione d’impresa nell’ambito delle industrie culturali e creative. All’iniziativa, che nel 2023 ha visto la sua seconda edizione, hanno collaborato IncrediBol! e Iidea (Italian Interactive Digital Entertainment Association), che ha dato il proprio supporto tecnico. Anche quest’anno sono stati selezionati quattro studi di sviluppo di videogiochi dell’Emilia-Romagna, premiati con un contributo di 30mila euro e un percorso di accelerazione presso le Serre di Art-Er.

Perché ne parliamo su Forme? Perché il gaming è un settore che sta vedendo aumentare la componente professionale femminile. Il caso di Bologna Game Farm spicca proprio per questo: sono diverse le donne coinvolte nel progetto, a tutti i livelli. Ecco l’esperienza di alcune di loro:

  • Sara De Martini, Project Manager di Bologna Game Farm;
  • Thalita Malagò, Direttrice Generale di Iidea;
  • Giulia Scatasta, Game Producer e UI/UX Designer di Studio Pizza;
  • Melania Ugolini, Legale rappresentante, Direttore artistico e Game designer di Kodama Studio.

Sara De Martini, Bologna Game FarmSara De Martini

Laureata in Scienze Politiche all’università degli Studi di Milano e con un master in Organizzazione e gestione delle risorse umane, Sara De Martini si trasferisce a Bologna nel 2002, quando inizia a lavorare nel Settore Attività Produttive del Comune. Dal 2015 fa parte dello staff di IncrediBol!, il progetto da cui è nata, nel 2021, Bologna Game Farm.

“Nel 2016 è nata l’esigenza da parte del Settore Cultura del Comune di Bologna e della Regione di conoscere in modo più approfondito questo segmento delle industrie culturali, che stava avendo un notevole sviluppo, con un lavoro di mappatura e creazione di network che ci ha permesso di capire le reali dimensioni e struttura di questo specifico settore nella nostra regione”, spiega. “I risultati ottenuti ci hanno portati nel 2021 a lanciare il progetto pilota Bologna Game Farm, la prima azione pubblica di sostegno al settore degli sviluppatori di videogiochi della nostra Regione, di cui mi sono occupata direttamente”.

Come funziona Bologna Game Farm?

Attraverso un bando pubblico annuale, Bologna Game Farm seleziona quattro team di sviluppo che devono avere una sede operativa in Emilia-Romagna ed essere già costituiti come liberi professionisti o imprese. I progetti vengono valutati da una commissione e si è scelto di inserire un criterio di premialità per la ‘componente femminile’. I quattro vincitori vengono premiati con un contributo in denaro a fondo perduto fino a 30.000 euro ciascuno e con un percorso di accelerazione della durata di un anno, in collaborazione con il nostro partner tecnico Iidea. Ad oggi abbiamo selezionato otto team. Due team della prima edizione hanno già trovato un publisher e uno ha scelto la strada dell’auto pubblicazione.

È stato impegnativo ritagliarsi uno spazio in un settore tradizionalmente “maschile” o quello del gaming come “lavoro per uomini” è un falso mito?

Durante il primo anno di percorso di accelerazione di Bologna Game Farm ero l’unica “quota rosa” presente. I quattro team vincitori, i mentor provenienti da aziende sparse su territorio nazionale, il coordinatore e i due tutor del percorso di accelerazioni appartenevano tutti all’universo maschile. Il secondo anno è andata meglio, sono arrivate Melania di Kodama Studio e Giulia di Studio Pizza, arricchendo Bologna Game Farm dello sguardo e della creatività femminili. Credo che questo gap nasca dalle scelte di percorso scolastico superiore e, ancor più, universitario. Nei licei scientifici con indirizzo scienze applicate il numero di ragazze è nettamente inferiore a quello dei maschi. Differenza che si acuisce nelle facoltà universitarie di tipo tecnico.

Lo sviluppo di videogiochi ha una parte tecnologica fortissima e, di conseguenza, nei team di sviluppo la quasi totalità dei ruoli di programmatore e ruoli tecnici in generale è ricoperta da maschi. Nei fatti, non è stato comunque difficile ritagliare il mio spazio e vedere riconosciuto il mio ruolo. Anzi, ho trovato grande disponibilità e accoglienza da parte di tutti nell’aiutarmi a entrare nelle meccaniche e parti prettamente operative che compongono il processo di creazione di un videogioco. E questa stessa disponibilità e predisposizione le ho trovate in generale in tutte le persone che lavorano nel settore dei videogiochi.

L’unica difficoltà che ho incontrato è stata comprendere il linguaggio tecnico. In più di un’occasione mi sono trovata davanti a una nuvola di parole fatta di acronimi e termini tecnici in alcun modo intuibili senza sottotitoli. Oggi, però, posso dire essere ben integrata in questo affascinante e complesso mondo: capisco anche i giochi di parole nerd che richiedono un livello di comprensione professionale!

