Contrastare la povertà educativa, possibili soluzioni

La povertà educativa in Italia costituisce un problema radicato e da risolvere. Due sono le possibili soluzioni: la strategia prevista dagli investimenti del Pnrr e l’Assegno di Inclusione

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Povertà educativa in Italia

di Romano Benini |

La povertà educativa è un rischio che un paese come l’Italia, che ha la necessità di recuperare in termini di accesso alle conoscenze e di formazione di competenze adeguate a una economia che deve crescere in innovazione e sostenibilità, non può permettersi.

Per povertà educativa si intende “la privazione da parte dei bambini e degli adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”. È evidente che una nazione che ha un livello di povertà educativa medio superiore al 10%, che in alcune regioni arriva a superare il 20%, si può trovare in forti difficoltà nell’affrontare questa importante fase di transizione economica e sociale.

Questo accade per alcuni fenomeni oggettivi, che diventano pericolosi se sono connessi anche alla presenza di condizioni di povertà educativa: il calo demografico; la presenza di una quota significativa di giovani che non studiano e non lavorano; la diffusione di condizioni di povertà in vaste aree del Paese, in particolare il Mezzogiorno e le aree interne; le difficoltà nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Povertà educativa: un fenomeno in crescita

Questa situazione, insieme all’aumento dei nuclei famigliari in condizione di povertà assoluta, costituisce un fenomeno che negli ultimi dieci anni è cresciuto anche in Italia. E che determina forti difficoltà nel promuovere percorsi di inclusione attiva e di qualificazione professionale destinati a minori e adolescenti il cui inserimento al lavoro è importante. Non solo per contrastare l’esclusione, ma anche per rispondere alla domanda di competenze professionali di cui le imprese italiane hanno sempre più bisogno.

Si tratta, inoltre, di riuscire ad attuare quanto previsto dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che afferma: “Gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni fanciullo a un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale (…) riconoscono il diritto del fanciullo all’educazione, e in particolare, al fine di garantire l’esercizio di tale diritto in misura sempre maggiore e in base all’uguaglianza delle possibilità”.

Riavviare verso la crescita e lo sviluppo una nazione come l’Italia che è in forte calo demografico significa quindi considerare ogni investimento utile per il contrasto alla povertà educativa come un investimento necessario sia per lo sviluppo sociale sia per la crescita economica. La necessità di far ripartire l’ascensore sociale è quanto mai attuale: in in tutto l’Occidente, da alcuni decenni, la mobilità sociale si è rallentata. Anche il destino della maggior parte degli italiani dipende sempre di più da luogo, quartiere e famiglia in cui si è nati. E da contesto di amicizie, scolastico e formativo in cui si è cresciuti.

Il calo demografico è reale

I dati da cui partire per questa analisi sono evidenti:

  • in Italia circa un sesto della popolazione, quasi 10 milioni di persone, ha meno di 18 anni;
  • nel confronto con gli altri paesi dell’Unione Europea, l’Italia è il secondo paese per calo delle nascite e l’ultimo per tasso di natalità;
  • nel 2022 sono nati 7 bambini ogni 1.000 residenti (mentre abbiamo avuto 12 decessi ogni 1000 residenti), contro gli 11,3 di Francia e Svezia, gli 11 del Regno Unito, i 9 della Germania;
  • sempre nel 2022 i nuovi nati sono stati 394mila, 160mila in meno rispetto a dieci anni fa e mezzo milione in meno in confronto agli anni ‘70.

Il calo del numero di nati ha ragioni strutturali, ma un ruolo importante lo ha anche la fase di crisi iniziata dal 2008. Nel 2007 il 3,5% delle famiglie si trovava in povertà assoluta. Nel 2022 le famiglie in povertà assoluta sono salite all’8% del totale. Una condizione che riguarda ormai circa due milioni di famiglie.

