“Nel 2022, il 27% dei lavoratori europei ha sofferto di stress, depressione e ansia. Secondo l’International Labour Organization, per queste patologie si perdono 12 miliardi di giornate di lavoro all’anno, per un valore di 1.000 miliardi di dollari. Per questo è essenziale una legislazione europea sulla salute mentale sul lavoro, che riconosca le patologie mentali come malattie professionali, anche per effetto dell’uso pervasivo dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi, che di fatto rappresentano oggi i nuovi datori di lavoro e che, in modo opaco e arbitrario, stabiliscono ogni aspetto dell’attività lavorativa, dall’assunzione al licenziamento”.
Questo recente intervento al Parlamento Europeo dell’onorevole Daniela Rondinelli ben sintetizza il concetto secondo il quale alla sicurezza dei lavoratori contribuisce in modo determinante anche la tutela della loro salute mentale. Il tema sta assumendo sempre più importanza sia a livello istituzionale, come conferma anche la comunicazione adottata lo scorso giugno dalla Commissione europea proprio su un “approccio globale alla salute mentale”, sia nel mondo delle imprese, che in un’ottica di sostenibilità globale non possono tralasciare il benessere dei propri lavoratori.
Salute mentale: qual è la situazione in Italia?
Da GoodHabitz, arrivano dati su cui riflettere: un recente studio condotto da questa piattaforma internazionale per la formazione aziendale rivela che il 70% della forza lavoro in Italia è alle prese con stress e burnout. L’indagine è stata condotta con l’agenzia Markteffect e ha preso in analisi oltre 24mila dipendenti a livello globale. Tra gli intervistati in Italia, una persona su due ha scelto di affrontare le proprie difficoltà in modo isolato, senza chiedere supporto ai propri manager di riferimento, perché non si sente a proprio agio nel discutere di stress, ansia, attacchi di panico e altri disturbi all’interno dell’azienda.
Parliamo quindi di un malessere “silenzioso”, che però non va sottovalutato e che inizia a essere preso in considerazione anche dalla giurisprudenza. Una sentenza della Corte di Cassazione dell’ottobre 2022 (Ordinanza n. 29611) ha infatti stabilito che sono indennizzabili da parte dell’Inail anche le malattie psichiche, se la loro natura è riconducibile al lavoro o all’organizzazione del lavoro e alle modalità di svolgimento. In sostanza, per l’indennizzo deve essere considerato anche il “rischio specifico improprio”. Ossia quello “non strettamente legato nell’atto materiale della prestazione lavorativa, ma collegato con la prestazione stessa”. Perché “il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica”.
Una questione di cultura
Le azioni introdotte dalle istituzioni e dagli organismi atti a controllare che le norme sulla sicurezza siano rispettate sono diverse, quindi, ma che cosa serve, ancora, per fare in modo che lavoratrici e lavoratori operino nella completa sicurezza e salvaguardia della propria salute? Se ne è parlato molto in occasione di Ambiente Lavoro, evento che si è tenuto a Bologna-Fiere dal 10 al 12 ottobre e che ha registrato oltre 7mila visitatori.
Dai 300 convegni dedicati a sicurezza, prevenzione, salute e malattie professionali alla luce delle trasformazioni che stanno con rapidità cambiando il mondo del lavoro, è emerso un elemento comune. Nel nostro Paese manca una vera cultura della sicurezza. Ci sono norme cogenti che, ancora, troppo spesso vengono ignorate. Il messaggio su cui occorre insistere è rivolto alle sia alle imprese sia ai lavoratori. Le prime devono assimilare il concetto secondo cui il rispetto delle norme a tutela della vita e della salute delle lavoratrici e dei lavoratori non è un ostacolo alla produttività aziendale, anzi, la favorisce e sostiene. I secondi devono comprendere che, oltre a essere diritti fondamentali, la salute e la sicurezza richiedono consapevolezza e responsabilità.
Come spiega Giorgio Mottini, fondatore di Eukinetica: “Per noi il concetto di salute e sicurezza in azienda è un diritto del lavoratore, ma è anche una sua responsabilità, nel senso che il lavoratore deve essere consapevole del proprio corpo e della cura di sé. Fare cultura sulla sicurezza, quindi, significa fare formazione in modo che il benessere del lavoratore diventi una priorità, per le imprese e per il lavoratore stesso”.
Eukitenica si occupa da dieci anni di formazione in questo campo e conferma che oggi c’è sicuramente più interesse nei confronti di questi temi, anche da parte degli stessi lavoratori. “Quando fondai Eukinetica, portando le mie conoscenze in ambito motorio nel mondo della salute e sicurezza sul lavoro, mi resi conto che la formazione era generalmente limitata ai contenuti del D.Lgs. 81/08. Con il tempo sono emerse nuove esigenze e si è iniziato a fare una formazione che va oltre gli obblighi normativi e considera la salute del lavoratore nel senso più ampio del termine. Oggi approfondiamo aspetti come l’alimentazione o il movimento, tematiche che dieci anni fa erano contemplate da poche aziende lungimiranti e che oggi riscuotono invece l’interesse di molti”.
Siamo comunque agli inizi della diffusione di una piena consapevolezza in tema di salute e sicurezza. “Noi stessi come Eukinetica abbiamo un payoff che recita ‘Star bene lavorando’, ma sappiamo che questo concetto non è ancora pienamente realizzato nella realtà. La formazione, comunque, resta un tassello fondamentale nel percorso di costruzione di una cultura della sicurezza”, dice ancora Mottini. Evidenziando anche che, per un’azienda, impegnarsi a migliorare, con la formazione, la consapevolezza dei lavoratori sul tema della sicurezza significa dare valore a quegli stessi lavoratori e alla comunità.