Un percorso di crescita accidentato

Emergenze globali, ritardi e rigidità tutte italiane, disparità territoriali e gender gap. È la fotografia, non proprio rassicurante, del Rapporto Inapp 2023, che chiede un aggiornamento delle politiche del lavoro e della formazione con interventi strutturali.

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I dati del rapporto Inapp 2023 sulla formazione

di Maria Cecilia Chiappani | Lavoro, formazione e welfare: come sta andando? Già nel titolo, il Rapporto Inapp 2023 parla di un percorso di crescita accidentato.

L’Italia è quasi immobile, su diversi fronti, rispetto agli altri Paesi Ocse. Dal punto di vista dei salari lo scenario è altrettanto negativo. Tra il 1991 e il 2022, gli stipendi sono aumentati dell’1%, mentre nell’area Ocse sono cresciuti in media del 32,5%. Inoltre, la mancanza di un salario minimo o di una rivalutazione del ruolo dei Ccnl (con tutti i dibattiti del caso), porta diversi lavoratori a percepire una retribuzione insufficiente per arrivare a fine mese.

A questo si sommano i disequilibri di genere, lo scarso sostegno alla genitorialità, le discrepanze territoriali fra Nord e Sud. Disuguaglianze che incidono sul “valore” dell’impiego, sulla salute e sicurezza sul lavoro e, dunque, sulla qualità della vitadelle persone. Vediamo, in sintesi, cosa dice il Rapporto Inapp 2023 intitolato “Lavoro, formazione, welfare. Un percorso di crescita accidentato”.

Insoddisfazione, mismatch, ricambio generazionale

Il peculiare scenario di microimprese – e zone grigie – del tessuto produttivo italiano, si coniuga alla debolezza della contrattazione collettiva soprattutto nei contesti più piccoli, tra ambienti lavorativi difficili, disparità retributive e “contratti pirata”. Dal malcontento generale (in parte incentivato dal cambio di “mindset” post pandemia) e dalle retribuzioni basse, deriva l’aumento delle dimissioni volontarie, con percentuali fra le più alte in Europa. Le aziende hanno difficoltà a trovare e trattenere i talenti, ma le persone cercano condizioni di lavoro più vantaggiose. C’è chi opta per le dimissioni, chi esclude alcuni tipi di mansioni, chi chiede bilanciamento vita-lavoro e benefit. Ecco spiegati mismatch tra domanda e offerta di lavoro e perdita di Pil: un circolo vizioso, economico e sociale, che desta preoccupazione.

Per non parlare del baratro demografico. L’invecchiamento della popolazione comporta scarsa innovazione, approccio lento alla transizione digitale e, pertanto, minore sviluppo economico. Il problema si potrebbe risolvere incentivando la collaborazione tra senior e giovani. Ma questi ultimi, pur statisticamente considerati tra gli occupati, spesso lo sono in forme precarie e non adeguatamente retribuite. L’offerta lavorativa non consona alla mansione, di fatto, contribuisce alla crescita dei posti vacanti. Infine, l’Italia è ancora quel Paese dove il bonus mamma è destinato alle dipendenti a tempo indeterminato, in somministrazione o apprendistato. Escludendo lavoratrici autonome e con contratti a tempo determinato. Senza contare le limitazioni sul numero di figli dell’ultima Legge di Bilancio.

Ci ricolleghiamo così alla difficoltà di superare il gender gap e di sostenere l’imprenditorialità femminile, lavorando anche su fattori culturali quali la divisione dei compiti di accudimento nella famiglia. Non stupisce che, secondo il Rapporto Coop 2023, il 51% dei giovani tra i 20 e i 40 anni non desideri diventare genitore. Un ulteriore 28% lo vorrebbe, ma non lo ritiene realizzabile a causa di diversi problemi anche di natura economica.

Rapporto Inapp 2023: come rimettere al centro le persone

A fronte di tutto questo, l’Italia può mettere al centro le persone, ma deve scegliere di farlo. Secondo il presidente Sebastiano Fadda “Inapp è un ente pubblico di ricerca, non un decisore politico. Non può dunque fare molto rispetto alle fasi decisionali e attuative delle politiche pubbliche, ma può incidere nelle fasi che le precedono, offrendo un quadro chiaro dei segnali premonitori dei fenomeni da affrontare. Elaborando un quadro conoscitivo circa i problemi emergenti e una valutazione di carattere tecnico sulle variabili-obiettivo degli interventi. In più, la valutazione sia dell’efficacia sia dell’efficienza delle misure adottate rappresenta un contributo che l’istituto può offrire per la loro eventuale correzione. Se si considerano le dinamiche del mercato del lavoro, le sfide che si profilano, e che rendono accidentato il percorso di crescita, si affacciano con tale frequenza e rapidità da rendere particolarmente complesso l’impegno dei soggetti operanti in questo contesto per fornire risposte adeguate e tempestive”.

Il primo passo è nella formazione. Nel 2023, anno europeo delle competenze, i Paesi Ue sono stati spinti a maggiori investimenti per potenziare i propri sistemi. L’Italia, per esempio, ha promosso interventi quali la riforma degli Its (Istituti Tecnologici Superiori) e la proposta di un modello di filiera formativa tecnologico- professionale. Ma anche misure per incentivare la transizione duale, verso una modalità di apprendimento nella quale il work-based learning diventi trasversale a tutta l’offerta per tutti i target. Unite al ripensamento delle politiche attive volto alla cooperazione tra servizi pubblici e privati.