Thalita MalagoThalita Malagò

Avvocatessa specializzata in diritto della proprietà intellettuale e dell’innovazione, Thalita Malagò è entrata in Aesvi, quella che oggi è Iidea (Italian Interactive Digital Entertainment Association), nel 2005 come Segretario Generale. Dal 2018 ricopre il ruolo di Direttrice Generale e ne coordina il programma e le attività. Per lei le porte del settore gaming si sono aperte negli anni in cui era in forze presso Microsoft Italia. “Lavoravo nel dipartimento affari legali e istituzionali e, tra le diverse mansioni affidatemi, c’era anche la consulenza legale alla divisione che proprio nel 2002 stava curando il lancio di Xbox in Italia”.

Come è stato l’impatto con l’universo dei videogiochi? Per quanto riguarda l’equilibrio di genere, le cose stanno cambiando?

Mi si è aperto un mondo, lo ricordo come uno dei periodi più interessanti e intensi del mio percorso professionale. Questa esperienza è stata fondamentale per poter svolgere al meglio l’attività di promozione e di rappresentanza delle istanze del settore dei videogiochi in ambito politico istituzionale nei primi anni di lavoro in associazione. È un dato di fatto che nel settore dei videogiochi ci sia una grande presenza di forza lavoro maschile, ma rispetto alla mia esperienza personale non posso dire di aver avuto delle difficoltà in quanto donna.

Nel corso degli anni sono stata sempre valutata per i risultati raggiunti, mai per il mio genere, e mi sono stati affidati ruoli di responsabilità crescente. Paradossalmente, è stato più sfidante, a volte, essere presi sul serio all’esterno del settore. La presenza di donne nel settore, tuttavia, sta costantemente aumentando nel corso degli anni e vediamo, in particolare, sempre più professioniste anche in ruoli di responsabilità.

Questo può essere un effetto positivo della maggiore attenzione all’inclusività e alla parità di genere all’interno del settore a livello internazionale. Sono numerose e importanti le iniziative in tutto il mondo su questi temi. Un anno fa, ad esempio, Iidea ha lanciato in Italia la localizzazione di una guida di Women in Games per aiutare le aziende a “costruire un campo da gioco equo”. Favorendo al proprio interno lo sviluppo di ambienti capaci di valorizzare la diversità e di promuoverla.

Di che cosa si occupa Iidea?

Iidea è l’associazione che rappresenta l’industria dei videogiochi in Italia. È stata fondata nei primi anni 2000 e oggi rappresenta oltre 100 aziende di videogiochi, tra cui titolari di piattaforme, editori, sviluppatori di videogiochi e operatori esports. Iidea opera in diversi campi:

  • realizza ricerche sul settore dei videogiochi in Italia;
  • cura le relazioni con le istituzioni pubbliche a livello nazionale, regionale e locale;
  • realizza iniziative per creare un ecosistema sostenibile per lo sviluppo del business, tra cui, ad esempio l’evento di riferimento per i produttori di videogiochi italiani First Playable;
  • supporta l’internazionalizzazione dell’industria videoludica locale partecipando alle più importanti manifestazioni internazionali;
  • promuove l’uso responsabile dei videogiochi attraverso il suo portale per le famiglie e gli educatori Tuttosuivideogiochi.it.

A livello europeo, Iidea è membro di Video Games Europe, federazione che rappresenta l’industria dei videogiochi in Europa, e di Egdf (European Game Developers Federation).

Giulia ScatastaGiulia Scatasta

“Approdare nel settore del gaming è stato per me un modo di riavvicinarmi alle mie passioni sfruttando appieno il mio percorso di formazione, da cui mi ero in parte distaccata per mancanza di prospettive occupazionali”, racconta Giulia Scatasta, una laurea magistrale in Cinema Televisione e Produzione Multimediale e un diploma di Doppiaggio presso l’Accademia Nazionale del Cinema di Bologna.

“Negli ultimi anni ho lavorato per il Biografilm Festival come Assistente all’ufficio Contenuti Editoriali, per Ono Arte come graphic designer e come Supervisor e Invigilator per diversi centri Cambridge English Exams di Bologna. Durante il lockdown del 2020 io e il mio compagno abbiamo realizzato Rave Card Game, un gioco di carte a tema feste, tuttora in commercio. E mi sono occupata delle grafiche, della realizzazione del sito e della gestione delle pagine social. Lo scorso anno abbiamo iniziato a lavorare alla demo di Monster Chef e siamo stati selezionati come uno dei team vincitori della Bologna Game Farm”.

Ci parli di Studio Pizza e del tuo ruolo al suo interno?