Cresce la povertà assoluta

Una tendenza che riguarda soprattutto le famiglie con figli. Più minori ci sono in famiglia, più è probabile che questa si trovi in povertà assoluta. Tra le coppie senza figli, circa una su 20 (il 5%) vive in povertà. Una quota che sale al 10% tra le famiglie con un figlio minore, all’12% con due figli minori e addirittura al 20% tra le famiglie con tre o più figli minori. I minori in condizione di povertà assoluta sono circa 1,2 milioni, poco più del 13% dei minori italiani (ndr: dati Istat 2022).

La povertà è distribuita sul territorio in modo molto diseguale:

  • nel Mezzogiorno le famiglie con almeno un figlio minore in povertà sono il 14% del totale,
  • al Centro-Nord si attestano intorno al 9%.

Si tratta di una distinzione di massima, perché la situazione è molto diversa anche internamente a regioni e territori. Per valutare le caratteristiche delle situazioni di disagio che determinano le condizioni per la povertà educativa è opportuno considerare alcuni indicatori chiave. Per esempio, l’offerta di servizi per la prima infanzia; la presenza di servizi nelle scuole; l’abbandono scolastico e le esperienze educative oltre la scuola.

Le componenti da valutare

Servizi di prima infanzia

I servizi di prima infanzia sono una componente fondamentale per il sistema educativo. L’asilo nido ha una funzione in primo luogo educativa e favorisce la partecipazione al mercato del lavoro delle famiglie, soprattutto delle madri. L’obiettivo europeo è fissato a 33 posti nei servizi per la prima infanzia ogni 100 bambini residenti nella fascia tra 0 e 3 anni. Nonostante il pesante calo demografico, l’Italia non è ancora vicina a questo obiettivo: la media è di 27 posti in asili nido e servizi integrativi ogni 100 bambini minori di 3 anni.

Tuttavia, il dato pericoloso riguarda la forte disomogeneità nella presenza di questi servizi. Lazio, Valle d’Aosta, Umbria, Emilia-Romagna, Toscana e Sardegna superano infatti la soglia europea del 33 posti ogni 100 bambini. In Campania, Calabria e Sicilia l’offerta potenziale di posti nido non arriva al 10% dei bambini residenti tra gli 0 ed i 3 anni. Si tratta di un differenziale grave, che ritroviamo anche negli altri indicatori considerati. Questa differenza si aggiunge anche a un altro fenomeno: il dato medio della presenza di servizi per l’infanzia è decisamente più alto nelle grandi città e cala fortemente nei piccoli comuni e nelle aree interne. Contesti peraltro già colpiti da un grave fenomeno di spopolamento.

Servizi scolastici

Sono fondamentali per sostenere la mobilità sociale e favorire la presenza degli studenti nei corsi pomeridiani e per l’attività educativa a tempo pieno. In Italia, come segnala l’ultimo rapporto Open Polis-Istat sulla povertà educativa, la relazione tra i risultati degli alunni e la condizione economica, sociale e culturale della famiglia è ancora molto forte. In terza media, il 53,7% degli alunni che vengono dalle famiglie di fascia socioeconomico-culturale più bassa ottengono risultati insufficienti nei test di italiano, mentre tra quelli delle famiglie di fascia alta le insufficienze sono il 15,8%.

La qualità del servizio scolastico è fondamentale e per questo sono stati considerati due indicatori significativi, ossia la presenza di servizio mensa e palestra. Si tratta di servizi importanti non solo per gli alunni, ma anche per le loro famiglie. Ne esce un quadro di assoluta differenza territoriale, con alcune vere e proprie situazioni di emergenza. Se consideriamo i dati 2020, in Italia in media solo un edificio scolastico su quattro (26%) è dotato di mensa. Tra le regioni, spiccano i dati di quattro territori: Valle d’Aosta (69,4%), Toscana (63,3%), Friuli-Venezia Giulia (62,0%) e Piemonte (61,3%). In tutti gli altri casi, gli edifici scolastici con la mensa sono meno del 40%. Le regioni in fondo alla classifica sono Sicilia (8,5%) e Campania (10%). Emerge il dato delle province di Lucca, Prato e Aosta dove la percentuale di edifici scolastici dotati di mensa è attorno al 70%. Le province con meno mense nelle scuole sono Ragusa (1,2%), Napoli (3,2%), Catania (4,2%), Palermo (4,5%) e Trapani (4,8%).

