È stretta sulle esternalizzazioni

Una serie di nuove misure in materia di prevenzione e di contrasto al lavoro irregolare prevedono più tutele per i lavoratori e l’aumento delle sanzioni nei casi di decentramento produttivo e subappalto

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Appalto nuova normativa

di Mario Pagano |

In Italia si continua a morire sul lavoro. Secondo i dati diffusi dall’Inail solo nel primo quadrimestre gennaio – aprile 2024 sono già 268 i decessi avvenuti in occasione di lavoro.

In relazione a questo il Governo, con il DL 19/2024, recante ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, convertito con L. 56/2024, ha cercato di porre un ulteriore freno, introducendo una serie di misure in materia di prevenzione e di contrasto al lavoro irregolare.

Oltre al meccanismo della patente a punti, ossia il nuovo sistema di qualificazione delle  imprese e dei lavoratori autonomi tramite crediti, che secondo i programmi e il dettato normativo dovrebbe prendere il via dal 1° ottobre, l’Esecutivo ha puntato il dito sulle forme di decentramento produttivo ed esternalizzazione.

Due livelli d’azione

I tragici fatti di Firenze e di Casteldaccia, in conseguenza dei quali hanno perso la vita complessivamente dieci operai, hanno messo in luce i rischi e le carenze di tutela che spesso si generano quando le lavorazioni vengono frammentate attraverso catene di appalti, subappalti o lavoratori in somministrazione. In tal senso, quindi, l’art. 29 del citato DL 19/2024 contiene una serie di disposizioni che operano prevalentemente su due piani.

Su un primo livello si cerca di agire sulla disciplina dei singoli rapporti, preoccupandosi di quello che è il contratto collettivo applicato ai lavoratori impiegati negli appalti e subappalti. Sotto un altro profilo si mira a colpire la patologia, andando a inasprire l’impianto sanzionatorio connesso alle fattispecie di somministrazione, appalto e distacco, posti in essere fuori dai limiti e dalla regolamentazione normativa. Vediamo, nel dettaglio, di cosa si tratta.

Garanzie sull’appalto

Il comma 2 dell’art. 29 DL 19/2024 ha aggiunto un nuovo comma 1-bis all’art. 29 D.Lgs.276/2003 che, come noto, contiene la disciplina del contratto di appalto. Tale contratto si distingue dalla somministrazione di lavoro per l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore. Che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto. Nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa.

Secondo il nuovo comma 1-bis, al personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nel subappalto spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto. La nuova disposizione intende imporre ad appaltatore ed eventuale subappaltatore, anche nel settore privato, specifiche garanzie economiche e normative in favore del personale impiegato nelle lavorazioni oggetto di appalto e subappalto.

Disposizioni del tutto simili e speculari sono contenute anche nel codice dei contratti pubblici, D.Lgs. 36/2023. L’art. 11 (ma anche il 102 comma 1 lett. b)). Si prevede che, al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni sia applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro. Sempre stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente. Gli operatori economici, però, possono indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo da essi applicato. Purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente.

Modifiche anche per il subappalto

In tema di subappalto, il comma 5 dell’art. 11 precisa che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano, in tutti i casi, che le medesime tutele normative ed economiche, previste dallo stesso articolo 11, siano garantite ai lavoratori in subappalto.  Nello stesso tempo l’art. 119 comma 12 introduce l’obbligo per il subappaltatore di applicare i medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro del contraente principale, qualora le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l’oggetto dell’appalto oppure riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale.

Come possiamo notare, la nuova norma, non obbliga l’appaltatore o il subappaltatore ad applicare uno specifico contratto. Ma richiede che non vi sia un difetto di tutela per i lavoratori. In altre parole, appaltatore e subappaltatore potranno anche applicare un differente contratto collettivo. Tuttavia, quest’ultimo non potrà risultare peggiorativo rispetto a un preciso termine di paragone che la nuova disposizione ha individuato nel contratto “leader”. Ossia quello nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Con un’ulteriore condizione: essere legato al settore e alla zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto. Aprendo, quindi, anche alla possibilità che il subappaltatore applichi un contratto di differente settore se le attività oggetto di subappalto risultano diverse da quelle svolte dall’appaltatore.

Il regime sanzionatorio

L’altra linea di intervento prevista dal Governo riguarda il trattamento sanzionatorio, da sempre contenuto nell’art. 18 del medesimo D.Lgs. 276/2003. In origine, nelle ipotesi di somministrazione, appalto o distacco illeciti, il legislatore aveva previsto una reazione punitiva di natura penale, che nella quasi totalità delle fattispecie patologiche consisteva nella pena dell’ammenda, fissa o proporzionale.