Studio Pizza è uno studio di sviluppo videogiochi B2C. Siamo sei sviluppatori, uniti dalla convinzione che i videogiochi indie siano il futuro, che l’Italia abbia molto da dimostrare e la pizza sia buonissima. In questo momento stiamo lavorando a Monster Chef, il nostro primo videogioco. Facendo parte di un piccolo team svolgo tre ruoli principali. Come Game Producer mi occupo di supervisionare lo sviluppo di Monster Chef, di guidare il team al raggiungimento di specifici obiettivi settimanali e mensili e di gestire le risorse e il budget, oltre che di essere il punto di contatto con gli editori.

A livello di UI Designer progetto gli elementi visivi con cui il giocatore interagisce, come i menu, i pulsanti, le barre delle informazioni e i punti di riferimento visivi. Obiettivo, creare un’interfaccia utente intuitiva e accattivante che permetta ai giocatori di avere la migliore esperienza di gioco possibile. Infine, come UX Designer, progetto insieme al Game Designer i flussi di gioco e l’ottimizzazione delle meccaniche, in modo che risultino intuitive e coinvolgenti.

Pensi che ci siano caratteristiche di questa professione più in sintonia con l’universo femminile?

Non credo che i ruoli che svolgo all’interno del team possano essere intrinsecamente associati a un genere specifico. Possono essere svolti con successo da individui di qualsiasi genere. Tuttavia, ci sono alcune caratteristiche e competenze che possono essere in sintonia con il mondo femminile, così come con il mondo maschile. Alcune di queste caratteristiche possono includere l’empatia, la capacità di collaborare e comunicare in modo efficace, una predisposizione all’organizzazione e alla pianificazione, l’espressione della propria creatività e una propensione al pensiero critico.

Tuttavia, caratteristiche e competenze non limitabili a un genere specifico: sia uomini sia donne possono eccellere in questo ambito in base alle loro abilità ed esperienze personali.  La diversità di prospettive e competenze è spesso vantaggiosa in un’industria creativa come quella dei videogiochi, perché contribuisce a stimolare l’innovazione e a creare esperienze di gioco più ricche.

Melania UgoliniMelania Ugolini

Anche per Melania Ugolini, laureata all’Accademia di Belle Arti di Urbino presentando un progetto sui videogiochi come strumento di promozione turistica di una città, il 2020 è stato un anno di svolta. “La pandemia mi ha costretto a casa e mi ha permesso di ricordarmi che cosa volessi fare veramente nella vita”, dice parlando della propria formazione accademica e della propria esperienza professionale.

“Sono approdata al settore del gaming da appassionata. Ho sempre accarezzato l’idea di creare un titolo tutto mio. Nel 2017 ho partecipato come pixel artist a un videogioco, senza però proseguire la collaborazione perché troppo impegnata con la mia professione di grafica. Nel 2018 ho conosciuto Daniele, che a breve diventerà il mio socio, e nel 2022 abbiamo deciso di partecipare alla Bologna Game Farm. Vincere quel bando è stato un passo importante per intraprendere ufficialmente la carriera di sviluppatori. Ricordo ancora l’emozione della chiamata ricevuta da Bologna per dirci che sì, avevamo vinto: indescrivibile!”.

Di che cosa si occupa Kodama Studio e qual è il tuo ruolo al suo interno?

La mia impresa è nata come agenzia grafica e di comunicazione. Il prossimo anno però apriremo ufficialmente la software house per videogiochi e app, ma non escludiamo di integrare anche la parte di comunicazione, che in questo settore si è rivelata una risorsa importante. In Kodama Studio sono Game Designer e direttrice artistica.

Il Game Designer determina le meccaniche di personaggi e ambienti, creando un ecosistema che renda un videogioco prima di tutto un gioco. Come direttrice creativa, invece, devo assicurarmi che l’arte del prodotto possa immergere il giocatore nel giusto mood, fornendogli quindi un’esperienza a 360°.

Uomini e donne nel gaming: ha ancora senso, oggi, fare questa distinzione?

Penso che questo settore un tempo sia stato soprattutto maschile, ma perché in passato la distinzione di “ruoli di genere” era indubbiamente più forte. Ed eravamo in un contesto culturale divisivo, che oggi stiamo fortunatamente smantellando pezzo per pezzo. Il lavoro è lavoro, ed è aperto a tutte e tutti. La produzione videoludica non è esente da questo, quindi, ad oggi, non lo definirei più un “lavoro per uomini”.

L’ambiente che si è formato nel mio team, ma che posso respirare un po’ in generale in questo tipo di industria, mi porta a valutare e apprezzare i collaboratori a prescindere dal loro genere. Credo che noi donne possiamo fare videogiochi e specializzarci in arte così come in programmazione. Purché seguiamo la nostra realizzazione personale: è lì il nostro vero potenziale, nella soddisfazione interiore che ognuna di noi desidera raggiungere. E possiamo esprimerci al meglio portando il nostro punto di vista, la nostra storia personale, che può essere raccontata nei videogiochi fornendo spunti di riflessione che aiutino a creare storie originali, personaggi più profondi, situazioni mai considerate prima d’ora.

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