Il differenziale tra i territori è grave. Mostra l’assoluta assenza di un livello nazionale minimo di riferimento per gli edifici scolastici statali. il fatto di avere o meno la mensa a scuola dipende molto dalla regione o persino dalla provincia in cui si risiede e dalla scuola che si frequenta. Una situazione del tutto analoga la incontriamo se si considera la presenza di scuole con palestra o piscina. In media, in Italia circa il 43% degli edifici scolastici statali ha una palestra o una piscina. La metà delle regioni supera questo dato. Il valore più alto si raggiunge in Friuli-Venezia Giulia (60%), seguito dal Piemonte (55%). Si avvicinano alla metà degli edifici con palestra e piscina Toscana (48%), Lazio (46%), Marche (46%) e Sardegna (43%). Le regioni con meno palestre sono Calabria (24%) e Campania (25%). Si passa dal 66% delle scuole della provincia di Pordenone al 22% delle scuole della provincia di Cosenza.

Povertà educativa: il tasso di abbandono scolastico in ItaliaAlfabetizzazione e abbandono

Questa diversità nelle condizioni strutturali per l’accesso a servizi educativi si ripercuote in modo diretto su due fenomeni. Il primo è il livello di alfabetizzazione in lettura, matematica e scienze, che tra gli studenti italiani resta molto diverso a seconda dei territori. Un ragazzo che frequenta un istituto scolastico in Italia ha un livello di apprendimento diverso in ragione sia del territorio sia della famiglia di provenienza. Il giovane quindicenne di famiglia disagiata calabrese ha circa due anni di ritardo nell’apprendimento rispetto a un giovane coetaneo di famiglia non disagiata che frequenti lo stesso tipo di scuola in Veneto.

Secondo fenomeno, conseguente, l’abbandono scolastico. l’Italia è il quarto stato Ue con il più alto tasso di abbandono scolastico, dopo Spagna, Malta e Romania. Negli ultimi 10 anni la quota di abbandoni nel nostro Paese, tuttavia, è progressivamente diminuita. Nel 2008 sfioravano il 20%, mentre oggi il dato è sceso intorno al 12,5%. L’obiettivo dato dall’Unione Europea e dal Pnrr è fissato nella soglia del 10%. L’intervento per contrastare l’abbandono scolastico si collega in modo stretto alle misure di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale, contesti che determinano l’abbandono scolastico. Il dato percentuale è peraltro in Italia sovrastimato dal fatto che vengono considerati nel novero dell’abbandono scolastico anche i ragazzi che hanno raggiunto l’obbligo scolastico ma che, avendo fatto dopo la scuola media solo un corso di qualifica regionale biennale, non sono allineati all’obbligo formativo a diciotto anni.

Tuttavia, il fenomeno resta grave, soprattutto per la sua consueta disomogeneità. I livelli più elevati di abbandono scolastico si rilevano soprattutto nelle maggiori regioni del Mezzogiorno. Sono sei le regioni che superano la media nazionale: si tratta di Sardegna (22%), Sicilia (21%), Calabria (20%), Campania (18%), Puglia (17%) e Valle d’Aosta (15%). Troviamo invece abbandoni al di sotto del 10% in Umbria, Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Secondo OpenPolis-Istat, vi sono anche differenze interne alle stesse regioni. In Liguria la quota di abbandoni precoci nella provincia di Imperia (22%) si contrappone a quella di La Spezia (5%). In Sardegna il dato del Sud Sardegna (25%) è di ben 3 volte superiore a quello di Oristano (8%).