Successivamente, con il D.Lgs. 8/2016, il legislatore ha disposto un’operazione di depenalizzazione. Prevedendo che non costituissero reato e fossero soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali era prevista la sola pena della multa o dell’ammenda. Ivi comprese, quindi, le fattispecie sanzionate dall’art. 18 del D.Lgs. 276/2003, che finirono per costituire degli illeciti amministrativi.

Per quelli, originariamente puniti con la multa o l’ammenda non superiore nel massimo a euro 5.000, era prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 10.000. Mentre quelli per i quali era stabilita una pena pecuniaria proporzionale, anche senza la determinazione dei limiti minimi o massimi, come, ad esempio tutte le ipotesi di intermediazione illecita di manodopera da appalto o distacco, la somma dovuta era pari all’ammontare della multa o dell’ammenda (e, quindi, nel caso di specie 60 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro). Ma non poteva, in ogni caso, essere inferiore a euro 5.000 né superiore a euro 50.000.

Questo fino al 2 marzo 2024. Con l’entrata in vigore del DL 19/2024 viene, infatti, cancellata la depenalizzazione e ripristinato il valore penale delle condotte sanzionate dall’art. 18 con sanzioni decisamente più gravi. Considerando che all’originaria ammenda il legislatore affianca in via alternativa, per la quasi totalità delle ipotesi, quella dell’arresto. La natura alternativa della pena permette, comunque, al personale ispettivo di adottare, come in passato, la prescrizione obbligatoria ex art. 20 e ss. D.Lgs. 758/94, per la contestazione delle violazioni.

Consentendo al contravventore di sanare l’irregolarità riscontrata, ottemperando alla prescrizione stessa ed ottenendo, così, l’estinzione in via amministrativa del reato penale, mediante il pagamento del quarto del massimo della pena o della sanzione in misura fissa. Va detto, inoltre, che sul reale importo delle ammende, come indicate nell’art. 18, pesa anche l’art. 1 lett. d) comma 445 L. 145/2018 che, a decorrere dal 1° gennaio 2019, ha previsto l’aumento del 20% degli importi di una serie di sanzioni, tra le quali anche quelle contenute proprio nell’art. 18. Pertanto, come spiegato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con nota 1091/2024, tutti gli importi delle ammende, oggi indicati espressamente nella norma, dovranno essere applicati tenendo conto di tale incremento.

I tipi di recidiva

Altro aspetto da considerare attiene ai casi di recidiva. Sull’articolo di 18, infatti, possono incidere due recidive. La prima di natura semplice è stabilita dalla successiva lett. e) del citato art. 1 comma 445, secondo la quale le maggiorazioni previste dalla lett. d) sono raddoppiate ove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti. Come spiegato dall’INL, questa recidiva scatta nel caso in cui il contravventore sia già stato sanzionato penalmente o amministrativamente per uno qualsiasi degli illeciti previsti dalla lett. d). Che riguarda irregolarità in materia di lavoro nero, orario di lavoro, distacco transnazionale, salute e sicurezza sul lavoro, oltre, come detto, a somministrazione, appalto e distacco illeciti.

Nel contempo, il DL 19/2024 ha inserito un nuovo comma 5-quater all’art. 18. In ragione del quale gli importi delle sanzioni previste dallo stesso art. 18 sono aumentati del venti per cento ove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni penali per i medesimi illeciti. In questo caso la recidiva è di tipo specifico e si realizza unicamente nell’ipotesi in cui il contravventore sia stato già punito ai sensi dell’art. 18.

Va poi ricordato che, come più volte spiegato da INL (vedi nota 1148/2019), non sono da valutare le ipotesi di estinzione degli illeciti amministrativi contestati, qualora sia intervenuto il pagamento in misura ridotta ex art. 16 della L. n. 689/1981. Cui va equiparato il pagamento ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004. Allo stesso modo non può riconoscersi rilevanza agli illeciti per i quali il contravventore abbia adempiuto alla prescrizione effettuando i relativi pagamenti ai sensi degli artt. 20 e 21 del D.Lgs. n. 758/1994 e dell’art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004. Ciò in quanto vanno considerati unicamente i provvedimenti definitivi, ossia un’ordinanza di ingiunzione pagata o non impugnata, ovvero una sentenza passata in giudicato.

Infine, l’INL, con nota 1133/2024, ha spiegato che alle condotte illecite iniziate prima del 2 marzo 2024 e proseguite dopo tale data, attesa la natura permanente dei reati in questione, andranno applicate le nuove sanzioni di natura penale. Tenendo conto di tutte le giornate di illecito impiego anche se precedenti tale data.


* Mario Pagano è collaboratore della Direzione Centrale Coordinamento Giuridico dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Le considerazioni esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere impegnativo per l’amministrazione di appartenenza.

 

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