Non mancano tuttavia le difficoltà territoriali, così come quelle legate al coinvolgimento degli interessati. Bisogna dunque migliorare la definizione delle strategie e dei programmi, nonché rafforzare la governance dei sistemi di formazione. In altre parole, rimettere al centro le persone fornendo opzioni concrete e fruibili.

La formazione tecnico-professionale

La filiera della formazione tecnico-professionale comprende istruzione e formazione professionale (IeFP), istruzione e formazione tecnica superiore (Ifts) e istituti tecnologici superiori (Its Academy).

Le tre filiere rispondono alle necessità del mercato del lavoro, mantenendo una propria autoconsistenza e articolandosi in step progressivi di specializzazione. Le indagini Inapp sugli esiti occupazionali dei percorsi IeFP, a tre anni dal titolo, restituiscono un quadro confortante, anche se pre-covid. A gennaio 2020 il 67,5% dei qualificati risultava occupato, al +5% sulla rilevazione 2018. Più elevato il dato dei diplomati al quarto anno, il 71,5% del totale, superiore del 14% rispetto ai diplomati degli istituti professionali a un anno dal conseguimento del titolo (fonte Alma-Diploma 2023).

La principale criticità resta tuttavia la disomogeneità dell’offerta territoriale. Nell’evoluzione della filiera Ifts, gli ultimi dati disponibili riguardano il monitoraggio Inapp 2022 sui corsi conclusi entro dicembre 2021. La presenza è circoscritta a un numero limitato di regioni, per lo più del Centro-Nord, dove la formazione tecnica rappresenta un sistema di offerta stabile. Lo squilibrio tra Nord e Sud non è una novità, piuttosto una condizione consolidata che vede la sola Campania realizzare percorsi Ifts. Infine, i dati Indire (Zuccaro 2022) sui percorsi Its conclusi nel 2020, parlano di 6.874 iscritti distribuiti su 260 corsi, realizzati da 89 istituti. Il totale dei diplomati è 5.280, di cui l’80% ha trovato lavoro a un anno dal diploma.

Work-based learning, apprendistato e tirocinio

Il work-based learning mira ad attenuare le difficoltà dei giovani nell’inserimento nel mondo del lavoro tramite pratiche formative di tipo esperienziale. Un esempio è l’apprendistato duale, finalizzato al conseguimento di una qualifica contrattualmente riconosciuta. Dopo il calo del 31% nell’anno del Covid, il saldo delle sue attivazioni torna positivo nel 2021, con un +32,6%. La crescita prosegue a ritmi più contenuti nel 2022 (+11,2%), ma si supera di poco il numero di attivazioni del 2019.

Si attendono ora gli esiti delle novità introdotte nel 2023 con la Legge n. 8533, che riconosce ai beneficiari dell’Assegno di Inclusione, anche mediante contratto di apprendistato, un incentivo entro gli 8.000 euro su base annua. Inoltre, si prevede un 60% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali a favore dei datori di lavoro che, tra giugno e dicembre 2023, assumono con apprendistato professionalizzante giovani con meno di 30 anni che non lavorano, non studiano e sono registrati al programma “Iniziativa occupazione giovani”. Meno confortante il peso numerico dell’apprendistato duale, che rimane residuale attestandosi tra il 3% e il 4% del totale degli apprendisti in formazione nel periodo considerato.

In ultimo, il tirocinio. Fra 2019 e 2021, i tirocini extracurriculari attivati sono 910.248. La categoria più rappresentata riguarda disoccupati e persone in cerca di prima occupazione (74,2%). Le esperienze destinate ai tirocinanti in uscita dai percorsi di istruzione ammontano al 10,3%. I soggetti fragili rappresentano il 14,8% del totale. Limitata, infine, la quota di lavoratori in mobilità/cassa integrazione (0,7%). L’analisi del tasso di inserimento occupazionale a sei mesi dal termine identifica nel livello di qualificazione una delle principali discriminanti. I dati più consistenti riguardano infatti un livello di competenze medio-alto e alto (58,9%), mentre le professioni “low skill” sono maggiormente penalizzate (28,8%). Anche qui, sussistono rilevanti differenze tra Nord e Sud.

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La formazione degli adulti

Pur con l’introduzione di nuove policy, sia nell’ambito del piano nazionale sia del Pnrr (vedi Gol e Fondo Nuove Competenze), la partecipazione formativa degli adulti è ancora troppo bassa. Tra gli aspetti critici, le difficoltà di accessibilità e di raggiungimento di queste persone. Oppure, lato destinatari, la scarsa conoscenza delle opportunità e dei servizi a loro dedicati.

In generale, i disoccupati hanno minori possibilità di accesso, anche per la scarsa disponibilità di risorse da dedicare all’apprendimento non formale. Il 13,4% dei disoccupati dichiara di “avere bisogno di supporto” nella scelta dei corsi di formazione, mentre tra gli occupati soltanto il 6,4% sente la necessità. Un divario che riguarda soprattutto i possessori di bassi titoli di studio, che hanno tassi di partecipazione formativa altrettanto bassi (13,6%), rispetto a disoccupati con un livello di studio elevato (laurea o superiore), che partecipano per il 24,3%.

Evidente, infine, come la formazione sia di fondamentale importanza per la transizione digitale ed ecologica. Se la prima conta soprattutto per lo sviluppo economico e la competitività del sistema-Paese, la seconda è sostanziale per una crescita sostenibile, sotto diversi punti di vista. In tal senso, aumenta la richiesta di figure specializzate con le competenze green richieste dal mercato. Nascita di nuove professioni, sì, ma anche riqualificazione professionale e aggiornamento delle competenze, perché nessuno sia escluso dal paradigma Esg (Environmental, Social, Governance) della sostenibilità.

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