di Mario Pagano |
Uno degli adempimenti spesso sottovalutati dai datori di lavoro, che comporta, tuttavia, un severo trattamento sanzionatorio nell’ipotesi di violazione, è quello dell’obbligo di retribuire i dipendenti attraverso sistemi di pagamento tracciati.
Spesso, infatti, tanto per fini di elusione, ma anche semplicemente per abitudine o leggerezza, le imprese si ritrovano a retribuire il proprio personale in contanti, eventualmente corrispondendo loro semplici acconti su quello che sarà lo stipendio del mese. Tali pratiche risultano oggi del tutto vietate e, come meglio vedremo, determinano conseguenze sanzionatorie piuttosto elevate a seguito di eventuali controlli ispettivi.
La legge di bilancio n. 205/2017, con i commi da 910 a 914, ha introdotto un articolato e vincolato sistema di disciplina delle modalità di pagamento delle retribuzioni e dei compensi da corrispondere a dipendenti e collaboratori. Il comma 910, infatti, ha imposto, come detto, a far data dal 1° luglio 2018, a fini di piena tracciabilità dei flussi retributivi e a tutela dei lavoratori, di servirsi unicamente di alcuni strumenti tipizzati, attraverso una banca o un ufficio postale. Più precisamente, i pagamenti possono avvenire esclusivamente tramite bonifico sul conto identificato dal codice Iban, già comunicato dal lavoratore, oppure tramite strumenti di pagamento elettronico. Oppure ancora effettuando un pagamento in contanti ma direttamente presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro ha aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento.
Oltre a tali sistemi, risulta possibile assolvere l’obbligo retributivo anche mediante l’emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. Peraltro, il successivo comma 911 ha rimarcato tale obbligo nella misura in cui prevede un divieto espresso per i datori di lavoro e per i committenti di corrispondere la retribuzione o il compenso per mezzo di denaro contante, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato.
Il campo di applicazione della disposizione
Un primo passaggio essenziale, come già spiegato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota 4538/2018, attiene al campo di applicazione della disposizione in questione. Se, infatti, il comma 910 parla genericamente di datore di lavoro e di committente, il successivo comma 912 precisa che l’obbligo si applica ai rapporti di lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c., indipendentemente dalla durata e dalle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa e infine ai contratti di lavoro stipulati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci.
Restano, quindi, esclusi i rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni di cui al comma 2 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 165/2001. Inoltre, i rapporti di lavoro domestico e i compensi derivanti da borse di studio, tirocini, rapporti autonomi di natura occasionale. Nello stesso tempo, evidentemente, qualunque emolumento corrisposto a collaboratori e coadiuvanti familiari non risulta soggetto ad obbligo di pagamento tracciato. Come ricordato dall’INL con note 6201 e 7369 del 2018, gli strumenti di pagamento espressamente elencati alle lettere da a) a d) del comma 910, si riferiscono soltanto alle somme erogate a titolo di retribuzione.
Conseguentemente, l’utilizzo di detti strumenti non è obbligatorio per la corresponsione di somme dovute a diverso titolo, quali, ad esempio, quelle imputabili a spese che i lavoratori sostengono nell’interesse del datore di lavoro e nell’esecuzione della prestazione (ad esempio anticipi o rimborso spese di viaggio, vitto, alloggio). Le quali potranno, quindi, essere corrisposte in contanti. Diversamente resta soggetta alla tracciabilità l’indennità di trasferta, anche in ragione della sua natura mista, risarcitoria e retributiva. Peraltro, lo stesso Ispettorato ha ricordato quanto la necessità di tracciare il pagamento della trasferta sia indispensabile per mettere in condizione il personale ispettivo di monitorare gli effettivi importi versati al lavoratore “forfettariamente”. Anche al fine di verificare il rispetto dei limiti di imponibilità fiscale e contributiva, previsti dalla disciplina in materia di trasferte (art. 51, comma 5, del Tuir).
Ulteriori chiarimenti
Dal punto di vista dei sistemi ritenuti validi ai fini della tracciabilità voluta dalla norma, oltre a quanto espressamente previsto dal comma 910 sopra ricordato, l’INL ha integrato in via interpretativa la disposizione, fornendo ulteriori chiarimenti. Ad esempio, la dicitura relativa al “conto corrente di tesoreria” (lett. c) del comma 910) attiene a tutti i pagamenti delle retribuzioni al lavoratore in contanti presso lo sportello bancario ove il datore di lavoro ha aperto e risulti intestatario di un conto corrente o conto di pagamento anche semplicemente ordinario, in quanto, comunque, soggetto alle dovute registrazioni.