Effetto familiarità

Se infine consideriamo quali componenti della povertà educativa le esperienze formative, educative e culturali oltre la scuola, gli elementi da considerare sono diversi. Emerge in modo evidente il dato della famiglia di origine. In Italia, il 10% delle famiglie non ha nemmeno un libro in casa. L’Istat ha considerato l’effetto familiarità sulla lettura: se i genitori non leggono, solo il 30,8% dei figli legge. Al contrario, la quota di bambini che legge sale al 68% se sia la madre che il padre sono lettori.

Se consideriamo il consumo culturale è opportuno valutare la presenza di musei. In Italia in media ci sono circa 5 musei ogni 10mila ragazze e ragazzi di età compresa tra 0 e 17 anni. Una cifra che può variare molto tra le aree del paese. Dal momento che il dato conteggia il numero di musei a prescindere dalla loro effettiva dimensione, il rapporto è spesso più alto nelle regioni più piccole. Spicca la presenza di musei nell’Italia centrale, mentre le 3 maggiori regioni del Mezzogiorno (Campania, Sicilia e Puglia) si trovano ampiamente al di sotto della media (meno di 3 musei ogni 10mila minori). Si tratta di un dato non decisivo, perché non valuta la grandezza e l’importanza dell’istituto culturale, ma solo la sua presenza e prossimità ai giovani ed alle loro famiglie, utile proprio per questo ai nostri fini.

È fondamentale anche la presenza di biblioteche pubbliche. In Italia sono circa 18mila. Rispetto ai 6,8 milioni di bambini e ragazzi di età compresa tra 6 e 17 anni, significa 2,6 strutture ogni 1.000 minori. Un dato che cambia da regione a regione. La diffusione maggiore si registra in Molise, Sardegna, Piemonte e Valle d’Aosta, dove ci sono più di 5 biblioteche ogni 1.000 minori. Quella più contenuta in Sicilia, Puglia e Campania (meno di 2 strutture ogni 1.000 minori).

Povertà educativa e differenze territoriali

Come abbiamo visto, i dati sulle condizioni che determinano o favoriscono la povertà educativa variano per contesto territoriale. Mostrando la persistenza in Italia di diversi problemi che riguardano gli elementi della coesione sociale ed economica. Il Mezzogiorno, le periferie delle grandi città e le aree interne e montane costituiscono i territori più a rischio. Di estremo interesse sono i dati di Roma. La capitale si estende su un’area tre volte più vasta di quella di Milano e mostra una pericolosa sovrapposizione. I quartieri più periferici sono al tempo stesso quelli più caratterizzati da disagio sociale e da minore scolarizzazione, ma anche quelli abitati dal maggior numero di adolescenti e di minori.

In una nazione in cui la classe media fa sempre meno figli e sono invece i ceti più in difficoltà a sostenere l’andamento demografico, appare evidente che il futuro del Paese dipende molto dal contrasto alla povertà educativa. Per questo motivo diventa importante capire e verificare quali sono le soluzioni in campo.

Intervento del Pnrr e investimenti concreti

La prima strategia di soluzione è quella prevista dal Pnrr. Si tratta di investimenti concreti e come tali misurabili rispetto all’impatto già in questi mesi. Sono tre gli investimenti strategici del Pnrr: asili nido, nuove scuole, lotta alla dispersione. Queste misure prevedono interventi per 7,3 miliardi euro.

Il bando per la realizzazione di nuovi asili nido prevede un investimento di circa 2,5 miliardi di euro, il 55% per comuni ed enti locali del Mezzogiorno. L’intervento per la costruzione e il rafforzamento degli asili nido è capillare sul territorio nazionale e riguarda in particolare i comuni in cui non si trovano servizi per l’infanzia. Tuttavia, le risorse sono state ridotte rispetto alla previsione iniziale, anche perché in alcune regioni meridionali ci sono state meno candidature rispetto a quanto previsto. Sia il fenomeno dello spopolamento in corso nei centri minori che il mantenimento del carico di cura presso il nucleo famigliare hanno reso la domanda di asili meno presente nelle aree con una economia più povera, determinando un circolo vizioso.