Allo stesso modo, viene ritenuto legittimo il pagamento delle retribuzioni mediante vaglia postale. A condizione che lo stesso venga emesso con l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità e il rilascio di importo inferiore a 1.000 euro venga richiesto, per iscritto, dal cliente senza la clausola di non trasferibilità, con esplicitati nella causale i dati essenziali dell’operazione (indicazione di datore di lavoro che effettua il versamento e lavoratore/ beneficiario, data e importo dell’operazione e mese di riferimento della retribuzione).
Le conseguenze della violazione
Chiariti gli ambiti applicativi della disciplina, esaminiamo ora con attenzione le conseguenze di una sua violazione. Le condotte rilevanti sono essenzialmente due. La prima è quella che ci riporta a tutte quelle fattispecie di pagamento che non avvengono secondo le modalità analiticamente indicate nel comma 910. Tipica e assai frequente, a volte più, come detto, per leggerezza che per una reale volontà di celare all’erario gli emolumenti corrisposti, il pagamento in contanti anche di semplici acconti.
Si pensi al caso del commesso part-time, assunto per poche ore nel fine settimana, pagato ogni volta in contanti dal proprio datore di lavoro, che preleva quanto necessario direttamente dalla cassa. Oltre a tale ipotesi se ne aggiunge un’altra, rappresentata dall’utilizzo dei mezzi indicati nel comma 910, ma con esito negativo in ragione di una condotta volutamente elusiva da parte del datore di lavoro che, ad esempio, revochi un bonifico bancario o annulli un assegno già emesso. In entrambi i casi l’ultimo periodo del comma 913 prevede per il datore di lavoro o per il committente l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro. A fronte di una condotta evidentemente non sanabile e quindi non diffidabile ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 124/2004, l’importo in concreto sarà, pertanto, pari a 1.666,66 euro.
Dal punto di vista della quantificazione, come chiarito dall’INL con nota 5828/2018, il regime sanzionatorio non tiene conto del numero di lavoratori interessati dalla violazione. Ma risulta legato alla cadenza temporale dell’obbligo di corresponsione della retribuzione che, di norma, avviene mensilmente. Pertanto, è prevista una sanzione di 1.666,66 euro di norma per ogni mese.
Tuttavia, come ricordato nell’ulteriore parere INL 9224/2018, la periodicità della erogazione della retribuzione, ad esempio, nelle ipotesi di lavoro sommerso, può non seguire l’ordinaria corresponsione mensile ma può essere giornaliera. Con la conseguenza di applicare una sanzione per ogni giornata di lavoro in “nero” effettuata e retribuita in contanti. Appare evidente come, ove la corresponsione in contanti della retribuzione, seppur modesta come nell’esempio sopra riportato, si sia protratta nel tempo, il datore di lavoro rischia una sanzione di importo molto elevato.
Analisi delle sanzioni
Peraltro, sempre l’Ispettorato, con nota 606/2021, ha ulteriormente chiarito che alla sanzione in questione non è possibile applicare neppure gli istituti del cumulo giuridico e del cosiddetto reato continuato. Nel primo caso si tratta dell’art. 8 comma 1 della L. 689/81, che stabilisce la sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo per chi con un’azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative o commette più violazioni della stessa disposizione. Una fattispecie che potrebbe realizzarsi laddove il medesimo lavoratore venga retribuito in contanti dal medesimo datore per numerose mensilità.
L’applicazione del cumulo giuridico avrebbe, infatti, permesso di calmierare il complessivo importo sanzionatorio. A ben vedere, tuttavia, il meccanismo del citato comma 1 dell’art. 8 postula l’unicità della condotta e non può operare nei “casi di plurime violazioni commesse con altrettante condotte”. Circostanza che si realizza proprio in relazione ai pagamenti non tracciati, eseguiti per più mensilità, indipendentemente dal numero dei lavoratori.
Allo stesso modo non può intervenire neppure il successivo comma 2 dell’art. 8. Secondo il quale risulta applicabile sempre la sanzione per la violazione più grave, aumentata sino al triplo, ove con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno posto in essere in violazione di norme, che stabiliscono sanzioni amministrative, si commettono, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diverse norme di legge. Tale meccanismo, infatti, è riservato unicamente alle violazioni in materia di previdenza e assistenza obbligatorie. Una connotazione che non può essere attribuita alla violazione per pagamenti tracciati, ciò anche nell’ipotesi in cui concorra con la maxi sanzione per impiego di lavoratori in nero.
Infine, va ricordato che la semplice dichiarazione del lavoratore, che confermi al personale ispettivo di non essere stato retribuito in contanti, non esclude l’applicabilità della sanzione laddove detta dichiarazione non trovi ulteriori riscontri oggettivi, attraverso specifiche verifiche svolte dal personale ispettivo presso gli stessi istituti di credito, a seconda della tipologia di sistema di pagamento adottato (parere INL 473/2021).
* Mario Pagano è collaboratore della Direzione Centrale Coordinamento Giuridico dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Le considerazioni esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere impegnativo per l’amministrazione di appartenenza