È prevista la costruzione di 410.000 mq di nuove scuole entro il 2026, con una riduzione dei consumi di energia del 50%.  Per il piano di sostituzione e costruzione delle scuole è stato stanziato più di 1 miliardo di euro. Il 42,4% delle risorse del piano è destinato alle regioni del Mezzogiorno, ma anche in questo caso gli enti locali di sette regioni sono comunque al di sotto dello stanziamento previsto. La mappa appare piuttosto disomogenea e non del tutto collegata al contesto degli abbandoni scolastici, ma anche in questo caso l’intervento resta di particolare significato.

Rispetto all’abbandono scolastico, l’obiettivo del Pnrr per il 2026 è stato fissato al 10%. Nel 2022 siamo al 12,5% di abbandoni precoci. L’Italia è quarta nella Ue per quota di giovani che hanno lasciato prima di una qualifica. Va ricordato come il 90% dei primi 20 territori con bassi apprendimenti in italiano in terza media si trova nel Mezzogiorno. Sono stati stanziati 1,5 miliardi di euro dal Pnrr per ridurre i divari educativi e dispersione. Si tratta in questo caso di un intervento distribuito in modo molto capillare e che riguarda la maggior parte dei presidi educativi e scolastici, soprattutto al Sud.

Assegno di inclusione e misure di inclusione attiva

La seconda strategia di intervento è costituita dalla riforma degli interventi contro la povertà e l’esclusione sociale, che ha portato alla definizione degli strumenti dell’Assegno di inclusione e del Supporto per la formazione e il lavoro. Le famiglie più numerose sono sottoposte a maggiori rischi di povertà e disagio e il nuovo Assegno di inclusione tutela le famiglie in condizione di povertà assoluta anche in ragione della maggiore presenza di figli minori. Gli interventi di inclusione attiva per i nuclei famigliari destinatari dell’Assegno di inclusione stabiliscono che il nucleo decada dal beneficio se un suo componente non frequenta il percorso di istruzione per adempiere all’obbligo.

Lo stesso obbligo è previsto per le persone beneficiarie del Supporto per la formazione e il lavoro. La cui concessione è subordinata all’adempimento del diritto-dovere di istruzione e formazione. Questa previsione riguarda i beneficiari maggiorenni e determina pertanto come conseguenza il recupero nei percorsi di istruzione e formazione degli adulti di persone che non avevano assolto all’obbligo previsto. Va inoltre considerata la funzione del fondo istituito dalla riforma, destinato al finanziamento di iniziative dei comuni, da attuare anche in collaborazione con enti pubblici e privati, finalizzate al potenziamento dei centri estivi, dei servizi socioeducativi territoriali e dei centri con funzione educativa e ricreativa che svolgono attività a favore dei minori.

Il collegamento dell’obbligo di assolvimento del diritto-dovere di istruzione e formazione all’accesso al beneficio per i componenti del nucleo famigliare nell’Assegno di inclusione e per i titolari del Supporto per la formazione e il lavoro, nonché la funzione di controllo sulla presenza nel nucleo di minori che svolgano il regolare percorso scolastico e il ruolo potenziale dei servizi socio educativi comunali finanziati dal nuovo fondo, insieme agli investimenti del Pnrr, costituiscono una azione di sistema importante contro la povertà educativa. Questo piano di intervento coinvolge la governance tra governo, regioni ed enti locali e nei prossimi mesi andrà verificata nella sua attuazione e nel suo impatto, che può essere decisivo sia per le conseguenze sociali che per quelle economiche.

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